Dal super manager al super team: così si cambia. Parola di head hunter

Faccio il “cacciatore di teste” da 30 anni e posso ammettere di aver vissuto direttamente una serie di cambiamenti. La complessità del mondo è talmente grande che il modello del super manager, quell’immagine mitizzata del “salvatore della patria” unico leader, non regge più.

Oggi, piuttosto, si sta passando a quello che definisco il “super team”. Per illustrare di cosa si tratta parto da una frase che ripeto a molti manager: “Si viene assunti per le competenze e licenziati per i comportamenti”. Rispetto a questa verità, quando ci poniamo l’obiettivo di individuare le competenze per l’industria, dobbiamo tenere a mente l’importanza dei comportamenti e dei valori personali: se un manager, una volta in azienda, una volta entrato in un team con una posizione di leadership, non ha un atteggiamento corretto, non può lamentarsi dell’esito che lo attende.

Stiamo assistendo a un interessante fenomeno che, salvo qualche eccezione di azienda americana a ispirazione giovanilistica, dove al massimo puoi avere 40 anni, sta mettendo fine all’angoscia che per tanti anni ha accomunato le persone over 40/45 che, quando si presentavano, dicevano: “È l’ultima occasione che ho per cambiare lavoro e voglio trovare il posto che poi mi accompagna alla pensione”.

Sempre più spesso andiamo a proporre e vediamo assunte persone over 50/55, scelte perché hanno già vissuto delle situazioni stressanti, pesanti, difficili, hanno gestito cambiamenti epocali. Sono saltati i pregiudizi legati all’età dei manager, anzi il bagaglio di esperienza induce le aziende a essere più propense a resistere a nuove turbolenze o ad attivare ristrutturazione che penalizzino queste figure.

Dal mio punto di vista, il nostro business sta crescendo rapidamente grazie principalmente alle aziende familiari italiane che sono state capaci di affrontare e superare la crisi e stanno conquistando posizioni nel mondo nonostante l’ostilità della nostra burocrazia nei confronti delle imprese.

Identifichiamo l’azienda medio-grande italiana con le “quattro A”, ovvero Abbigliamento, Alimentare, Arrendamento e Automazione industriale. Questi quattro settori, in cui si identifica il Made in Italy stanno guadagnando posizioni e visibilità specialmente sui mercati internazionali e costituiscono quelli in cui la tecnologia e il digitale possono essere solo di aiuto. Qui l’innovazione va a vantaggio di una fortissima componente di conoscenza profonda del prodotto, di riconoscibilità dello stesso, di artigianalità e di provenienza che non ha eguali e che rappresenta la chiave per il successo di molte realtà imprenditoriali.