In molte grandi città europee la ripartenza della mobilità urbana dopo mesi di lockdown è all’insegna della bicicletta. Così, per esempio, a Parigi, dove sotto la spinta dell’amministrazione guidata dalla sindaca Anne Hidalgo è in fase avanzata di realizzazione il progetto, finanziato già con oltre 300 milioni di euro, per creare una rete di 650 chilometri di piste ciclabili che colleghi la città ai comuni della banlieue. E così anche a Milano: qui il 18 maggio, dopo soli 23 giorni di lavori e ancora in piena emergenza Covid, è stato inaugurato il primo troncone – più di un chilometro e mezzo – della ciclabile da quasi 7 chilometri che collegherà Porta Venezia con Viale Monza passando da corso Buenos Aires; battesimo con più di una polemica, per la non semplice convivenza della pista con il traffico automobilistico, ma che i milanesi hanno mostrato di gradire con oltre cinquemila passaggi al giorno.
L’ascesa della bicicletta è solo uno dei segni tangibili della rivoluzione in corso nel modo di spostarsi in città: una rivoluzione in atto da anni in buona parte d’Europa, e che potrebbe ricavare ulteriore forza per effetto del trauma non solo sanitario ma sociale, economico, culturale rappresentato dall’attuale drammatica emergenza sanitaria. Di sicuro, quasi tre mesi di pandemia e di quarantena hanno reso evidenti, palpabili, due verità spiacevoli, entrambe legate al modello tradizionale di mobilità urbana. Il fatto, da una parte, che l’inquinamento dell’aria delle nostre città dipenda in misura significativa seppure variabile a seconda del tipo di emissioni – quasi del tutto per gli ossidi di azoto, per almeno il 50% nel caso delle polveri sottili, il cosiddetto PM2,5 – dal traffico automobilistico: come si vede dalla tabella, in molte metropoli del mondo alla radicale diminuzione del numero di automobili in circolazione durante il lockdown ha corrisposto un abbattimento delle concentrazioni di micropolveri. E poi il legame diretto, attestato da numerosi studi scientifici condotti negli ultimi mesi, tra “aggressività” e letalità dell’epidemia e concentrazioni di micropolveri: insomma le regioni dove il virus ha fatto più danni – da Wuhan alla Pianura Padana, dall’Île de France alla Catalogna – sono aree caratterizzate da elevate concentrazioni di particolato.
CONCENTRAZIONI DI PM2,5 IN ALCUNE METROPOLI NELLE SETTIMANE DI “QUARANTENA” (fonte: IQAir)
Città | Concentrazioni medie di PM2.5 durante il “lockdown” (microg/mc)* | Riduzione rispetto al 2019 (%) |
Delhi | 32,8 | -60 |
Londra | 16,2 | -9 |
Los Angeles | 5,5 | -31 |
Madrid | 6,4 | -11 |
Mumbai | 28,8 | -34 |
New York | 4,4 | -25 |
San Paolo | 10,1 | -32 |
Seul | 24,1 | -54 |
Wuhan | 35,1 | -44 |
*I dati si riferiscono alle settimane dal 23 marzo al 13 aprile tranne che per Seul (26 febbraio-18 marzo) e Wuhan (3-24 febbraio).
Osservatori più o meno autorevoli hanno profetizzato che dalla pandemia usciremo migliori. Retorica e buoni propositi a parte, è vero che quanto accaduto suona come un duro avvertimento per l’uomo contemporaneo: viviamo in un mondo sempre più “tutto attaccato”, nel quale i rischi globali non conoscono frontiere e barriere. O innalziamo rapidamente e tutti insieme la nostra capacità di “resilienza”, di fronteggiare con efficacia sfide temibili com’è stato il Covid-19 e come rimane la crisi climatica, oppure il nostro futuro “di specie” diventerà sempre più incerto.
Innalziamo rapidamente e tutti insieme la nostra capacità di “resilienza”, di fronteggiare sfide temibili come il Covid-19 e la crisi climatica, oppure il nostro futuro “di specie” diventerà sempre più incerto
La città è al centro di questo dilemma. In essa vive ormai più di un umano su due, da essa proviene la larga maggioranza delle emissioni dannose per la nostra salute e che stanno sconvolgendo gli equilibri climatici. Riconvertire alla resilienza e alla sostenibilità ambientale l’organizzazione urbana è una necessità inderogabile, e la mobilità è componente essenziale di tale sforzo.
L’obiettivo principale, che già vede impegnate molte città grandi e piccole, è quello di ridurre drasticamente nei contesti urbani l’uso dell’auto privata, grande consumatrice di energia fossile (causa numero uno della crisi climatica) e prima responsabile sia degli alti tassi di inquinamento sia dei problemi di congestione del traffico. Per avvicinarlo, occorre lavorare su più direttrici contemporaneamente. Serve innanzitutto potenziare i servizi di trasporto pubblico locale, specialmente quello su ferro (sotterraneo o di superficie) che è il meno inquinante ed energivoro: opera urgente e che richiede un forte impegno anche finanziario da parte pubblica, che in Italia significa invertire la tendenza che ha visto ridursi progressivamente le risorse a disposizione di regioni e comuni per il trasporto pubblico. Bisogna poi sviluppare le infrastrutture per la ciclomobilità, come negli esempi già citati, e incentivare tutte le forme di mobilità condivisa, dal car-sharing al bike-sharing al car-pooling. E infine bisogna ripensare in funzione di una mobilità rinnovata anche gli spazi pubblici urbani: zone a traffico limitato, corsie preferenziali protette dedicate solo ai mezzi di trasporto pubblici, isole pedonali, sono tutti ingredienti indispensabili perché la “ricetta” funzioni. L’Italia in questo è avanti, basti pensare a Roma che presenta da anni nel centro storico una delle zone a traffico limitato più grandi d’Europa o a Milano con l’accesso a pagamento nella cerchia dei Bastioni.
Zone a traffico limitato, corsie preferenziali solo per i mezzi di trasporto pubblici, isole pedonali: questi gli ingredienti indispensabili perché la “ricetta” funzioni
Questa “rivoluzione” cancellerà l’automobile? Certamente no. Ma perché l’auto torni ad essere ciò che è stata per decenni, un simbolo di libertà e di movimento, e non sia più ciò che oggi è diventata, cioè una sorta di “monumento” alle città inquinate e perennemente ingorgate, anche lei deve cambiare volto. Archiviando il prima possibile i motori “a petrolio” – diesel o benzina – e puntando tutto sulla trazione elettrica, accettando di non essere più protagonista della mobilità urbana e ripensandosi come mezzo di trasporto complementare all’interno di un sistema multimodale. Molte case automobilistiche, non tutte, hanno imboccato con decisione questa strada: l’unica che consentirà di salvaguardare nei prossimi anni il patrimonio di conoscenze, di creatività, di lavoro che tuttora custodiscono.