C’è un’Europa che funziona

Tra sfida tecnologica e tenuta dei conti economici, la prospettiva europea sempre sullo sfondo nel discorso di Antonio Tajani, riproposto qui nei suoi passaggi essenziali

La mia presenza oggi è la prosecuzione di un dialogo fra le istituzioni europee e il mondo dei manager e dirigenti d’impresa italiani. In un mondo produttivo che cambia rapidamente, il vostro contributo è fondamentale. Siete la chiave per il successo delle nostre imprese. I vostri 180 mila aderenti, le vostre 57 sedi territoriali fanno di voi una risorsa sempre più preziosa per un Paese che sta vivendo una fase di grande difficoltà.

Qualche giorno fa, la Commissione europea ha pubblicato i nuovi dati economici relativi all’Italia. Gli investimenti sono fermi e la disoccupazione non cala. Siamo in stagnazione (Pil +0,1), con un deficit e un debito cresciuto di 77 miliardi nell’ultimo anno. Al sud, la situazione è drammatica, con quasi i due terzi dei giovani che non studiano o non lavorano. Le scelte economiche del governo stanno indebolendo la nostra economia.

Sapete della mia battaglia in Europa sui crediti deteriorati. Ho frenato l’azione della vigilanza della BCE che chiedeva uno smaltimento immediato dello stock di NPL che avrebbe prodotto danni seri sulla stabilità dell’intero sistema bancario italiano. Abbiamo approvato il pacchetto bancario con norme che agevolano il credito, portando a 2,5 milioni di euro l’SMEs supporting factor.

Allo stesso modo, non saremo in grado di affrontare le sfide dell’innovazione, della digitalizzazione e della sostenibilità, se le nostre imprese non avranno i necessari finanziamenti. Sull’esempio del successo dell’SMEs supporting factor, ho proposto un Green supporting factor e un Social supporting factor.

Il programma Europa Digitale votato dal parlamento Ue ad aprile stanzia 9,2 miliardi di euro da qui al 2027. Ben 2 miliardi finanzieranno progetti di intelligenza artificiale e 700 milioni per diffondere le competenze digitali

La modernizzazione delle imprese è una delle sfide più importanti dei prossimi anni. Per fare questo, sono necessari investimenti in infrastrutture fisiche e digitali.

Da vicepresidente della Commissione europea e commissario all’industria, mi sono battuto per dare all’Italia la possibilità di sforare il 3% del rapporto deficit/Pil per i pagamenti arretrati della pubblica amministrazione alle imprese. Oggi, dobbiamo lottare per avere la stessa possibilità di sforare il tetto del 3% per investimenti in infrastrutture e innovazione.

Per generare crescita e lavoro, è necessario lanciare un grande piano per la digitalizzazione delle nostre imprese. L’Italia è terz’ultima in Europa per indice di digitalizzazione dell’economia e della società, al ventunesimo posto per la digitalizzazione dell’industria, penultima per presenza di banda ultra-larga.

Non basta, come ha fatto il governo, finanziare un voucher per le imprese che vogliono dotarsi di un innovation manager. Non servono interventi spot, che durano un anno e di cui non si vede ancora una chiara attuazione. C’è bisogno di un approccio globale.

La rivoluzione digitale ha cambiato il modo stesso in cui un’azienda produce e si organizza. Senza reti, non ci sono crescita e posti di lavoro. Per questo, è necessario un piano di investimenti per reti digitali, banda larga, 5G. In questa sfida, l’Unione europea è una risorsa, non un nemico.

Dobbiamo investire di più e meglio in formazione e nelle competenze digitali. Il programma Europa Digitale votato dal Parlamento europeo ad aprile, stanzia 9,2 miliardi di euro per il prossimo bilancio dal 2021 al 2027. Di questi, 700 milioni di euro andranno a finanziare attività e progetti per diffondere le competenze digitali e 2 miliardi per intelligenza artificiale. È una opportunità importante per le nostre imprese e per voi manager.

Questa è l’Europa che funziona.

Per essere competitivi sui mercati globali, con giganti come Usa, Russia, Cina e India sono necessari investimenti nel capitale umano. Le nostre imprese per crescere devono essere managerializzate. Oggi, il 98% delle aziende europee e di quelle italiane sono Pmi. Moltissime sono a gestione familiare. Il 70% dei dirigenti sono espressione della famiglia. Purtroppo, nel passaggio di consegne fra generazioni, un’impresa su tre non sopravvive.

Per questo, serve una nuova alleanza produttiva fra università, mondo del lavoro, manager e imprese. L’Italia ha un sistema universitario di prim’ordine. I nostri laureati sono ricercati in tutto il mondo per la qualità della formazione.

È tempo di creare un percorso virtuoso fra università e imprese per rispondere alle nuove necessità imposte dalle dinamiche economiche e di gestione delle nostre aziende. In questo, Federmanager gioca un ruolo fondamentale.

Il rapporto Excelsior 2018 di Unioncamere sottolinea un forte disallineamento tra domanda e offerta di lavoro in Italia. Un fenomeno che ha riguardato, nel 2018, il 26% degli oltre 4,5 milioni di contratti di lavoro programmati dalle imprese. Il gap arriva al 62% nel caso di specialisti in scienze informatiche.

Tra le altre figure richieste ma che le imprese non trovano ci sono anche dirigenti altamente specializzati: dei profili richiesti, il 40% non era adatto al lavoro offerto. Le competenze più richieste sono quelle, digitali (il 60% delle richieste sul mercato) e green (80%).

Creare un sistema formativo incentrato sulle necessità delle imprese e sull’efficienza dei processi aziendali può essere la soluzione per risolvere il problema della disoccupazione giovanile, garantendo competitività alle imprese.

Allo stesso tempo, è necessario avere delle figure manageriali anche all’apice della Pubblica amministrazione, per modernizzarla, per dire basta alle inefficienze e alle tante lungaggini burocratiche che ostacolano cittadini e imprese.  In questo, mi troverete al vostro fianco, oggi come ieri.

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