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Benvenuti al Sud

Si parla spesso di Italia a due velocità. Ma oggi una rete di giovani, guidata da Elena Militello, sta contribuendo a far crescere il Paese, lavorando dal Mezzogiorno

Il lavoro agile rappresenta per il nostro Paese un utile strumento per contribuire al fine condiviso di riduzione del divario territoriale tra le diverse regioni europee – e delle diseguaglianze tra le aree che presentano contesti più favorevoli e solidi e le aree interne più svantaggiate, nonché quelle interessate da una transizione industriale e quelle rurali, – e di aumento della coesione economica, sociale e territoriale, principio richiamato non solo nella nostra Costituzione (articolo 119), ma anche nel Trattato sul funzionamento dell’Unione europea (articoli 174 -178).

Prima della pandemia, chi parlava di smart working, o di lavoro agile, rappresentava una nicchia, come l’Osservatorio smart working del Politecnico di Milano o l’Osservatorio Diversity, Inclusion & smart working della Sda Bocconi, seppur con un precoce riconoscimento a livello legislativo tramite l’articolo 18 della legge 81/2017. Ma, se qualcosa di positivo si può trarre dalla lunga emergenza pandemica che negli ultimi due anni ha sconvolto il mondo, è proprio l’inversione di tendenza legata alla scossa subita dalle dinamiche lavorative che hanno spinto moltissime lavoratrici e lavoratori a lasciare i grandi agglomerati urbani, specie nel Nord del Paese o nel Nord Europa, per tornare nelle aree interne e al Sud o, in generale, in Italia, territori d’origine di molti “migranti intellettuali”, per continuare a lavorare a distanza. Tra le conseguenze positive di questi spostamenti, anche solo di una massa critica di persone che hanno esperienze di mobilità, sicuramente vi è la possibilità che questi soggetti, una volta stabilitisi nel territorio desiderato, contribuiscano al miglioramento dell’ecosistema dei territori di destinazione, anche avanzando maggiori pretese nei confronti delle amministrazioni pubbliche, sulla base – magari – di quanto sperimentato in città con servizi e infrastrutture già pienamente sviluppati.

“South Working®-Lavorare dal Sud” è un’associazione che opera in collaborazione con “Fondazione con il Sud” e che è stata fondata su queste premesse proprio durante la prima ondata della pandemia, per rispondere a una domanda sempre maggiore di flessibilità e di ritorno ai propri territori, specie nelle aree marginali del Paese, come il Sud e le aree interne. A dispetto del nome, che focalizza a un primo sguardo l’attenzione sul Meridione che si sta spopolando a ritmi sostenuti, South Working® si basa su una modalità di lavoro potenzialmente applicabile a diversi contesti e situazioni, con un concetto di Sud “relativo”.

“South Working®-Lavorare dal Sud” è un’associazione fondata per rispondere a una domanda sempre maggiore di flessibilità e di ritorno ai propri territori, specie nelle aree marginali del Paese

L’idea del progetto mi è venuta a fine marzo 2020, rimpatriando dal Lussemburgo, dove vivevo e lavoravo nell’ambito accademico, in Sicilia, da cui ero andata via dieci anni prima, a diciassette anni, per studiare prima e lavorare poi, a Milano e poi all’estero (Stati Uniti, Germania, Lussemburgo). In quelle prime settimane, ho iniziato a raccogliere, in modalità remota dal mio isolamento fiduciario, esperienze da molti amici e colleghi che lavorano nell’ambito del settore terziario, specie avanzato, e insieme abbiamo delineato la proposta e iniziato a valutare i pro e i contro per i diversi portatori di interesse.

L’obiettivo principale del progetto è quello di diffondere l’idea e il movimento di opinione per l’accettazione di queste modalità lavorative, cui si affiancano un Osservatorio per lo studio del fenomeno e un obiettivo di creazione di reti tra soggetti interessati, lavoratori, aziende ed enti locali, in un’ottica win-win. Esistono, infatti, già studi di scienza dell’amministrazione che sottolineano i potenziali vantaggi del lavoro agile – ovvero il lavoro “per obiettivi, cicli e fasi” – per il datore di lavoro, in termini di incremento di produttività, miglioramento delle competenze digitali dei lavoratori e della loro motivazione, riduzione degli straordinari e dei fenomeni di assenteismo, ottimizzazione dei costi, miglioramento della reputazione anche a livello di responsabilità sociale d’impresa (Csr).

La community di South Working® è ben presto cresciuta in modo inaspettato e comprende oggi più di 11 mila persone, mentre più di settanta volontari ci hanno aiutato a sviluppare il progetto, ognuno con le sue competenze e con la voglia di attivarsi in prima persona per migliorare il proprio contesto di origine. Sul nostro sito abbiamo mappato più di 200 spazi di coworking e più di quaranta di essi sono entrati a far parte della rete per il South Working®. Secondo il rapporto Svimez 2020, il South Working® riguarda almeno 100 mila lavoratori, e si tratta di un valore probabilmente sottostimato dato che è difficile tracciare le realtà delle piccole e medie imprese.

Crediamo che il lavoro debba avvenire in socialità, in spazi di coworking che possono essere ricavati da aree del patrimonio immobiliare attualmente inutilizzate o sottoutilizzate

Non si tratta di incoraggiare il telelavoro emergenziale da casa, come lo smart working è stato più volte erroneamente raccontato. Al contrario, crediamo fermamente che il lavoro debba avvenire in socialità, in quelli che noi chiamiamo ‘presidi di comunità’, ovvero spazi di coworking che possono essere ricavati da aree del patrimonio immobiliare, anche di valore culturale, attualmente inutilizzate o sottoutilizzate, come sale di musei, palazzi storici o biblioteche che in questo modo acquisiscono nuova vita. In questi presidi i lavoratori possono incontrarsi, confrontarsi, dare avvio a nuove esperienze e progetti e condividere le proprie esperienze. Non solo: il lavoro agile porta beneficio anche ai territori in cui i lavoratori hanno scelto di vivere.

La filosofia di South Working® prevede un vero e proprio “give back”, una restituzione ai territori e alle comunità locali di quanto appreso altrove da parte dei lavoratori, di modo da invertire la dinamica con cui, fino a questo momento, è stata trattata la carenza di infrastrutture nelle aree marginali. L’idea di fondo è che le infrastrutture necessarie al lavoro agile (una connessione stabile e veloce, un sistema di trasporti pubblici funzionante e delle aree di coworking) nasceranno lì dove sarà maggiore la domanda di south worker che sceglieranno i territori dove abitare e lavorare.

Come gruppo di advocacy, promuoviamo forme di lavoro agile, a sostegno anche di un’interpretazione estensiva della norma sulla decontribuzione del 30% (decreto legge 14 agosto 2020, n. 104, convertito con modifiche dalla legge 13 ottobre 2020, n. 126), affinché essa possa essere applicata non solo alle imprese che aprono una “unità operativa” al Sud, ma anche a quelle imprese che impiegano lavoratrici e lavoratori che operano agilmente dal Mezzogiorno. Inoltre, suggeriamo la previsione di incentivi in forma di voucher per la formazione di manager e dipendenti e per le postazioni di coworking. L’aspetto ambientale è uno dei fattori da considerare nella diffusione a livello globale di forme flessibili di lavoro. La riduzione della congestione da traffico dei pendolari è un aspetto che potrebbe giovare anche ai territori delle metropoli.

L’opportunità non può non essere colta: il south working può essere un seme importante da cui può germogliare il futuro delle dinamiche lavorative e dell’organizzazione del lavoro, che mettano al centro il welfare e il benessere dei lavoratori.

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