Il mese scorso ha ricevuto un premio come Miglior CIO in “the exponential age”, riservato al manager che “ha indirizzato la propria azienda verso un progetto visionario al fine di migliorare le dinamiche business”, nell’ambito del “Cio+ Italia Award 2018”. Lei è Barbara Poli, e l’azienda è RINA, in cui svolge il ruolo di Chief Digital Officer.
Il mondo IT è da sempre considerato un ambito di specificità maschile. Come si sente a essere una top manager della Digital Transformation?
È vero, tradizionalmente il mondo IT è “maschile”. In Europa, solo il 9% degli sviluppatori e il 20% dei laureati in informatica e nuove tecnologie è donna, perciò il percorso da fare è ancora lungo. Tuttavia la tecnologia è oggi parte integrante della vita di tutti noi, pervade tutti i settori ed è accessibile a tutti.
Anche il ruolo del Digital Officer dovrebbe avere un profilo meno “verticale” e tecnico ed essere più orientato al business, alla comprensione delle esigenze dei clienti e al miglioramento del lavoro dei colleghi.
Sono convinta che il mio ruolo sia, prima ancora che quello di prendere decisioni sulle tecnologie, quello di comprendere e intuire le necessità latenti e soddisfare le “intention” delle persone. Anche per questo credo che in futuro troveremo sempre più manager donna nel mondo digitale.
Quale motivazione l’ha spinta a perseguire una formazione, accademica e lavorativa, sul digitale? È stata una scelta strategica o una passione personale?
Ritengo che il mio punto di forza non sia il profilo specialistico, quanto quello manageriale. Dopo gli studi classici, mi sono laureata in Economia alla Bocconi e sono stata per 10 anni in una società internazionale di consulenza strategica.
Sono state, soprattutto, le mie attitudini personali a orientare le mie scelte, a farmi mettere in gioco divertendomi, e solo in seconda battuta la predisposizione per un percorso scientifico. La curiosità, la voglia di imparare sempre cose nuove, di confrontarmi con contesti stimolanti e innovativi sono state alla base del mio percorso accademico e professionale.
La trasformazione digitale riunisce tutte queste caratteristiche! Infatti, non mi sono avvicinata alla tecnologia per un interesse di natura tecnica, bensì per le opportunità che essa apre: abilita il cambiamento in tutti gli ambiti.
Molte università, in Europa e negli Stati Uniti, finanziano corsi STEM per le studentesse. Pensa che si stia diffondendo la “STEM-mania” o si tratta di competenze indispensabili oggi?
Penso che non sia una “STEM-mania”, anzi! Ritengo sia un passo indispensabile per garantire lo sviluppo e la competitività di un Paese. L’Italia, su questo fronte, deve recuperare un gap importante risultando ancora agli ultimi posti in Europa per digital-gap.
Nei prossimi 3-5 anni sarà necessario creare competenze scientifiche e digitali, non solo per sviluppare le nuove tecnologie, ma anche per imparare a gestirle e capire come estrarne valore. Coloro che non investiranno in competenza, rischieranno di perdere quote di mercato.
Federmanager ha recentemente condotto una ricerca sul tema della leadership femminile, da cui emerge il valore aggiunto delle donne manager, rappresentato dalle proprie soft skills. Quanto hanno contato le sue per farle raggiungere la posizione di responsabilità che riveste ora?
Secondo il World Economic Forum le skills più rilevanti per competere da qui al 2020 non saranno né le STEM, né le umanistiche bensì quelle soft: critical thinking, problem solving, intuizione, negoziazione. Sono caratteristiche in cui mi riconosco e che ho avuto modo di affinare e consolidare nella mia carriera professionale. Affronto le sfide con determinazione, facendomi guidare da valori come lealtà, impegno e attaccamento alla “squadra”.