Sono stati pubblicati in questi giorni dal MIUR i dati relativi al primo anno di operatività della riforma che passa sotto il nome della “Buona scuola”, che obbliga tutti gli studenti del triennio delle scuole superiori a 200 ore di formazione per i licei e a 400 per gli istituti tecnici e professionali, nelle imprese e più in generale in soggetti economici e sociali.
Numeri davvero interessanti. Si parla di oltre 652.000 studenti, di cui più di 227.000 dai licei, circa 150.000 imprese, associazioni di categoria e onlus, enti no-profit e cosi via. Il bilancio di questo primo anno dell’alternanza scuola-lavoro (ASL) si dimostra in crescita, considerando che lo scorso anno ha riguardato soltanto le terze classi con una partecipazione superiore al 90% degli studenti interessati. L’obiettivo, a regime, è quello di raggiungere un milione e mezzo di studenti.
Le finalità del provvedimento sono nobili e importanti. Innanzitutto far conoscere il mondo reale dell’impresa sin dal percorso scolastico per favorire un orientamento consapevole degli studenti, attraverso la valorizzazione delle vocazioni personali e delle attitudini, riallineare una percezione dell’impresa da parte dei giovani spesso distorta, e velocizzare il loro inserimento nel mondo del lavoro che non sarà più, come oggi avviene per molti, totalmente ignoto. In secondo luogo di sintonizzare, attraverso nuove modalità di apprendimento formativo-esperienziali, gli esiti dei percorsi didattici con il mondo esterno e soddisfare così la crescente “domanda” di competenze utili allo sviluppo e all’innovazione del modello di impresa.
Ha ragione il Ministro Giannini quando dice che la sfida è economica, sociale e soprattutto culturale ed è giusto che le imprese, e chi in esse opera con maggiori responsabilità, si candidino a favorire percorsi di alternanza scuola lavoro, stimolando gli studenti all’osservazione delle dinamiche e dei comportamenti organizzativi.
C’è un rischio però! Non è solo un problema di numeri ma è soprattutto l’aspetto qualitativo dei percorsi che consente di centrare gli obiettivi e di allinearli alle migliori pratiche.
Il percorso di alternanza scuola lavoro non deve essere percepito come un obbligo (lo si deve fare perché lo impone la legge) ma come un’opportunità per tutti gli attori coinvolti: i giovani innanzitutto che sono i destinatari dell’azione formativa; le imprese, che potranno contare su future classi di lavoratori più facilmente inseribili; le stesse scuole che avranno la possibilità di calibrare meglio i percorsi didattici alle complesse richieste del mondo del lavoro.
Naturalmente sullo sfondo permane il tema della qualità delle opportunità di lavoro che il nostro Paese è in grado di offrire ai più meritevoli e cosa fare per evitare il preoccupante fenomeno della “fuga dei cervelli”.
In questa prossima Legge di Bilancio qualcosa si prevede, ma sembrano dei placebo rispetto a quello che occorrerebbe realmente fare.
Intravedendo un’evoluzione virtuosa dei percorsi in alternanza quale possibile leva occupazionale, abbiamo sperimentato negli anni scorsi un progetto di Alternanza Scuola Lavoro, presentato al MIUR, che ha coinvolto oltre 600 studenti, 36 scuole, 75 imprese e 100 manager. Sono emerse luci e ombre ma anche una chiara consapevolezza. Per realizzare gli ambiziosi obiettivi della riforma è difatti fondamentale investire sul ruolo del “tutor” nell’accompagnamento dei giovani nel percorso di conoscenza del mondo vero del lavoro.
In questo scenario, Federmanager ha un ruolo e una responsabilità fondamentali: favorire l’unione del sapere con il saper fare. Come?
- sensibilizzando i manager perché assumano questo compito sociale verso le giovani generazioni, aiutando a formare un certo numero di “tutor esterni” qualificati con un’azione virtuosa di contaminazione;
- segnalando e mettendo a disposizione un nutrito numero di manager, anche inoccupati, che abbiano le caratteristiche di “tutor” esterni e che sappiano spiegare cos’è un’attività economica organizzata;
- valorizzando il senior management nel ruolo di “tutor/mentor”, specie in previsione delle fasi di uscita dal lavoro, per favorire l’ingresso dei giovani e il ricambio generazionale;
- ospitando i giovani studenti e condividendo una responsabilità educativa che non spetta solo alla scuola, ma che coinvolge tutti, anche noi, operatori dell’associazionismo, cultori della rappresentanza e del valore del lavoro.
Sono solo alcune idee che non completano certamente il perimetro di ciò che potremmo fare. Siamo convinti che tanti nostri colleghi, anche in attività, troverebbero il tempo per dare il loro convinto contributo alla costruzione di una futura generazione di lavoratori, qualificati e pronti a vincere la sfida che l’innovazione tecnologica e digitale ha già lanciato al mondo del lavoro più tradizionale e che dovrà fare sempre più affidamento sulle persone e le loro capacità.
Mario Cardoni, Direttore Generale Federmanager