Abbiamo voluto progettare un modello che, partendo dallo smart working, andasse oltre questo paradigma, e dunque verso una forma di organizzazione matura e condivisa.
La realtà italiana è in forte evoluzione e ha la possibilità di passare da un semplice quadro di remote working a un assetto più diffuso, come appunto sarebbe un vero agile management. Per questo il modello che abbiamo elaborato in Federmanager rappresenta uno strumento utile per le imprese che vogliono adottare soluzioni concrete e operative, che si basano sul concetto di agile riconosciuto non solo come modalità di lavoro, ma come fonte di valore, e soprattutto come valore intangibile.
Il primo passo consiste nell’individuare i quattro elementi costitutivi di un’organizzazione agile.
Il primo elemento è l’autonomia. Il modello richiede una dotazione fiduciaria che si traduce in flessibilità organizzativa e di movimento, una più complessa libertà di gioco, in cui l’idea di delega è sostituita da quella di empowerment, in cui il preesistente vincolo formale/burocratico lascia il campo a uno di tipo fiduciario.
Il lavoro inizia a diventare smart quando si impernia sul concetto di responsabilità. Questo secondo elemento va inteso sia nel senso di accountability sia come responsiveness, ovvero il dover rendere concreti e misurabili, anche fuori dal consueto contesto lavorativo, risultati e obiettivi.
Monitorabilità e misurabilità sono il terzo elemento del nostro modello, a cui è collegata la garanzia di premialità in modo rigorosamente meritocratico.
Miglioramento sinergico, infine, da intendersi come la necessaria presenza in azienda di forme di accompagnamento per sostenere le skill e le attività del lavoratore, che non è un cavaliere solitario, ma fa parte di un gruppo che continua a supportarlo.
Quattro gli elementi costitutivi: autonomia, responsabilità, monitoraggio e misurabilità, miglioramento sinergico
Se questi elementi sono le quattro colonne su cui costruire una nuova organizzazione del lavoro, il nostro modello ha individuato 12 linee guida per realizzarla davvero. È possibile approfondirle tutte, leggendo i contenuti del progetto che abbiamo curato insieme a Fondirigenti e che sfrutta la metafora del gioco degli scacchi per ridefinire ruoli e organizzazione.
Qui basti osservare, ad esempio, che il paradigma “agile” richiede un profondo rinnovamento della filosofia, della strategia e della metodologia aziendali. Addio agli strumenti novecenteschi quali i mansionari o gli organigrammi (nuova filosofia), forte ancoramento alla chiarezza della mission (nuova strategia) al punto da farla coincidere con l’identità aziendale, una compromissione del processo decisionale tradizionale, che non deve diventare anarchico, senza regole, bensì deve riconoscere nella condivisione il suo nuovo mantra (nuova metodologia).
L’agile nelle imprese è un’idea che va associata al concetto di flusso, prevalente su quello di stock. Mi spiego meglio. Normalmente si tiene conto di stock di capitali e asset di patrimonio, ma essi vanno gestiti in un’ottica non di fissità, bensì di continuo un movimento che modella e rimodella continuamente le “riserve”. Si tratta di una ridefinizione che consente un aumento di valore attraverso la riallocazione di ruoli ed energie. È riposizionamento degli asset produttivi, in modo agile, appunto.
Ho parlato di valore ma anche questo concetto va ripensato in ottica agile. Non ci si può infatti limitare al calcolo dinamico fra costs e benefits, bensì deve comprendere quei nuovi fattori di produzione che emergono in un contesto agile: creatività, approccio pluriforme alle stesse risorse, ai prodotti dell’ingegno, il grande portato di energia e intelligenza che appartiene alle persone.
L’agile non è una fumosa filosofia che produce ipotesi indistinte e rendimenti da verificare, ma una visione concreta in cui acquistano un’importanza crescente gli intangible asset. Valore agile e valore intangible hanno una relazione strettissima.
Il modello che abbiamo costruito prevede quindi un ripensamento degli elementi in grado di assumere il valore di asset, degli strumenti che possono valorizzare questo valore, sollecitandolo, e il percorso che i vari ruoli aziendali possono portare avanti, con l’interazione tra le figure strategiche di top management che devono governare il processo e le altre figure manageriali e stakeholder.
Nella creazione di valore, non esiste solo l’incremento lineare, ma è possibile realizzare un aumento esponenziale attraverso alcune accortezze. Prendo il caso dei controller o dei finance che iniziano a muoversi in modo strategico, e non più con le procedure tradizionali. Un manager di questo tipo, infatti, diventa un “consulente per la strategia”, può assorbire strumenti e competenze di business intelligence e di business analytics, e investire nella propria formazione in termini sia di forecast ma anche di foresight, cioè esaminando una pluralità di futuri plausibili rispetto ai quali impostare una strategia adattabile in base alle evoluzioni.
L’internazionalizzazione e la crescita sono altre due direzioni fondamentali per produrre valore in modo più che proporzionale. Un marketing o un export manager, se invece adotta una filosofia agile, coltiverà anche capacità di scenarizzazione, di innovazione, di open innovation e di lateral thinking, in modo da aggredire anche i mercati esteri non considerati.
Inoltre è suggerito che il valore si generi in modo radiale. In questo caso, occorre che siano coinvolti i vertici dell’organizzazione, come direttori generali o amministratori delegati. A loro spetta il compito di abbandonare la dinamica “command and control”, per suscitare e favorire la crescita di competenze e idee innovative in tutta l’organizzazione.
Occorre il coinvolgimento dei vertici: a loro spetta abbandonare la dinamica “command and control” per favorire competenze e idee innovative
Fondamentale quindi sarà il loro contributo nel monitorare il rendimento dei comparti strategici, nel garantire attenzione agli asset definibili intangible, visto il carattere strategico e il valore moltiplicativo. Le altre competenze “agili” che devono essere acquisite da chi guida un’azienda devono corrispondere a politiche di re-skilling e up-skilling, non “lasciando soli” i collaboratori della direzione Hr e seguendo da vicino la situazione dei propri high potential.
Ultima considerazione. Il valore cresce grazie anche a un allargamento laterale, vale a dire con un investimento su ciò che condiziona la produttività aziendale in modo mediato, non diretto. Il tema della conciliazione tra il tempo del lavoro e quello della vita è tornato alla ribalda durante quest’anno di smart working forzato. Occuparsi di welfare management, che nel nostro modello è concepito un driver di soluzioni innovative extraprofessionali che diventano “aziendali” di ritorno, significa dotarsi di strumenti o benefit che possono portare quell’assetto mentale ideale per produrre valore.
Ma chi capitalizza tutto questo sforzo? Ci siamo chiesti anche questo, individuando la figura manageriale che non ha poteri operativi sulla nostra scacchiera, ma che ha il compito della rappresentanza e indicazione strategica. È da lei che dipende il rafforzamento continuo delle relazioni strategiche, del networking, della reputazione dell’impresa. Come un presidente o un rappresentante dell’azienda, questa figura garantisce che la produzione di valore conquisti la sua finalizzazione e sia ben riconoscibile agli occhi di tutti.