Da un lato, i ristori alle categorie più colpite dai provvedimenti restrittivi adottati dal Governo e dalle Regioni, per cercare di contenere la diffusione del Sars-cov-2. Dall’altro, i progetti con cui dare sostanza al Piano di ripresa e resilienza, che verrà finanziato attraverso i 209 miliardi messi a disposizione dal Next generation Eu per il nostro Paese. Il dibattitto sull’impatto economico e sociale della pandemia è concentrato su queste due grandi questioni, sicuramente decisive per affrontare la crisi in cui siamo precipitati, ma che da sole non esauriscono il range delle riposte possibili, anzi.
Esistono almeno altri due strumenti fondamentali per orientare le scelte delle istituzioni e delle imprese nella direzione, almeno sulla carta evocata da tutti, di un nuovo modello economico improntato sui principi della sostenibilità ambientale e sociale. Due strumenti che, se utilizzati nelle loro grandi potenzialità, potrebbero davvero fare la differenza: il Green public procurement e la finanza etica.
Cominciamo dai numeri. In Europa la spesa pubblica per l’acquisto di beni e servizi è stimata in oltre 2 mila miliardi di euro l’anno; in Italia, comprendendo anche gli appalti sotto la soglia dei 40 mila euro, il valore è di circa 170 miliardi. La leva del Green public procurement, ovvero degli acquisti regolati da “Criteri ambientali minimi” (in sigla Cam), è indicata in tutti i documenti della Commissione europea, anche i più recenti, come una priorità perché agisce sulla spesa corrente e sugli investimenti già decisi.
Primo e finora unico Paese europeo, l’Italia ha scelto di rendere l’adozione dei Cam obbligatoria in tutte le gare d’appalto, come prevede l’art. 34 del Codice degli appalti. Finora i Cam adottati con decreto da parte del ministero dell’Ambiente sono stati 17 (dall’acquisto di carta all’edilizia).
Ipotizzando un impatto effettivo del 30% (è la media dei Comuni che applicano sempre i Cam, secondo le rilevazioni fatte dall’Osservatorio appalti verdi, promosso da Legambiente e Fondazione Ecosistemi), il Green deal italiano potrebbe contare su oltre 50 miliardi di euro l’anno di spesa pubblica con cui favorire la diffusione di imprese e prodotti ecosostenibili, ridurre i consumi di energia e le emissioni di CO2. Se accadesse altrettanto in Europa, le somme destinate alla transizione ecologica dell’economia ammonterebbero a oltre 600 miliardi di euro l’anno. Senza piani o progetti da presentare, valutare ed eventualmente finanziare ma agendo su quanto già si spende ogni anno.
Il secondo strumento è quello della finanza etica, fondata sui criteri Esg (Environmental, social and governance). Anche in questo caso è l’Europa a spingere sull’acceleratore. Il 18 giugno il Parlamento europeo ha approvato, infatti, il regolamento che introduce la cosiddetta “tassonomia”, in sintesi i criteri e i parametri ambientali per stabilire quali attività economiche possono definirsi sostenibili e, quindi, come tali finanziabili. Una vera “rivoluzione” attraverso la quale l’Ue conta di favorire investimenti, raccolti sui mercati finanziari, per almeno 260 miliardi di euro l’anno, con cui raggiungere gli obiettivi del Green deal europeo.
Con la nuova tassonomia, l’Ue conta di favorire la raccolta di 260 miliardi di euro l’anno sui mercati finanziari
Nella tassonomia sono individuati sei obiettivi prioritari: la mitigazione delle cause e l’adattamento ai cambiamenti climatici, la salvaguardia delle acque, la transizione verso l’economia circolare, la prevenzione e il controllo dell’inquinamento, la protezione della biodiversità e degli ecosistemi.
Le imprese, per essere riconosciute come eco-compatibili, saranno chiamate a dimostrare il loro impegno rispettando questi criteri: contribuire in maniera positiva al raggiungimento di almeno uno dei sei obiettivi ambientali; non produrre impatti negativi su nessuno degli altri; svolgere le proprie attività, lungo tutta la filiera, rispettando le garanzie sociali minime, fissate nelle linee guida di Ocse e Nazioni unite.
Non è un “libro dei sogni”: la tassonomia è entrata in vigore con la pubblicazione sulla Gazzetta ufficiale europea del 22 giugno 2020, insieme al calendario, stringente, per la sua attuazione.
Entro quest’anno la Commissione europea dovrà approvare il primo pacchetto di criteri tecnici con cui selezionare le attività eco-sostenibili, che diventeranno operativi entro fine 2021. Da allora in poi, chi proporrà sul mercato investimenti green dovrà indicare la percentuale di allineamento del proprio portfolio investito ai criteri fissati con la tassonomia.
Fatte le somme, dal Green public procurement e dalla finanza etica potrebbero arrivare al Green deal europeo risorse pari, ogni anno, ad almeno 860 miliardi di euro. Una cifra che fa impallidire persino il Next generation Eu.
A una condizione, prima di altre: investire, partendo dai Cam e dalla tassonomia, in un grande programma di formazione rivolto sia alle amministrazioni pubbliche sia al mondo delle imprese, attraverso il quale condividere buone pratiche e accrescere le competenze. Potrebbe anche essere l’occasione giusta per dare spazio, nel mondo del management, ai tantissimi giovani che partendo da una diversa sensibilità ambientale hanno costruito i loro profili professionali.