2740

Guardiamo oltreconfine

Una maggior propensione delle nostre aziende all’export avrebbe ricadute positive anche sul Pil, ma per affermarsi sui mercati stranieri servono competenze manageriali

Siamo nel mezzo della trasformazione digitale e parliamo di sviluppo sostenibile, ma abbiamo una domanda interna che langue da tempo. La nostra bilancia commerciale è sempre in attivo grazie alle imprese che sanno primeggiare sui mercati mondiali. L’export è ciò che ha evitato al nostro Paese in questi anni difficili di andare in default. Per il tessuto industriale italiano, per oltre il 95% costituito da micro e piccole imprese, individuare nuovi mercati e ampliare le mete di destinazione rappresenta una via quasi obbligata.

È certo che la maggioranza delle imprese italiane opera comunque prevalentemente sul mercato locale: nel 2017 solo il 4% delle imprese esportava. Secondo il Rapporto Ice 2018-2019, quasi il 60% delle imprese italiane che ha scelto di esportare conta meno di 10 dipendenti, ma spesso è un’operazione one shot.

Come mai questa ritrosia? A che dobbiamo questa scarsa dinamicità?

Riflettiamo su questo: a un aumento di quattro punti di export può corrispondere una crescita di quasi punto del Pil. È la conferma che una maggiore propensione all’export delle nostre aziende avrebbe una forza trainante per un sistema economico già prima del coronavirus in grosse difficoltà, e che adesso deve fare i conti con una crisi globale.

Vero è che una parte crescente delle nostre Pmi, puntando su creatività e innovazione, ha saputo posizionarsi su segmenti di mercato d’élite: parliamo di nicchie, non in grado di sanare il gap culturale che impedisce di guardare agli aspetti positivi dell’internazionalizzazione. Per “aprirsi all’estero” sono necessari know how, una struttura adeguata e persone capaci di guidare il processo. Quindi strategia competitiva, organizzazione

e gestione delle risorse, sia strumentali sia umane, fanno la differenza: una più ampia presenza di manager favorisce il superamento del nanismo delle imprese italiane e la conquista di nuovi mercati.

Sono innegabili le potenzialità di una figura chiave come l’export manager. BeManager, il percorso Federmanager di certificazione delle competenze manageriali ha individuato fin dall’inizio, tra i profili da certificare, proprio le figure dell’export manager e del manager per l’internazionalizzazione che, seppur con ruoli diversi, hanno una funzione cruciale per rendere le imprese competitive su scala globale.

L’iniziativa del voucher a fondo perduto per l’inserimento nelle Pmi di un Temporary export manager (Tem), si è rivelata un successo, tanto che il Mise ne ha sostenuto due edizioni. Il 47% delle aziende che avevano beneficiato di quel voucher ha dichiarato raggiunto l’obiettivo principale di supportare l’avvio o l’espansione del processo di internazionalizzazione; per l’82%, si è avuto un significativo incremento sia del numero di clienti internazionali sia dei mercati di esportazione sia del fatturato estero.

Un nuovo incentivo è alle porte, con l’auspicio che possa convincere gli imprenditori italiani, massivamente, ad affidarsi a professionalità manageriali in grado di farli viaggiare anche virtualmente oltreconfine.

< Articolo Precedente Articolo Successivo >