Chi può credere a Xi Jinping?

Il XXI secolo non sarà il secolo cinese, anzi. La Cina entrerà presto in una crisi molto profonda, predice il professor Giulio Sapelli in questa intervista senza filtri in cui non risparmia critiche a Pechino

Classe 1947, il professor Sapelli non ha bisogno di lunghe presentazioni. Accademico di fama internazionale, già consigliere d’amministrazione per Eni e Unicredit, intellettuale appassionato, autore prolifico, da circa cinquant’anni è voce partecipe e autorevole nel dibattito pubblico italiano. A lui abbiamo chiesto un’opinione sull’attuale congiuntura e sui possibili risvolti della crisi legata al Covid-19, giornalisticamente noto come coronavirus. Ovviamente le argomentazioni hanno portato anche altrove, compresa una riflessione sul ruolo attuale dei manager.

 

Giulio Sapelli, intellettuale e manager, dirige la cattedra
di Storia economica all’Università di Milano

 

Professor Sapelli iniziamo dalle cose, per così dire, semplici: che impatto ha e potrebbe avere l’emergenza legata al coronavirus?

In un sistema industriale già molto colpito dalla deflazione secolare, quindi da un abbattimento dei tassi di profitto – parlo di deflazione mondiale e soprattutto europea, quest’ultima a causa delle regole ordoliberiste che i trattati interstatali si sono dati – questa epidemia può avere un effetto regressivo dal punto di vista degli scambi. Tuttavia, direi che questo impatto è molto minore rispetto a ciò che sento dire.

In un sistema industriale già molto colpito dalla deflazione secolare, quindi da un abbattimento dei tassi di profitto, questa epidemia può avere un effetto regressivo dal punto di vista degli scambi

Perché?

Perché mi sembra di vivere in un mondo dei sogni. Tutti parlano di multilateralismo ma sono quarant’anni che non riusciamo a fare un Uruguay Round, ovvero un trattato multilaterale di commercio. Da poco c’è stato un accordo tra Unione europea e Mercosur che comunque deve ancora essere sottoposto ai parlamenti nazionali.

Dunque quale potrebbe essere il problema?

Quello delle supply chain dell’industria che sono collegate alle multinazionali, quasi tutte peraltro imprese straniere che operano in Cina con criteri di igienicità occidentali. Ma anche qui va fatta la tara. Noi crediamo alle statistiche cinesi. In realtà, se facciamo una correlazione tra consumo di elettricità e Pil cinese, scopriamo che stando alla grandezza del secondo, il primo dovrebbe essere tre volte superiore. Le statistiche cinesi, come quelle della vecchia Urss, sono tutte taroccate. Dunque, da una parte penso a conseguenze meno serie di quelle paventate, dall’altra c’è da preoccuparsi. E le spiego il perché. Se i cinesi hanno detto che c’è il coronavirus, significa che agisce da almeno tre o quattro mesi.

Le statistiche cinesi sono tutte taroccate. Se hanno detto di avere il coronavirus, significa che agisce da almeno tre o quattro mesi

Proviamo allora a vedere la questione da un altro punto di vista. Se a perderci non sono in troppi, chi ci guadagna da questa situazione?

Il Partito comunista cinese nella sua battaglia contro la borghesia cinese di Hong Kong. Con questa crisi si realizza il sogno di neutralizzarla e per sostituirla con Shangai. Hong Kong è la borghesia cinese in senso ampio: non solo i suoi abitanti, ma anche i borghesi che vivono in Cina. In quella città la borghesia cinese (centinaia di milioni di persone) aveva la speranza di collegarsi al capitalismo internazionale senza la mediazione del partito.

Tuttavia, Cina a parte, sembra che in tutto il mondo ci sia una gran voglia dei diversi attori internazionali di proiettarsi al di fuori dei propri confini…

Ma certamente! Dopo che è crollata l’Urss non si è fatta una nuova Yalta, è normale che tutti vadano verso il disordine. È stato l’errore dell’unipolarismo di Clinton, Bush e Obama, che non hanno voluto fare quello che Bush padre avrebbe voluto fare: mi riferisco alla promessa rivolta a Gorbačëv di un trattato internazionale, di un nuovo assetto che avrebbe impedito alle nazioni intorno alla Russia di aderire alla Nato e all’Unione europea. Non è andata così.

Potrei sbagliarmi ma mi sembra di ricordare che un ideogramma cinese associ il concetto di “crisi” a quello di “opportunità”. Che tipo di opportunità potrebbe rappresentare questa vicenda?

La prima riguarda l’accelerazione della trasmigrazione delle imprese straniere dalla Cina al Vietnam o all’India, come del resto già sta avvenendo. Applichiamo le sanzioni alla Russia e non sanzioniamo un pericolo vero per l’Occidente: la Cina sta attuando una grande espansione militare, anche se per certi versi solo sulla carta. Ha due grandi portaerei atomiche, una delle quali regalata dalla Russia, che non funziona. Tutto questo non è sostanziato da una base economica altrettanto solida. È un potere, nonostante Xi Jinping, molto diviso. Se leggiamo gli atti dell’ultimo congresso del Pcc, Xi Jinping dice che bisogna vietare le università straniere agli studenti cinesi, che è meglio studiare il suo pensiero. Dice che non bisogna esportare capitali e investirli in Cina. Quindi? Chi fa la cosiddetta “Via della seta?” Probabilmente l’esercito. Il mondo crede a Xi Jinping ed è una cosa ridicola. È vero che abbiamo creduto a Stalin, però che si creda a Xi Jinping è veramente pazzesco.

Lei è uno dei pochi ad aver preconizzato uno scenario mondiale al 2050 nel quale la prima economia al mondo non sarà quella cinese ma ancora gli Stati Uniti. Addirittura, se Francia e Germania troveranno concordia, vede sul secondo gradino del podio l’Europa. Perché?

Io vedo gli Stati Uniti affiancati dall’India. È necessario che Francia e Germania si integrino fortemente e che Macron la smetta con questa follia di volersi proporre come ombrello nucleare. Occorre dare un esercito alla Germania, non può essere il quarto esportatore di armi nel mondo e non possedere un esercito. Occorre vincere queste resistenze e darle un esercito da superpotenza unita a quella francese.

Quindi il neogollismo è un problema?

È un grande problema, perché è fatto da un president synthétique, cioè da un uomo che da quando è arrivato ha diviso il sistema di potere francese. La prima cosa che ha fatto Macron è stata licenziare il generale De Villiers, membro di una delle più grandi famiglie francesi, fratello di Philippe De Villiers, un grande intellettuale, interprete del vero gollismo. Basta vedere poi come i servizi segreti e le masse stanno trattando Macron. Mi riferisco a tutti i giochetti che gli hanno combinato con il suo candidato a Parigi. Macron è un uomo indebolito, occorre tornare alla politica…

Quindi per lei “la politica” è un’intesa di lungo periodo tra Francia e Germania?

Su questo non c’è dubbio.

Tornando alla Cina, dove la vede nel 2050?

La vedo in frantumi, amico mio. Entrerà presto in una crisi molto profonda. Vede, nessuno ha mai governato la Cina. La rivoluzione culturale è stata una lotta all’interno del partito con l’esercito, si scontravano le forze armate. Quindi, chi può credere al potere di Xi Jinping? Sono tutte stupidaggini.

Pensa veramente che la Cina potrebbe andare incontro a una grande guerra civile? Intendo qualche lunga crisi come del resto è regolarmente avvenuto nella sua storia?

L’ha già avuta con la rivoluzione culturale. Anche in Cina le masse sono entrate nella storia e sono dotate di molta più coscienza di quanto noi intuiamo. D’altra parte scontri di potere come quello che c’è stato ad Hong Kong diventeranno turbolenze più ricorrenti. Il potere centralizzato non è fatto per la Cina, non lo è mai stato. Io poi credo nella forza secolare della democrazia e della libertà.

Le faccio infine una domanda che non ha attinenza con il tema iniziale ma è più pertinente alla nostra testata. Quale dovrebbe essere il modello di manager di oggi? A quale modello dovrebbero conformarsi i manager del settore pubblico e di quello privato?

Il modello del manager è naturalmente misto. Nel caso di imprese familiari dovrebbe essere al tempo stesso un allenatore e un consulente della proprietà. Oggi purtroppo le stock option stanno distruggendo alla radice le capacità manageriali. Alcuni manager sono diventati mercenari che tirano a fare soldi, prendere stock option e ad abbandonare la nave. Noi abbiamo avuto grandi manager, in primo luogo nell’impresa pubblica. Sono stati grandi costruttori di tecnologie. Abbiamo avuto una grande scuola di management nei casi della Olivetti, della Rinascente e della Pirelli. Insomma, il buon manager è quello che applica le tre virtù penultime delle quali parlava Simone Weil: umiltà, attenzione e rispetto. A questo unirei la grande competenza tecnica. I manager dovrebbero leggere Drucker, Ansoff, non questi guru assurdi di oggi. L’Italia è cresciuta grazie all’insegnamento manageriale che veniva dal nord America. È stata una rivoluzione. Un tempo i grandi manager avevano rapporti con gli intellettuali, adesso hanno rapporti solo con i consulenti. Questo è stato decisivo per far abbassare il livello manageriale.

Il buon manager è quello che applica le tre virtù penultime delle quali parlava Simone Weil: umiltà, attenzione e rispetto

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