«Abbiamo fronteggiato un duplice attacco». Inizia così la nostra conversazione con Giorgio Ambrogioni, presidente Cida, una delle associazioni più attive sul fronte pensionistico in questi mesi. Il primo colpo, sventato, era rappresentato dalla proposta di legge D’Uva-Molinari «scritta in fretta, male e con evidenti profili di incostituzionalità, ma devastante per i pensionati che rappresentiamo». Il secondo, invece, è ritratto dalla «campagna mediatica denigratoria sulle “pensioni d’oro”, intese come frutto di privilegi, con una messa alla gogna dei pensionati. Questo secondo fronte», afferma Ambrogioni «è pericoloso e subdolo, perché alimentato dal rancore e dall’invidia sociale, con l’inaccettabile conseguenza di leggere in negativo i valori fondanti la categoria dei dirigenti: responsabilità, competenza, merito».
Giorgio Ambrogioni, presidente Cida
Dunque, qual è il bilancio di questo confronto a tratti molto aspro?
Siamo riusciti a “cassare” la proposta di legge che avrebbe introdotto una riduzione permanente delle pensioni, e abbiamo migliorato la prima stesura del cosiddetto contributo di solidarietà elevando il limite del prelievo da 90 mila a 100 mila euro annui. Abbiamo limitato i danni e contestato l’uso scorretto dell’appellativo “d’oro” affibbiato alle pensioni dei manager. Entrambe le battaglie proseguiranno: sul prelievo forzoso percorreremo le vie dei tribunali; sul ruolo della dirigenza, abbiamo messo in atto iniziative di mobilitazione e di sensibilizzazione dell’opinione pubblica per spezzare il circolo vizioso che vorrebbe identificarci come una casta. Vogliamo “stanare” i partiti e costringerli a prendere una posizione chiara nei confronti della dirigenza, pubblica e privata. Siamo da sempre aperti al dialogo, abbiamo capacità, idee e proposte per rendere più efficiente l‘azienda-Italia, non ci siamo mai tirati indietro quando siamo stati chiamati al sacrificio e abbiamo praticato la solidarietà, nei fatti e non a parole. Ma pretendiamo rispetto anche dalla politica: nessuno si illuda che sia sufficiente bussare alla nostra porta a ridosso delle elezioni europee.
Imporre un nuovo contributo a breve distanza dal precedente e con un arco temporale di applicazione di 5 anni va contro ogni logica di rispetto della Costituzione e contro la recente sentenza della Corte suprema
Entrando nel merito dei provvedimenti, in particolare di quello relativo al contributo di solidarietà, quali sono i rilievi critici che gli esperti di Cida hanno riscontrato?
La Corte costituzionale si è più volte espressa riguardo ai prelievi sulle pensioni di importo medio-alto, sancendo che devono essere “eccezionali” e “transitori” e utilizzati come misura una tantum. Riteniamo che imporre per legge un nuovo contributo, a breve distanza dalla conclusione di quello precedente, e estenderne l’arco temporale di applicazione a 5 anni, vada contro ogni logica di rispetto della Costituzione e dello spirito delle sentenze della Corte suprema e anche la dimensione del taglio ci sembra oggettivamente fuori misura.
Chi sono i pensionati esposti al taglio?
Cida rappresenta i percettori di pensioni medio-alte, categorie professionali composte da quadri e dirigenti delle aziende private, della pubblica amministrazione, della scuola, della sanità. Abbiamo esteso la nostra azione d’intesa con le associazioni di professionisti, diplomatici, militari, magistrati, titolari di pensioni che sono il risultato di storie professionali connotate da assunzione di rischi, responsabilità e merito, e il cui importo deriva dall’applicazione di leggi dello Stato. Pensioni che hanno subito nel tempo gli effetti negativi di ripetuti blocchi totali o parziali di adeguamento al costo della vita: secondo studi di settore, questi “tagli” hanno determinato una perdita del potere di acquisto compreso fra il 15% ed il 20%. A questi blocchi vanno aggiunti anche i numerosi contributi di solidarietà. Il calcolo dell’ammontare della propria pensione e la decisione relativa al momento in cui ritirarsi dal lavoro, sono scelte basilari per la vita di un individuo: tenendo conto di ciò che lo Stato propone e nel pieno rispetto della legalità, il cittadino sceglie di andare in pensione. Sono frequenti i casi in cui, nel settore privato, il pensionamento viene incentivato dal datore di lavoro; mentre ai vertici del pubblico impiego, si verificano spesso situazioni di incompatibilità che anticipano il pensionamento. Paradossalmente potremo dire che con il contributo di solidarietà e il mancato adeguamento al costo della vita, inseriti nell’ultima manovra, si finanzia “quota 100”, un meccanismo pensato per mandare in pensione chi non ha ancora maturato età anagrafica e contributiva necessarie.
Nelle recenti iniziative pubbliche di Cida in difesa dei diritti dei pensionati è stato anche toccato spesso il tema fiscale: qual è il nesso fra tasse e pensioni?
Il contributo di solidarietà varato dal governo è la goccia che fa traboccare il vaso: i dirigenti hanno versato onerosi contributi previdenziali per tutto l’arco della propria vita lavorativa e tasse elevate (che pagano anche da pensionati) vista la curva degli scaglioni, fortemente progressiva, che abbiamo in Italia. Su un totale di circa 16 milioni di pensionati, 8 milioni usufruiscono di prestazioni integrate o totalmente a carico della fiscalità (quindi non soggette a imposizione Irpef), mentre i pensionati con importi superiori a 3 mila euro lordi/mese sono il 4,99% del totale. Se ragioniamo in termini di fisco la situazione è peggiore: i contribuenti sopra i 100 mila euro lordi/anno sono solo l’1,10%, ma pagano il 18,68% dell’Irpef. Se a questi si sommano anche i titolari di redditi lordi superiori a 55 mila euro otteniamo che il 4,36% paga il 36,53% dell’Irpef; considerando infine i redditi sopra i 35 mila euro lordi risulta che il 12,09% dei contribuenti paga il 57,11% di tutta l’Irpef.
Pagano per tutta la vita lavorativa e continuano a pagare da pensionati, finanziando il welfare di chi non ha versato imposte e/o contributi. Se, infine, guardiamo alle sole pensioni, i pensionati con redditi superiori a 35 mila euro (7,15% del totale) pagano il 35,23% di tutta l’Irpef a carico dei pensionati.
Così non può andare.
Su un totale di circa 16 milioni di pensionati, 8 milioni usufruiscono di prestazioni integrate o totalmente a carico della fiscalità e quindi non soggette a imposizione Irpef