Gasolio più caro, limiti di velocità più stringenti, ma ci sono anche le pensioni nell’aspro dibattito francese che ha portato in strada i manifestanti dei Gilet Gialli. Alla base delle rivendicazioni sono finite infatti anche le mosse dell’Eliseo in materia previdenziale. In particolare, l’ultima finanziaria, che ha deciso di mettere mano al complesso sistema fiscale francese, anche per quel che riguarda le contribuzioni degli assegni pensionistici.
Dopo il varo di quello che molti osservatori hanno definito il “new deal tributario di Macron”, oltre all’Impôt sur le revenu (la loro Irpef) sono due le parole chiave in materia di tasse del lavoro in Francia: CSG (Contribution Sociale Généralisée) e CRDS (Contribution au Remboursement de la Dette Sociale). Entrambe sono destinate a finanziare le misure di protezione e sicurezza del vasto stato sociale francese.
A riguardare maggiormente i pensionati è proprio il contributo sociale generalizzato (CSG), una tassa sui redditi di imprese e lavoratori alzata da Macron al 9,2%, rispetto al vecchio 7,5% (+1,7%). L’aumento ha riguardato anche le pensioni di anzianità e ha scatenato la rabbia del ceto medio, sceso in piazza accanto ai Gilet Gialli e ai retraités, i pensionati spaventati dalla perdita del loro potere di acquisto.
Il colpo di scena è datato 10 dicembre 2018: in un discorso alla Nazione, Macron ha annunciato il congelamento dell’aumento della CSG per i pensionati i cui redditi lordi non superano i 2 mila euro al mese. Un dietrofront, dopo l’escalation di proteste, che riguarda circa 3,8 milioni di famiglie, più o meno 5 milioni di persone. E tutti gli altri? Niente sconti, confermato l’aumento della CSG.
Altra misura che preoccupa i pensionati è stato il blocco della contingenza: secondo quanto deciso nell’ultima finanziaria, la rivalutazione degli assegni pensionistici nei prossimi tre anni sarà appena dello 0,3%, un tasso ben inferiore al tasso d’inflazione atteso attorno al 2% (2,3% nel 2020).
Ma come si regola la Francia con le pensioni alte? Diciamolo subito: in Francia il termine “pensioni d’oro” non esiste.
Protagonista del sistema tributario francese, per quel che riguarda i redditi e le pensioni alte, è la cosiddetta Impôt de Solidarité sur la Fortune (ISF), una sorta di patrimoniale anche questa riformata da Macron che, appena approdato all’Eliseo, ha eliminato l’ISF sui redditi e attività finanziari, aumentando quella sui beni immobiliari. Una misura contestata anche dai Gilet Gialli al grido Emmanuel Macron “President des riches”.
Nonostante le recenti modifiche che hanno portato in strada migliaia di persone, il sistema previdenziale francese è comunque più generoso rispetto al nostro: l’età anagrafica per andare in pensione è 62 anni e il calcolo è retributivo
Nonostante le ultime modifiche, il sistema pensionistico francese appare più generoso rispetto a quello italiano. L’età anagrafica per andare in pensione a Parigi è 62 anni, rispetto agli attuali 67 italiani. Il calcolo della pensione francese è poi ancora “retributivo”, basato sullo stipendio medio dei 25 anni “migliori” della carriera lavorativa.
Ma il confronto Italia-Francia si fa ancora più eclatante se vengono paragonate le due Irpef (in Francia si chiama “Impôt sur le revenu”), che riguardano in entrambi i Paesi sia i dipendenti sia i pensionati.
Le aliquote, insomma parlano chiaro: in Francia sono in media più basse rispetto al Belpaese, eccetto per i redditi elevati che Parigi tratta con una maggiore tassazione.
Per La République En Marche alle ultime elezioni ha votato circa un pensionato su 4 (dati Ifop, Institut français de l’opinion publique, il più accreditato di Francia). Perdere ulteriore di questo consenso rappresenterebbe per l’attuale maggioranza un passo falso probabilmente letale, all’immediata vigilia di elezioni europee.
Aliquote sulle pensioni, confronto Italia-Francia