In questa prima parte del 2024 sembra crescere il numero dei femminicidi, termine che la Treccani ha decretato nel 2023 parola dell’anno a testimonianza della gravità della situazione. Una decisione consapevole, responsabile, da parte di chi custodisce il patrimonio e il significato profondo della lingua italiana. Eppure, sembrano ancora tanti coloro che dichiarano che la violenza verso le donne non sarebbe un fenomeno così diffuso.
Una tesi fondata su uno studio di alcuni anni fa mostra che i tassi più alti di violenza verso le donne (intimate partner violence) si registrano nei Paesi con i migliori risultati in tema di parità di genere. Il 32% delle donne in Danimarca, il 30% in Finlandia, il 28% in Svezia e il 26,8% in Norvegia, dichiarava di aver subito violenza in una relazione intima, contro una media europea del 22%.
Dati che però andrebbero letti da una parte con l’incapacità degli uomini di accettare l’emancipazione ottenuta dalle loro partner: non potendo esprimere il loro dominio nella società, indirizzerebbero la loro frustrazione contro mogli e fidanzate. E, dall’altro lato, con la maggiore consapevolezza delle donne di queste nazioni che sentendosi più libere e sicure all’interno di una società dove la parità di genere è maggiormente riconosciuta, denunciano con più facilità rispetto alle donne di altri Paesi, come l’Italia, dove si stima che solo il 5% delle violenze venga denunciato (studio Ipsad 2023).
Se accostiamo questi risultati alle percentuali di oltre il 75% di donne occupate nel Nord Europa (Eurostat 2021), dove vige ormai da decenni l’uguaglianza giuridica, alla media italiana del 55% (dossier del servizio studi della Camera dei deputati, dicembre 2023) emerge quello che è stato chiamato il “paradosso nordico”. Una definizione con la quale si fotografa una società dove le donne godono di pari diritti, di un welfare avanzato e sono economicamente più libere, ma forse proprio per questo più esposte alle prepotenze e violenze, non solo domestiche, rispetto alle donne di Paesi che registrano tassi di occupazione più bassi e legislazioni ancora in evoluzione nel sancire l’uguaglianza.
Donne, queste ultime, che essendo meno indipendenti e percependo un contesto culturale e sociale meno sicuro sarebbero portate a denunciare meno le violenze dei loro fidanzati, mariti e datori di lavoro.
Quest’ultimo scenario, in certe aree e settori del nostro Paese è ancora visibile, bisogna avere il coraggio di riconoscerlo. Ma ciò non deve scoraggiare. Al contrario, la situazione va riconosciuta per poter essere ancora più incisivi nelle iniziative da mettere in campo per favorire la parità di genere. Per farlo dobbiamo tornare a dare valore, forza e concretezza alle emozioni e ai sentimenti che ci invitano a lavorare per una società aperta, tollerante, inclusiva e rispettosa gli uni degli altri, dove tutti hanno gli stessi diritti e gli stessi doveri.
Se ad esempio guardiamo i risultati delle ricerche sull’occupazione femminile in Italia, osserviamo che la percentuale del 55% delle donne italiane occupate sia ancora molto lontana dalla media dell’Unione europea del 69,3% (dossier del Servizio studi della Camera dei deputati, dicembre 2023).
Se poi guardiamo il rapporto tra la popolazione maschile e quella femminile nel mondo del lavoro vediamo che accanto a circa 9,5 milioni di donne occupate ci sono 13 milioni di maschi occupati. Inoltre, una donna su cinque esce dal mercato del lavoro a seguito della maternità: un aspetto che, si fa notare, “riveste una particolare rilevanza in quanto indice della difficoltà per le donne di conciliare esigenze di vita con l’attività lavorativa“. La decisione di lasciare il lavoro è infatti determinata per oltre la metà delle donne (52%). Ciò è dovuto ad esigenze di conciliazione e per il 19% a considerazioni di natura economica. L’istruzione, tuttavia, “si conferma fattore protettivo per le donne occupate con figli. Infatti, con un livello di istruzione più elevato, la differenza tra donne occupate con o senza figli è minima.
Lo studio sottolinea poi l’accentuato divario retributivo di genere. Da registrare, poi anche la criticità sul fronte dei servizi che potrebbero aiutare le donne a conciliare i tempi di vita con quelli del lavoro. Per esempio, l’offerta dei nidi risulta in ripresa dopo gli anni della pandemia “ma le richieste di iscrizione sono in gran parte insoddisfatte, soprattutto nel Mezzogiorno”. Con una penalizzazione maggiore per le “famiglie più povere, sia per i costi delle rette, sia per la carenza di nidi in diverse aree del Paese”.
In Italia 1 donna su 5 esce dal mercato del lavoro a seguito della maternità: un dato che è indice della difficoltà per le donne di conciliare le esigenze di vita con l’attività lavorativa
Questi pochi dati confermano il grande lavoro che nel nostro Paese dobbiamo proseguire per acquisire la parità di genere e quindi contrastare la violenza contro le donne.
Per farlo è necessario un impegno a tutto campo per coniugare il valore della relazione, della fiducia, della parità e del rispetto in tutti i contesti: famiglia, scuola, lavoro, relazioni sociali. Ad esempio, raramente sento spiegare la differenza tra bisogno e desiderio nei rapporti affettivi così come l’assurdità di associare l’amore al possesso.
Rispetto significa riconoscere e sostenere il diritto delle donne a lavorare, superando i formalismi verbali dei ruoli declinati prima solo al maschile (avvocata, sindaca e così via) ma anche sostanziali: riconoscere le capacità professionali, fare apprezzamenti legati alle capacità e ai risultati e non all’estetica, azzerare il divario retributivo.
Rispetto nella vita privata significa comprendere che anche la propria fidanzata o moglie possa uscire e incontrare altre persone da sola e possa, se lo desidera, chiudere una relazione. Rispetto che significa non avere atteggiamenti possessivi e controllanti.
Capire che esercitare la forza (economica, sociale, psicologica, fisica) con una donna non è dimostrazione di mascolinità ma di estrema debolezza. Se non si è capaci di vivere in modo sano una relazione si deve avvertire l’esigenza, e in questo caso sì, la forza – di farsi sostenere da specialisti che possono aiutare a capire gli ostacoli psicologici alla base di certi atteggiamenti per rimuoverli.
Un percorso che comporta per tutti, ma per noi uomini in particolare, cambiamenti culturali, oltre che normativi, di cui dobbiamo farci carico se vogliamo andare nella direzione di una società più evoluta.