Si è molto sentito parlare, in questi ultimi anni, di turismo esperienziale. Termine difficile da interpretare e persino articolare, che racchiude l’essenza di una modalità di viaggio che dopo il Covid è esplosa: quella che guarda alla scoperta dei territori e dell’enogastronomia, al rispetto delle tradizioni, alla tutela dell’ambiente, alla gioia della lentezza e del quieto vivere.
Sabrina Talarico, Presidente Gist – Gruppo italiano stampa turistica
Concetti fino a qualche tempo fa tenuti in scarsa considerazione. Il fenomeno dell’overtourism, quello che riempiva fino al 2019 le destinazioni creando sovraffollamento nelle strade, nelle piazze, nei musei, sulle spiagge e persino sulle cime delle montagne, è ora contrastato. Persino dall’Ue, che ha indicato in modo chiaro i parametri per monitorare la salute ambientale in rapporto al consumo di aria, acqua e suolo che i turisti fanno di un territorio. Le soluzioni per offrire un’alternativa all’overtourism non sono facili, perché implicano il coinvolgimento sia del pubblico che del privato, ma la direzione è tracciata. Lo si vede dalla crescita esponenziale di presenze turistiche che le destinazioni cosiddette “minori” stanno conoscendo negli ultimi anni. Lo si vede dal fiorire di marchi di qualità e riconoscimenti che premiano l’impegno delle istituzioni e dei comuni verso il raggiungimento della sostenibilità: Cittaslow (che nella sua filosofia ha l’elogio della lentezza e della slow life), Bandiera Arancione (riconoscimento ai borghi eccellenti), Bandiera Blu (località balneari), Borghi Autentici e Borghi più Belli d’Italia, il premio Urban Award (mobilità sostenibile) e Sustainability Award, le Sagre di Qualità (sagre Unpli che rispettano rigorosi principi di controllo della filiera alimentare) e Travel Food Award (consegnato dal Gist – Gruppo italiano stampa turistica a progetti di valorizzazione del turismo enogastronomico).
A proposito di questo tipo di turismo, è ormai acclarato come esso sia diventato, oltre che una forma di esperienza culturale e immersiva, un driver economico che incide sulla scelta della meta e sulla determinazione della spesa pro capite, quindi del Pil turistico. Il cibo non è semplice fonte di sostentamento, è un modo per star bene, divertirsi, sperimentare, socializzare. È moda, tendenza, pervasione della vita sociale, contaminazione. I “foodies”, persone appassionate di cibo, collezionano esperienze gastronomiche di qualità. Perché attraverso queste scelte si prendono cura del proprio corpo, sia dal punto di vista fisico che psicologico. Del resto, la tipicità del prodotto è diventata fattore rilevante per bel l’87% degli italiani (dati Censis). Altri dati significativi, che fanno capire l’importanza di questo fenomeno? 44 milioni di turisti americani si muovono per motivazioni legate all’enogastronomia, così come accade per 10 milioni di italiani; i turisti inclini a ritornare in una destinazione sono per il 75% coloro che hanno fatto esperienze enogastronomiche soddisfacenti; il 61% dei turisti enogastronomici italiani ha un’età compresa tra i 35 e i 64 anni, fascia ideale per lo sviluppo economico di un qualunque territorio.
I turisti inclini a ritornare in una destinazione sono per il 75% coloro che hanno fatto esperienze enogastronomiche soddisfacenti
Le destinazioni e le filiere possono cogliere importanti opportunità di business da questa crescita e sviluppare sistemi di offerta integrata partendo dal connubio tra enogastronomia e turismo. Il 2022 si è chiuso con dati turistici mondiali di tutto rilievo (oltre 900 milioni di arrivi), il 2023 si prospetta con una crescita ancora a doppia cifra, con l’Italia posizionata tra i top 3 Paesi preferiti dai turisti europei nei prossimi viaggi. Da questi dati si comprende come le dinamiche attuali e future ruoteranno sempre più intorno al turismo enogastronomico, la vera eccellenza che l’Italia può offrire. E visto che il 97% dei turisti enogastronomici fa la propria esperienza in ristorante, l’85% nei luoghi di produzione e il 70% partecipando a eventi (quesito con risposta multipla del Rapporto elaborato dalla nota esperta, Roberta Garibaldi), è comprensibile come gli operatori debbano investire in questo settore. Sia con la creazione di eventi ed esperienza attive che con l’apertura di locali, luoghi di ristoro, tour tematici, magari lungo piste ciclabili o sentieri escursionistici. Sia con la formazione, perché c’è bisogno di persone competenti, che sappiano condurre per mano il turista alla scoperta di cantine, caseifici, salumifici, aziende agricole. In tutti i luoghi e aree rurali in grado di intercettare la domanda attraverso l’organizzazione dell’offerta, trasformando anche aree svantaggiate e marginali in destinazioni per il turismo enogastronomico. Una case history d’eccellenza, da prendere come esempio? Il “tour della razza chianina” in Valdichiana senese, che porta il viaggiatore alla scoperta della razza chianina e del suo legame con il territorio, attraverso la visita di allevamenti e degustazioni con prodotti a base di carne chianina Igp.
L’Italia può e deve utilizzare le proprie risorse per favorire l’economia e lo sviluppo sostenibile delle destinazioni, anche le più remote e meno conosciute.