Sempre più spesso nel dibattito pubblico, tra i temi strategici come il Piano nazionale di ripresa e resilienza, la competizione globale, l’equilibrio tra rigore e crescita, è centrale la questione degli aiuti di Stato.
La normativa secondaria sugli aiuti di Stato ha subito modifiche significative, a ritmi serrati, con l’avvicendarsi delle recenti crisi: dall’emergenza Covid-19 a quella energetica e geopolitica con la guerra in Ucraina.
Non è mutata, invece, la normativa primaria, il Trattato sul funzionamento dell’Ue, che all’art. 107.1 dispone che: per gli Stati membri, intesi in tutte le loro articolazioni regionali, locali, di enti pubblici, è vietato supportare economicamente, in qualsiasi forma, anche fiscale, soggetti selettivamente individuati, che si qualifichino come imprese, se questo supporto le mette in una posizione di vantaggio rispetto alle loro concorrenti, causando una distorsione della concorrenza e degli scambi commerciali, anche solo potenziali, tra Stati Ue.
Un paradosso forse? Perché l’Europa, anche nel quadro di NextGenerationEu, forte di un dispositivo con finanziamenti di portata epocale, che solo per l’Italia valgono 191,5 milioni di euro – senza contare la partita aperta di RePowerEu – “si ostina” a limitare la facoltà degli Stati di sovvenzionare le proprie imprese?
La Presidente von der Leyen ha risposto a questa domanda sottolineando che se consideriamo le risorse pubbliche, scarse per definizione, come un asset da usare in modo strategico, porre dei limiti diventa essenziale al fine di indirizzarle.
Perciò la disciplina sugli aiuti di Stato, subito dopo aver posto il divieto di cui sopra, individua numerose deroghe e indirizza l’azione degli Stati verso obiettivi comuni, a supporto del mercato interno, come ambiente ed energia, innovazione, coesione sociale, sostegno alle Pmi e al capitale di rischio, solo per citarne alcuni.
Occorre però una valutazione, cosiddetta di compatibilità, che esclusivamente la Commissione europea può compiere, su quanto tali obiettivi comuni siano in grado di controbilanciare la distorsione concorrenziale causata dall’aiuto – di base vietato.
A tal fine la Commissione ha adottato degli orientamenti che definiscono le condizioni che essa stessa applica, in relazione a ciascun obiettivo comune, per decidere quali aiuti siano compatibili con il mercato interno e quali no. Alcuni tra i più significativi sviluppi nella disciplina sugli aiuti, negli ultimi due anni circa, hanno riguardato proprio questi strumenti normativi ordinari, modificati per rispondere alle sfide del presente e del futuro.
La Commissione ha adottato orientamenti che definiscono le condizioni che essa applica, in relazione a ciascun obiettivo comune, per decidere quali aiuti siano compatibili con il mercato interno.
È stato così per gli Orientamenti sugli aiuti per R&S&I o sugli “importanti progetti di comune interesse europeo” (Ipcei, che hanno visto numerosi Stati collaborare su iniziative strategiche per batterie, catena del valore dell’idrogeno e microelettronica) o, ancora, per la recentissima Disciplina sugli aiuti per ambiente, energia e clima (Ceeag).
Ma c’è anche una norma ulteriore del Trattato, l’art. 107.3.b, che consente di andare al di là delle deroghe ordinarie e valutare la compatibilità degli aiuti con un grado di flessibilità ancora maggiore, se sono ritenuti necessari per “porre rimedio a un grave turbamento dell’economia di uno Stato membro”.
Questa ipotesi eccezionale è stata invocata prima ai tempi della crisi economico-finanziaria del 2008-2009, poi del Covid-19 e da ultimo nel contesto dell’attuale crisi.
Il Quadro temporaneo di crisi e transizione, adottato il 9 marzo scorso a seguito dell’aggressione russa all’Ucraina, ha così prorogato le prime misure emergenziali già introdotte dal 2022, e contestualmente ha rappresentato la risposta europea all’Inflation Reduction Act adottato dagli Usa per sostenere il proprio sistema produttivo green.
Esso permette aiuti, rigorosamente temporanei (fino al 2025) destinati, ad esempio, ad accelerare la diffusione delle energie rinnovabili e lo stoccaggio, oltre che gli investimenti in settori strategici per la transizione verso un’economia a zero emissioni nette. È particolarmente significativo notare anche che vi sono clausole per evitare il dumping da Paesi extra-europei, il cosiddetto matching aid, e questo richiama la grande novità costituita dal Regolamento sulle sovvenzioni estere.
Si tratta di un regolamento che dà alla Commissione un potere assolutamente nuovo, di indagare e richiedere di notificare sussidi che vengono da Paesi terzi verso imprese attive nell’Ue, e anche di imporre loro misure strutturali, come fanno le autorità antitrust. L’Ue guarda quindi sempre più agli aiuti di Stato quale strumento da utilizzare non come “zavorra” – obiezione ricorrente a proposito dei limiti imposti ai sussidi per le imprese europee – ma come “arma” nella competizione globale.
L’obiezione, di segno opposto, formulata da alcuni Stati, tra cui l’Italia, rispetto alle aperture contenute nel Quadro temporaneo, è stata che ne beneficeranno principalmente gli Stati con maggiori risorse da investire o comunque minori problemi di indebitamento. Tale approccio si inscrive nella più ampia “logica di compromesso politico” che sembra stia prevalendo, se si considera che questo strumento è stato presentato insieme con, da un lato, un Piano industriale del Green Deal che enuncia la strategia complessiva di politica industriale sostenibile Ue e, dall’altro, un Fondo sovra-statale, per il quale si attende una proposta prima dell’estate.
Fanno riflettere inoltre le parole della Vicepresidente alla Concorrenza Vestager: «Abbiamo utilizzato pienamente tutta la flessibilità delle nostre norme sugli aiuti di Stato, e in ciò non vi è contraddizione. In realtà, abbiamo dimostrato che queste regole, per il fatto stesso di essere flessibili, sono forti, e così facendo stiamo garantendo loro di essere utilizzate anche per i prossimi 30 anni».
Ma merita di essere segnalata anche la meno vistosa flessibilità garantita dal Regolamento generale di esenzione per categoria o “Gber”, modificato in linea con il Green deal a marzo scorso e in attesa di entrare in vigore, che consente alla Commissione di individuare delle categorie di aiuti (ad esempio per infrastrutture energetiche o per la banda larga, da considerare compatibili anche senza notifica ad hoc, purché rispettino delle condizioni generali e specifiche per ciascuna categoria).
Se si consultano i dati pubblicati dalla Commissione europea ad aprile scorso, si vede che addirittura il 93% (senza contare quelli concessi nel Quadro temporaneo Covid-19) di tutti gli aiuti di Stato sono concessi senza previa notifica a Bruxelles.
Secondo i dati della Commissione Ue, il 93% di tutti gli aiuti di Stato (senza contare quelli concessi nel Quadro temporaneo Covid-19) sono concessi senza previa notifica a Bruxelles.
Ciò detto, nella pratica, sapere se si ha a che fare con un aiuto di Stato è importante, sia dal punto di vista dell’impresa beneficiaria sia da quello di un’impresa concorrente.
Un aiuto ricevuto senza che lo Stato lo abbia prima notificato alla Commissione europea e senza che fosse esente perché coperto dal Regolamento di esenzione Gber espone l’impresa beneficiaria a un duplice rischio: (a) di dover restituire gli aiuti illegali con gli interessi, se destinataria di un’azione legale (private enforecement) che può essere attivata davanti al giudice amministrativo e, (b) nel frattempo, oltretutto, di non potere ricevere altri contributi, il tutto a prescindere dalle eventuali valutazioni pendenti di compatibilità della Commissione europea.