L’Italia, campione di biodiversità alimentare e di diffusa imprenditorialità, soffre di fragilità insite sia nella ridotta dimensione delle imprese che nella dipendenza dal mercato estero, infatti, nonostante negli ultimi 10 anni le esportazioni siano cresciute del 70%, abbiamo assistito lo scorso anno al ritorno del deficit della bilancia commerciale, non a caso quindi il Governo pone l’accento sull’esigenza di proteggere e promuovere la nostra sovranità alimentare.
L’appartenenza all’Unione europea è fonte di grandi opportunità in termini di mercato e di protezione strategica, ma ci obbliga alla ricerca continua di accordi tra i 27 partner, che non pregiudichino gli interessi nazionali.
Il piano strategico per la politica agricola comune, definito dopo 42 mesi di trattative, ha quattro direttrici principali: sostegno finanziario agli agricoltori; sostenibilità sia a livello ambientale che economico e sociale; sviluppo delle aree interne; utilizzo dell’agricoltura di precisione. Da più parti sono state sollevate riflessioni critiche relative alla Pac sia per la complessità del testo, composto di migliaia di pagine, che per il rischio, che l’obiettivo della produttività e della tutela delle imprese agricole non sia raggiungibile in presenza delle perturbazioni di mercato che sono avvenute in questi anni della post pandemia e con i rincari della energia causati dalla aggressione russa all’Ucraina. Buone notizie ci vengono dall’Europa sulla tutela dei prodotti di indicazione geografica protetta: Paolo de Castro, artefice della proposta, dichiara: «È un modello più forte, basato sulla qualità, il testo approvato all’unanimità dalla commissione agricoltura dell’Euro Parlamento per la protezione Dop e Igp e per la trasparenza verso i consumatori».
A conferma della pluralità dei punti di vista in seno all’Europa sono emerse invece di recente almeno quattro aree di discussione tra il nostro Paese e altri membri. L’Irlanda vuole imporre etichette per il vino, in linea con quanto avvenuto per il tabacco, che ne sconsigliano il consumo con indicazioni di nocività per la salute. È ben noto che l’Irlanda soffre di livelli di alcolismo ben superiori al resto d’Europa, ma ciò non deriva certo dal consumo di vino che, se bevuto con moderazione e durante i pasti, è ritenuto da molti addirittura salutare. Altrettanto rischiosa è la proposta, proveniente da grandi multinazionali, di etichettare i prodotti agroalimentari con punteggi sintetici “nutriscore” che privilegiano aspetti calorici rispetto alla valenza del prodotto stesso e in tal senso il Ministro Lollobrigida ha dichiarato: «C’è un tentativo di avere un’etichettatura che non serve ad informare, ma a condizionare il consumatore a danno di produttori di altissima qualità che garantiscono benessere». L’Italia si oppone inoltre ai cibi sintetici, almeno fino a quando non ci saranno dati scientifici certi su ambiente e salute.
L’Irlanda vuole imporre etichette per il vino, in linea con quanto avvenuto per il tabacco, che ne sconsigliano il consumo con indicazioni di nocività per la salute
Un’altra area di attenzione è costituita dalla progressiva differenziazione che esiste tra prodotti di qualità del settore vitivinicolo, che macinano record sia di consumi interni sia di esportazione specie in termini di prezzo, e il resto delle produzioni di minore qualità che vedono crescere in maniera estremamente preoccupante le giacenze. Esiste oggi una alternativa, già adottata dalle legislazioni di altri Paesi, quella dei prodotti dealcolati. In termini di sovranità alimentare assume grandissima rilevanza la difesa dall’Italian sounding, la concorrenza illegale portata alla nostra produzione da prodotti falsi. Questo fenomeno è di grande rilevanza in quanto stimato una volta e mezza l’export di prodotti genuini.
Per la protezione del consumatore e a difesa della produzione nazionale, le nostre autorità agiscono in tutte le sedi dal Wto ai tribunali locali.
La filiera agroalimentare rappresenta infatti sia in termini di Pil che occupazionali il primo settore dell’economia nazionale a cui va aggiunto il rilevante impatto sul settore della meccanica e del turismo. Le sfide però non sono solo quelle internazionali. Occorre infatti che il nostro Paese agisca rapidamente per colmare i deficit infrastrutturali quali: esigenze idriche – in presenza di accelerati cambiamenti climatici e fenomeni di siccità occorrono nuovi bacini e reti efficienti; energia – per la componente agricola può trovare soluzioni con i fondi del Pnrr; logistica – assume un aspetto dirimente il completamento delle reti autostradali e ferroviarie.
L’Italia del food & wine ha bisogno di un piano industriale che sani questi deficit e tenga nella necessaria considerazione anche l’aspetto della formazione. Il nostro Paese ha il triste primato di avere una bassa produzione di laureati e una offerta di aggiornamento professionale limitatissima. Ci dobbiamo impegnare, ed in questo Federmanager può svolgere un ruolo trainante, per offrire agli operatori della filiera percorsi di miglioramento e innovazione in tutte le discipline ed in particolare nel campo del digitale sia per l’agricoltura di precisione che nell’utilizzo del web. Chiudo menzionando la meritoria iniziativa interministeriale di candidare la “Cucina italiana” quale patrimonio Unesco, la Francia lo ha ottenuto già nel 2010.