Se è vero che tutte le generazioni subiscono l’imprinting generato dagli eventi storici, politici, culturali sperimentati nel corso della crescita, giungendo a una diversa interpretazione della realtà e dell’esistenza, la visione del presente e del futuro per oltre 10 milioni di giovani che compongono la coorte della Generazione Z – di cui faccio parte per un soffio – non dovrebbe discostarsi molto da quella del pessimo cosmico teorizzato da Leopardi. La nostra, infatti, si profila come la generazione a cui la Storia ha consegnato una serie innumerevole di primati, nostro malgrado non sempre positivi.
Siamo i primi nativi digitali, ma soprattutto i primi a non aver mai vissuto in un mondo privo di conflitti armati, minacce di terrorismo e crisi economiche. Siamo la generazione della consapevolezza dell’emergenza climatica e della crisi energetica. Cresciuti sotto la “patina dell’incertezza”, come funamboli camminiamo su un filo sospeso, tra la precarietà emotiva e quella lavorativa.
Eppure, se fosse stato possibile scegliere, non credo avremmo rinunciato ad essere figli della nostra epoca neppure nel più buio dei 55 giorni intercorsi tra il 9 marzo e il 3 maggio 2020, quando la Storia ha voluto collezionassimo nuovi primati: siamo stati i primi a sperimentare la didattica a distanza in anni cruciali per la nostra formazione; i primi a conseguire titoli di studio in pantofole; i primi ad avviare stage e tirocini senza aver mai incontrato il datore di lavoro o i nostri colleghi, in un mondo anomalo che ormai definiamo “smart”.
Cresciuti sotto la “patina dell’incertezza”, come funamboli camminiamo su un filo sospeso, tra la precarietà emotiva e quella lavorativa.
In quel tempo sospeso, avremmo potuto galleggiare o addirittura affogare nel mare della frustrazione e dello sconforto, ma ancora una volta – per primi – siamo riusciti a fare in modo che “l’incertezza” – ospite non gradita che speravamo abitasse per poco le nostre giovani vite – divenisse la nostra unica certezza. Avvezzi ad apprendere idiomi e linguaggi nuovi, abbiamo tradotto i nostri sogni nella lingua dell’incerto e con fatica stiamo imparando giorno dopo giorno l’arte del trasformare momenti di crisi in occasioni di rinascita e sperimentazione.
Pur consapevoli e quasi arresi all’idea che la Storia continuerà inesorabile a sottoporci a nuove sfide e che la realizzazione delle nostre visioni si collocherà in uno scenario economico e geopolitico sempre più complesso, chiediamo alle generazioni che hanno preceduto la nostra di non prender parte alla commiserazione di una “generazione plasmata dalle crisi o annichilita dall’incertezza”: avremmo potuto cedere al pessimismo cosmico e invece ogni giorno cerchiamo la chiave giusta per aprire le porte del nostro futuro.
Per questo, siate generosi, condividete con noi il vostro sapere, la vostra esperienza: supportateci nel coltivare il giardino delle competenze per far fiorire i nostri talenti in famiglia, a scuola e nel mondo del lavoro.
Infine, alle istituzioni che nelle vite di molti dei miei coetanei appaiono come entità rarefatte, ad esse vorremmo chiedere forse di più ma credo basti, per il momento, che assolvano all’arduo compito di creare e mettere a nostra disposizione se non opportunità, almeno gli strumenti di cui abbiamo bisogno per creare occasioni che sapremo sicuramente sviluppare da soli.