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Indietro non si torna

Modelli organizzativi da rinnovare e attenzione agli obiettivi, in un contesto di fiducia. Concezioni obsolete addio, è tempo di impegnare gli “architetti del nuovo lavoro

La pandemia ha accelerato la grande trasformazione del lavoro. E ciò sta avvenendo in una fase in cui le nuove tecnologie digitali e dell’Ict (Information and communication technologies) avevano già abilitato un profondo e rapido cambiamento del lavoro. Non solo, il lavoro è il crocevia delle tre grandi transizioni (digitale, climatico-ambientale, demografica).

Tutti questi elementi connotano pertanto come irreversibili i cambiamenti in corso, lasciando delusi coloro che, per pigrizia, confondono le grandi trasformazioni come una moda qualsiasi, pensando “Passerà anche questa”.

Da tali considerazioni discende la necessità di comprendere le strategie migliori per accompagnare questi processi, contenendo i rischi ed estendendo le opportunità. La precondizione è comprendere che tutti questi mutamenti metteranno mano alla necessità di una nuova cultura del lavoro, di nuovi modelli organizzativi d’impresa e di una nuova visione integrale del lavoro.

Quasi un terzo dei lavoratori “fa” smart working, spesso in forma ibrida, con un 30-40% di possibilità di remotizzare il proprio lavoro. Il primo errore consiste però nel pensare che sia semplicemente “lavoro da casa”, e non solo perché vi deve essere naturalmente la possibilità di scelta del luogo; il secondo è pensare che l’introduzione di questa nuova forma di organizzazione del lavoro si possa fare coinvolgendo, nel progetto e nella formazione delle nuove competenze, solo la porzione dei lavoratori interessati. Terzo, lo smart working (e un po’ tutto il nuovo lavoro) è organizzato per obiettivi, il tempo di lavoro come unico parametro da retribuire è sempre inadeguato.

Gli ingredienti per una buona ricetta di smart working sono: autonomia e libertà (maggiori prerogative sul come, quando e dove) e responsabilità sul progetto e sugli obiettivi, in un contesto complessivo di fiducia.

Va da sé che i vecchi paradigmi su cui si sono sempre retti i modelli organizzativi aziendali, a partire dal controllo, sono incompatibili con le nuove forme di organizzazione del lavoro. L’idea che il controllo, magari “a vista”, sia garanzia di produttività è sbagliata e dannosa. Il controllo soffoca la produttività e il benessere delle persone.

Chi organizza il lavoro deve saper far funzionare le cose e, in particolare con un lavoro che delega alle macchine e agli algoritmi la propria routinarietà ed esalta il proprio ingaggio cognitivo, se non si dismettono i panni del “guardiano” e si indossano quelli di architetto e progettista del nuovo lavoro, difficilmente le cose funzioneranno. Figure preziosissime perché bisogna al più presto ridisegnare il lavoro, non lasciarlo fare solo alle tecnologie.

Ripensare i tempi di lavoro: la giornata lavorativa che inizia e finisce più o meno agli stessi orari ha utilità? La settimana di 40 ore su 5 giorni ha ancora senso? Etc, etc…

Il tempo di lavoro da quello di riposo e per sé è sempre meno “compartimentato”, se quello di lavoro è l’unico che può sconfinare sugli altri, senza regole e possibilità di autoregolamentazione, il rischio è di chiudere tutta l’innovazione dentro un “cottimo digitale” senza limiti.

Se il tempo di lavoro è l’unico che può sconfinare sugli altri, il rischio è di chiudere tutta l’innovazione dentro un “cottimo digitale” senza limiti

Con tempi e spazi immutati e precedente struttura contrattuale, non solo non si libera il nuovo lavoro, ma si impedisce di cogliere le opportunità di ridisegnare il lavoro che dà dignità e benessere alle persone e fa crescere al contempo la produttività.

Già in questi mesi vediamo, ad esempio, cosa provochi il ritornare alcuni giorni alla settimana nei vecchi spazi aziendali immutati. Tornare negli uffici scatolificio-scrivano-centrico, in alcuni casi, ha portato a fare webinar tra persone dello stesso piano o da un piano all’altro.

Per questo è il momento di scatenare ovunque gli architetti del nuovo lavoro. Capaci di ridisegnare il lavoro che le persone amano. E per questo, prima di tutto, è necessario saper scegliere.

Le attività di condivisione (strategica, delle criticità, etc..), di costruzione delle relazioni, si fanno guardandosi negli occhi e bisogna distinguerle dalle altre, per cui non c’è motivo di affrontare chilometri, oltre a intasare e inquinare le città, che invece devono essere sempre più policentriche.  Per questo, occorre che anche gli spazi di lavoro siano ridisegnati, perché spingano “in presenza” al ben fatto, insieme, e si rapportino alle altre modalità facendo in modo che i tempi del lavoro non mortifichino il resto della vita.

Coloro che credono che il vecchio paradigma del “controllo” sia foriero di produttività, non hanno mai capito cosa sia la produttività e forse non sarebbero capaci neanche di misurarla. Come nella bellissima serie televisiva “Mr. Robot”, il controllo non solo in epoca post-fordista è inutile, ma è soprattutto un’illusione. Un’illusione da cui bisogna liberare i modelli organizzativi, per evitare che altrimenti vi sia un deterioramento del benessere e della produttività.

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