Dopo una gestazione durata quasi un anno, il Transatlantic investment committee (Tic) è stato presentato il 28 ottobre scorso, alla presenza del ministro degli Affari esteri e della Cooperazione internazionale, Luigi Di Maio, dell’Ambasciatrice italiana negli Stati Uniti, Mariangela Zappia, e del chargè d’Affaires ad interim degli Stati Uniti d’America in Italia, Thomas Smitham, in un evento co-organizzato da associazione Amerigo, American chamber of commerce Italia, Federmanager e Centro studi americani.
Come sottolineato all’assemblea generale di AmCham dall’Ambasciatore Philip T. Reeker, Acting assistant secretary, Bureau of European and Eurasian affairs: « When we think about Transatlantic affairs we can think about US-Italy relation, because Italy is one of our oldest and closest partners. From day 1 of his administration, President Biden sent a clear message to the world: the US is recommitting to our alliances and partnerships and to meet the challenges of our times and the economic reconstruction of our societies ». Discorso ripreso anche dal ministro dello Sviluppo economico Giancarlo Giorgetti, sempre all’assemblea di AmCham e nel corso del suo recente viaggio in Usa, culminato il 23 ottobre nella partecipazione al 46° gala dinner della National Italian American foundation di Washington.
Dal punto di vista delle relazioni bilaterali, va detto che al solido legame commerciale tra i nostri Paesi fa da contraltare una strada da percorrere ancora lunga in materia di investimenti reciproci. Oggi l’Italia non è ancora pienamente nel radar degli investitori internazionali e riveste un ruolo marginale nell’attrarre flussi di capitale produttivo. A partire dal 2008, anno della crisi finanziaria globale, gli Investimenti diretti esteri (Ide) americani nel nostro Paese sono passati da $27,7 miliardi agli attuali $34,9 miliardi. Troppo pochi se comparati ai principali concorrenti europei: la Spagna è a quota $40,8 miliardi, la Francia a $83,8 miliardi e la Germania addirittura a $148,3 miliardi (con alcuni investimenti iconici, come la mega-fabbrica di Tesla che aprirà alle porte di Berlino), in un’Europa che attrae circa il 60% dello stock Usa investito globalmente – oltre tre volte e mezza di quanto destinato all’Asia-Pacifico. In compenso, è stata sorprendente la crescita di Ide italiani negli Usa con un valore passato da $19,5 miliardi (nel 2008) a $32,8 miliardi (+68%).
A partire dal 2008, anno della crisi finanziaria globale, gli Investimenti diretti esteri (Ide) americani nel nostro Paese sono passati da 27,7 miliardi di dollari agli attuali 34,9 miliardi
I dati relativi al flusso commerciale sono invece nettamente migliori: storicamente il dato italiano è stato superiore a quello americano. Il nostro export vale $49,5 miliardi (primo mercato extra europeo) e riguarda principalmente macchinari, autoveicoli, pharma e food; oltre il doppio dell’import, che si attesta a $19,9 miliardi. In ogni caso, guardando all’ultimo biennio, c’è da essere ottimisti, perché il clima di fiducia tra Italia e Usa sta trovando compimento in diversi investimenti, in alcuni casi anche strategici, che stanno rafforzando un’intesa che appare inossidabile: ricordiamo, ad esempio, che non c’è stata alcuna misura di golden power attuata nei confronti degli Usa.
Per attrarre maggiori investimenti, è necessario ‘fare sistema’. Ben prima del Presidente francese Macron, che nel 2018 ha lanciato ‘Choose France’, AmCham Italia, grazie all’ormai consolidato ruolo di key gateway per gli investimenti transatlantici in Italia, aveva ribadito l’esigenza di un contenitore, ‘Select Italy’, che fungesse da catalizzatore onnicomprensivo di promozione dell’Italia nei confronti degli investitori esteri. Un’iniziativa con l’obiettivo di fornire un primo inquadramento delle opportunità di investimento presenti in Italia (es. pacchetti di incentivi nazionali e/o regionali, contatti con agenzie per lo sviluppo, ecc.), in un’ottica ‘from match-making to deal-making’.
Perché l’Italia piace, come ribadito a Roma dal Ceo di Intel, Pat Gelsinger, che ha incontrato i massimi vertici istituzionali (senza dimenticarsi di Papa Francesco), spiegando che l’Italia “è in corsa per una fabbrica da 100 miliardi di dollari”. Parole che fanno eco a quelle del Ceo di J.P. Morgan, Jamie Dimon: “È un Paese che sta attraversando una fase di rinnovata espansione economica, avrà una buona crescita quest’anno e trarrà ulteriori vantaggi dalla eccezionale leadership di Draghi”.
Il Tic nasce proprio per questo motivo, in un contesto globale caratterizzato da profondi cambi di paradigma: tecnologie, molte delle quali disruptive, e trasformazioni socio-economiche che nel decennio appena iniziato – non a caso definito da molti come “decennio-cerniera” – impatteranno sul lavoro, la salute e talora sul concetto stesso di “umanità”. Il loro palesarsi pone al mondo anzitutto una sfida intertemporale: come garantire che il benessere, che progressivamente si è esteso a gran parte del globo, conviva negli anni con il concetto di sostenibilità, se non addirittura di “sopravvivenza della specie”.
Il Tic nasce in un contesto globale caratterizzato da profondi cambi di paradigma: tecnologie e trasformazioni socio-economiche che impatteranno su lavoro, salute e sul concetto stesso di umanità
Un contesto in cui è in atto anche un epocale riposizionamento geopolitico, con effetti sull’accezione stessa di multilateralismo così come intesa negli ultimi venti anni, e in cui trovano spazio nuovi formati, come l’Us-Eu trade and technology council, che mirano a valorizzare la collaborazione in ambito commerciale e sulle innovazioni di due aree del mondo che hanno in comune valori e punti di riferimento.
È questo il mondo in cui il Tic prende vita. Nei prossimi mesi, il comitato intende alimentare un dibattito fruttuoso tra Italia e Stati Uniti su questi argomenti, con l’obiettivo di trovare, condividere e promuovere l’applicazione di soluzioni e strumenti che incrementino la capacità dei nostri due Paesi di rispondere, insieme, alle sfide che questo mutato scenario ci pone.
Il Tic è una piattaforma che muove dal contributo dei quattro fondatori, ma è aperta ad altre realtà interessate. Al suo interno, la riflessione, e l’azione, su misure sistemiche e dalla valenza transatlantica, saranno orientate a generare il rafforzamento dei rapporti commerciali e di investimento tra Italia e Stati Uniti, come “medium” per ottenere, insieme, un migliore posizionamento globale dei nostri sistemi produttivi e della ricerca. Un programma, quindi, che mira ad accelerare i processi di interazione tra i nostri Paesi, per elevare la capacità di competere in un mondo sempre più liquido.
Ci prefiggiamo di massimizzare il potenziale congiunto delle realtà produttive e dei centri di eccellenza americani e italiani, nel contesto delle transizioni sociali e geopolitiche in atto. Per far questo, intendiamo mettere in campo le migliori risorse di cui disponiamo: le persone che, da un capo all’altro dell’Oceano, si riconoscono nella rete di competenze e valori che ispirano i fondatori ed altri che si dovessero avvicinare al programma.
Le linee su cui il Tic si muoverà sono molteplici. Lavoreremo anzitutto a un rapporto, che da qui a dodici mesi, individui, attraverso il coinvolgimento di personalità del mondo politico, della finanza, dei think tank e delle corporate in Italia e Stati Uniti, su quali scenari sia più opportuno concentrare il nostro lavoro e quali strumenti risultino più adatti a favorire un maggiore interscambio e più investimenti bilaterali, come chiave per accrescere la nostra competitività congiunta. Nell’attuale scenario, sia il Piano nazionale di ripresa e resilienza in Italia che il Piano per le infrastrutture che il Congresso americano sta discutendo in questi giorni, possono rappresentare dei potenti acceleratori di una strategia finalizzata a rendere la collaborazione tra imprese, ricercatori e investitori italiani e americani, il sostrato su cui costruire il posizionamento competitivo dei nostri Paesi.
Punteremo poi ad accrescere la reciproca conoscenza delle opportunità su cui i nostri sistemi produttivi e della ricerca possano co-investire nei prossimi anni: a tal fine, immaginiamo di realizzare un roadshow in alcune regioni italiane e alcune missioni ad hoc in Europa (a Bruxelles, entro la primavera del 2022) e negli Stati Uniti, rispondendo al cortese invito dell’Ambasciatrice Zappia a presentare a Washington i primi risultati.
Ci concentreremo infine sull’empowerment delle persone – manager e imprenditori anzitutto – e sulla costruzione di un’adeguata consapevolezza nel mondo delle istituzioni e della finanza, perché qualsiasi progetto sfidante si basa sulla capacità di donne e uomini di comprenderne le potenzialità e perseguirne la realizzazione.
Il committee si concentrerà sull’empowerment di manager e imprenditori e sulla costruzione di un’adeguata consapevolezza nel mondo delle istituzioni e della finanza
In questo tempo di sfide globali, la certezza che abbiamo è che l’intesa tra Washington e Roma è più importante che mai, per rinnovare e accrescere il capitale di fiducia su cui si fonda la comune azione a favore della sicurezza, di un ordine internazionale basato su regole, della tutela dei diritti umani e di uno sviluppo globale sostenibile. Grazie alla leadership di Mario Draghi, l’Italia aderisce con convinzione a tale compito, nella consapevolezza che Stati Uniti e Ue siano chiamati a lavorare sempre più strettamente insieme, come negli ultimi 160 anni.