Un rappresentante di interessi specifici nell’ambito di un processo democratico, che ha la finalità di ottenere, tramite la sua attività, l’accoglimento dell’interesse rappresentato presso il decisore pubblico. Questa è la definizione base per chiarire chi è e cosa fa il lobbista.
Tuttavia, nell’ambito di questo citato processo democratico, il lobbista non viene riconosciuto ufficialmente come portatore intrinseco di valore quale è. Molto più di frequente, piuttosto, è indicato come un soggetto rallentatore del policy making. Nonostante il ruolo positivo e professionale, infatti, c’è più di un fattore che finora ha contribuito a creare una percezione pubblica distorta. L’assenza di una cultura diffusa della trasparenza rispetto alle loro attività, per esempio, unita storicamente alle vicende che legavano la figura del lobbista al condizionamento indiscriminato dei partiti, con l’aggiunta poi di una scarsa volontà del legislatore di normare il settore.
E se negli ultimi anni sono proliferate società di consulenza che offrono servizi professionali, e nelle maggiori aziende la figura del direttore degli affari istituzionali ha assunto ruolo sempre più centrale nelle scelte strategiche e di business, la strada per conferire il giusto riconoscimento formale a chi svolge questa professione è ancora in itinere.
Chi è il lobbista e che ruolo ha nelle scelte del legislatore?
Innanzitutto, deve essere una persona empatica (dal greco em-pathos, sentire dentro). Vuol dire possedere un’innata capacità di interpretare la controparte, di comprendere le posizioni del legislatore quando porterà nell’arena parlamentare l’interesse che gli è stato chiesto di rappresentare, se sarà in grado di supportarlo e quanto lo farà suo ai fini del dibattito politico.
La consapevolezza della propria preparazione, e l’avere costruito un dossier forte, non sono però garanzia di successo.
Se il lobbista non è capace di prevedere come agirà lo stakeholder che ha individuato per la sua attività di lobbying, difficilmente otterrà un risultato positivo. L’abilità di rappresentare un interesse deve essere dunque costruita da un professionista, in grado di districarsi tra i complessi processi legislativi e i contenuti che rappresenta.
Sono altrettanto indispensabili lo standing personale, unito a una spiccata dote di analisi del contesto politico, al fine di ottenere il supporto del decisore a difendere un interesse o a rappresentarlo anche dando vita – ove necessario – a nuova legislazione.
Non da ultimo, è utile che non abbia una connotazione politica conclamata, in modo da svolgere l’attività di rappresentanza in maniera trasversale senza generare cortocircuiti con le istituzioni. Una caratteristica che contribuisce a sostenere la cultura della managerialità del lobbista, più che mai necessaria per fare un distinguo netto con faccendieri e “sottobraccisti”, tutt’oggi presenti nei corridoi dei palazzi del potere.
Per il lobbista è utile non avere una connotazione politica conclamata. Così si può sostenere quella cultura della managerialità necessaria a fare un distinguo netto con faccendieri e “sottobraccisti”
Come incidere nel processo legislativo dunque?
Sarebbe riduttivo riassumere che l’obiettivo reale del professionista del lobbying consista nella capacità di promuovere un interesse particolare. Tutt’altro. Persegue in verità un obiettivo più ampio che ha a che fare con la costruzione di un posizionamento che possa contribuire al miglioramento della legislazione vigente, per renderla maggiormente adeguata ai tempi, e idonea alle esigenze reali dei soggetti coinvolti. I portatori di interesse professionali riescono a fornire elementi di innovazione nel processo legislativo, che altrimenti non sarebbe contaminato dalle istanze di stakeholder esterni nel processo di formazione delle leggi. È necessario che il lobbista moderno sappia rapportarsi tanto con la politica e il decisore pubblico, quanto con i soggetti economici che andrà, di volta in volta, a rappresentare.
Se alcuni anni fa la principale attività del lobbista era quella emendativa in ambito legislativo, oggi è sempre maggiore la costruzione di valore attraverso campagne di advocacy (grassroots lobbying), finalizzate a influenzare indirettamente il decisore attraverso l’utilizzo di terze parti, non coinvolte nel processo decisionale. Attività che hanno l’obiettivo di creare ampia conoscenza su un tema, con la finalità di influenzare un inner circle di decisori pubblici, per la creazione di nuove policy di settore attraverso un ampio utilizzo della comunicazione, così da ottenere il massimo in tema di gestione dei messaggi e profusione dello storytelling stabilito.
Managerialità, dunque, è la parola d’ordine per l’attività di lobbying moderna. L’obiettivo, quello di ottenere un risultato win-win per tutti gli attori di un’arena competitiva.
Se manca proprio quella legge
Nel 2011 l’Unione europea ha creato a Bruxelles un registro per i portatori di interesse, seppur con iscrizione su base volontaria, riconoscendo così il ruolo del lobbista come soggetto essenziale per il processo di formazione delle leggi. In Italia finora non si è dato seguito alle numerose proposte di legge, e iniziative presentate negli anni, molte delle quali dall’impostazione punitiva o finalizzate a limitare l’ambito d’azione dei rappresentanti d’interesse.
Un quadro normativo equilibrato – univoco e valido per tutte le istituzioni – contribuirebbe non solo a disciplinare diritti e doveri dei lobbisti, ma soprattutto a stabilire le regole d’interlocuzione con le istituzioni.
L’assenza di regole non ha di certo aiutato nella “innovazione culturale”, e quindi nel cambiamento della percezione generale nei confronti della figura del lobbista. Di contro, l’indebolimento progressivo dei corpi intermedi, insieme a un rafforzamento del ruolo del governo nelle attività legislative un tempo appannaggio esclusivo del Parlamento, ha dato vigore a una maggiore richiesta di rappresentanza, anche da parte dei gruppi di interesse. Il mercato è profondamente cambiato, consentendo la professionalizzazione della figura del rappresentante di interessi. Spetta ora alla politica compiere l’ultimo passo verso una definitiva regolamentazione del settore.
L’indebolimento progressivo dei corpi intermedi ha dato vigore a una maggiore richiesta di rappresentanza anche da parte dei gruppi di interesse