Gli Stati Uniti stanno oggi raccogliendo i cocci di mesi da dimenticare, culminati con l’assalto a Capitol Hill del 6 gennaio scorso. Una ferita evidente e una profonda vergogna per gli americani, da sempre convinti di vivere nella “democrazia per eccellenza”.
Dennis Redmont, Senior executive adviser di Edelman
La pagina nera di Capitol Hill ha invece mostrato un “colosso dai piedi di argilla”, colpito innanzitutto nel presidio della sua vita democratica. A seguito di questo scellerato tentativo di insurrezione, sono morte ben 5 persone; dai video della giornata riemerge un passato buio, riportato al centro dell’attualità da simboli come la bandiera degli Stati confederati d’America, utilizzata come feticcio da esibire.
L’assalto a Capitol Hill è una ferita evidente per chi era convinto di vivere nella “democrazia per eccellenza”
Nessuno avrebbe mai creduto a una rivolta del genere e gli stessi giornalisti americani sono rimasti inizialmente spiazzati nella copertura della notizia, diffusa in maniera più efficace dagli inviati britannici e australiani.
La ferita del 6 gennaio ha causato inoltre contromisure da “stato d’assedio”: avere a Washington, per il giorno dell’insediamento del nuovo presidente, complessivamente più soldati di quanti ne siano al momento impegnati in Iraq, Siria e Afghanistan, ha determinato un vero trauma collettivo.
Biden deve quindi ripartire da questo scenario. Aggravato naturalmente dall’impatto devastante della pandemia, che ha causato negli Stati Uniti oltre 500 mila decessi.
Per quanto riguarda le azioni politiche immediate, il nuovo presidente sembra voler insistere sul messaggio della riconciliazione di un Paese che le elezioni hanno mostrato sostanzialmente diviso. A partire da una rappresentatività, all’interno dell’esecutivo, che sia in grado di interpretare i diversi volti dell’America.
Oltre a Kamala Harris, di padre giamaicano e madre indo-americana, prima donna vicepresidente degli Stati Uniti, nel nuovo governo ci sono, ad esempio, Lloyd Austin, ex generale, afroamericano e cattolico come segretario alla Difesa e l’ispanico Miguel Cardona come segretario all’Educazione. Ma i segnali di apertura potrebbero proseguire ulteriormente: è possibile infatti che, nel corso del suo mandato, Biden nomini persino un repubblicano all’interno della sua squadra, per esprimere pienamente l’idea di una riconciliazione nazionale.
All’inizio di questo 2021 sono quattro i grandi fronti aperti per gli Usa: emergenza Covid, ripresa economica, relazioni internazionali e lotta ai cambiamenti climatici.
Per quanto riguarda le misure adottate per la pandemia, oggi negli Stati Uniti ci sono più di un milione di vaccinati al giorno; le vaccinazioni vengono effettuate pure nelle farmacie commerciali e negli stadi della National football league (Nfl). Anche in questo caso è in campo l’esercito, per garantire che tutte le procedure siano rispettate correttamente; Biden ha inoltre firmato un decreto esecutivo che rende obbligatorio l’utilizzo delle mascherine in tutti gli edifici del governo e nei luoghi federali: un deciso cambio di rotta che sintetizza lo sforzo di mettere privato e pubblico a sistema nella grande sfida per debellare il Covid-19.
Anche in America l’emergenza sanitaria ha fatto esplodere la crisi economica. Le misure per stimolare l’economia volute da Trump, nella fase in cui la disoccupazione negli Usa ha sfiorato il 15%, hanno generato un aumento del reddito familiare medio del 6% nel 2020, perciò il presidente uscente ha raccolto ben 74 milioni di voti. Adesso, per stimolare i consumi e aiutare le tante persone in difficoltà, l’amministrazione Biden ha presentato un piano che prevede l’emissione di un assegno da 1.400 dollari per circa 88 milioni di americani; una misura che sta facendo molto discutere, sia all’interno del Congresso, appena uscito dalla gestione della procedura di impeachment di Trump, sia nel settore degli analisti economici.
Per stimolare i consumi è stata decisa l’emissione di un assegno da 1.400 dollari in favore di 88 milioni di americani
Sul fronte delle relazioni internazionali, Biden guarda alla nuova Europa colpita dalla Brexit. Il presidente aveva già più volte espresso, in passato, la sua contrarietà a un’uscita del Regno Unito dall’Ue e non solo per motivazioni strettamente politiche. A Biden la Brexit non piace anche perché vede un insidioso collegamento tra parte dei Brexiteers ed esponenti dell’estrema destra statunitense, come ha dimostrato il caso di Cambridge analytica. A tali motivazioni si aggiungono alcune discutibili prese di posizione da parte di Boris Johnson che hanno suscitato, nel corso del tempo, reazioni molto forti tra i democratici statunitensi. Si pensi alla sua recente polemica sul busto di Churchill: un simbolo eliminato inizialmente dallo studio ovale, con Obama, poi rivoluto fortemente da Trump e adesso rimosso nuovamente da Biden. Come John Fitzgerald Kennedy, Biden è inoltre cattolico e di origini irlandesi, potrebbe pertanto consolidare notevolmente i rapporti tra Usa e Irlanda.
Il Regno Unito faticherà quindi a mantenere il ruolo di “procuratore” degli Usa all’interno dell’Ue e fanno già capolino interlocutori privilegiati nuovi, come i Paesi Bassi. Anche l’Italia, con Mario Draghi, potrebbe scalare posizioni nella classifica dei paesi europei più ascoltati. Draghi è infatti molto stimato dall’amministrazione Biden e un ruolo decisivo nei rapporti con il Belpaese potrebbe essere giocato dalla First lady, Jill Biden, che vanta origini italiane: il nonno emigrò dalla Sicilia negli Usa agli inizi del Novecento.
Ma, al di là dei rapporti europei, una partita fondamentale è quella che Biden vuole giocare per contrastare l’autoritarismo di Russia e Cina. Il nuovo presidente punta sul ruolo della diplomazia e della cooperazione e, proprio in quest’ottica, ha fortemente voluto la nomina di Antony Blinken a nuovo segretario di Stato. Un uomo dalla lunga esperienza diplomatica che ha inteso subito porre l’accento sul ruolo degli Stati Uniti nella scrittura delle regole del mondo, con attenzione specifica al rispetto dei diritti civili. Senza dimenticare il diritto di cronaca, spesso calpestato in quei paesi, con tragiche conseguenze personali per alcuni giornalisti.
Rispetto al Medio Oriente l’amministrazione Biden potrebbe invece lanciare anche segnali di continuità: non sarà probabilmente modificata la decisione di Trump di spostare a Gerusalemme l’ambasciata in Israele e si manterranno accesi i riflettori sull’Iran per controllare al meglio la questione del nucleare. Ci sono poi da gestire i mai semplici rapporti con i paesi della penisola arabica, in continua evoluzione perché negli ultimi anni gli Stati Uniti sono i più grandi produttori di petrolio al mondo. Non si ragiona quindi più in termini di dipendenza.
Sul clima, infine, oltre alla decisa presa di posizione di Biden in favore degli accordi di Parigi, ha catturato l’attenzione la nomina di John Kerry a inviato presidenziale speciale degli Stati Uniti per il clima. Sarà una specie di consigliere-ombra di Biden, è stato segretario di Stato nell’amministrazione Obama e ha condiviso una lunga militanza in senato con l’attuale presidente.
Kerry aiuterà gli Usa a riprendersi quel ruolo di leadership sul clima che era stato smarrito e potrà influire anche nella creazione di consenso all’interno del Paese su un tema che, con Trump, era stato posto oggettivamente in secondo piano. A tutto vantaggio di altri player mondiali che invece hanno lanciato segnali di una crescente sensibilità in materia.