“Blade Runner” di Ridley Scott, un film distopico girato nel 1982 e ambientato nel futuro 2019, dove un giovane Harrison Ford dava la caccia a replicanti insubordinati. Di quel film, la cosa che mi colpì molto erano le immagini della Los Angeles rappresentata dal regista: piovosa, sovrappopolata, inquinata e sterminata. Immaginavo quel futuro, cercando di indovinare la sensazione che si potesse provare risvegliandosi in uno scenario del genere.
Quella sensazione spiazzante l’ho provata pochi giorni fa, arrivando a Chongqing, in occasione dello study tour organizzato da Federmanager Academy e dalla Fondazione Italia Cina. Ammetto che prima di leggere il programma di viaggio non avevo mai sentito parlare di Chongqing, come probabilmente molti tra coloro che stanno leggendo questo articolo.
Parliamo del più grande conglomerato urbano al mondo con 33 milioni di abitanti e una municipalità che supera i 130 milioni di individui con una densità abitativa che è circa il triplo di Los Angeles e un inquinamento ben più serio di Pechino.
Insomma la città più grande e popolosa al mondo, una città che incredibilmente si è sviluppata solo a partire dal 1997, quando il Partito comunista cinese ha attuato la cosiddetta politica Go West e ha costruito la diga delle “Tre gole”, uno dei più grandi progetti energetici della Cina attuale; l’effetto è stato il trasferimento di milioni di abitanti, attraverso una riforma del sistema dello hukou che per decenni aveva bloccato lo spostamento dalle zone agricole verso i centri urbani.
Ancora oggi arrivano in città oltre 1.300 persone irregolari dalle campagne per trovare lavoro in uno dei tanti cantieri che costantemente si aprono.
La città sta diventando sempre più il centro industriale strategico del pianeta, essendo di fatto la capitale dell’automotive in Cina. Tutti i più grandi brand, e non solo, puntano a questa zona del mondo con investimenti e partnership.
Per sviluppare i rapporti con l’Europa è attiva da qualche anno anche una ferrovia che collega la città alla tedesca Duisburg in sole due settimane, con un traffico merci sempre più efficiente.
Nel centro di Chongqing abbiamo avuto il piacere di incontrare il Vice console italiano Davide Castellani e la Camera di commercio italiana in Cina, i quali ci hanno illustrato le grandi opportunità della zona, ponendo l’accento sull’attenzione che qualsiasi impresa deve prestare a questa specifica regione del mondo.
Con una battuta il Vice console ci ha detto: “Chongqing conosce l’Italia come l’Italia conosce Chongqing”. Ovviamente, come detto da lui stesso, si tratta di un’esagerazione, non siamo conosciuti come entità legata all’Europa ma solo per il fashion e per alcuni noti marchi del lusso.
Per l’Italia e gli italiani ci sono grandi opportunità di business e sviluppo. Per ora i nostri connazionali a Chongqing sono appena 150, un numero irrisorio ma, come detto a più riprese da tanti degli interlocutori incontrati durante queste giornate di study tour, bisogna “guardare alla Cina e fare business in Cina”. Certo, ma la prima domanda da porsi è: “Vengo in Cina a fare cosa?”.
È finito il periodo in cui si andava fin lì per produrre a basso costo per l’export. Non esiste più quel mondo. Si va per conquistare il mercato interno. È il primo, o al massimo secondo, mercato al mondo per quasi tutti i settori industriali.
Chongqing la città più grande e popolosa al mondo: 33 milioni di abitanti e una densità abitativa tre volte Los Angeles
Il programma Made in China 2025 parla chiaro: puntare sulla crescita qualitativa e non quantitativa. Bisogna avere i prodotti giusti, ci vogliono competenza e conoscenza della cultura cinese perché questa città può essere un’occasione davvero unica per sviluppare progetti.
L’Italia ha una grande forza, riconosciuta a più riprese durante il nostro viaggio: la qualità della classe manageriale, considerata tra le primissime al mondo e il grande apprezzamento per il nostro sistema educativo.
Se si intende fare business lì, è necessario studiare e prepararsi bene alla cultura orientale, a un differente modo di pensare e comunicare e, non da ultimo, alla barriera linguistica. Le aziende cinesi sono molto interessate al nostro know how e questa è una reale opportunità da sfruttare per attrarre i loro investimenti, stando attenti a non lasciarsi acquisire, bensì a stringere partnership di sviluppo finalizzate a posizionarsi nel mercato cinese.
Quindi, per fare business in Cina, un buon consiglio è quello di appoggiarvi sempre alle istituzioni italiane presenti, che abbiamo constatato essere tutte molto disponibili e proattive come l’Ambasciata, i Consolati generali, l’Ice, la Camera di commercio italiana in Cina e l’Enit. Non dimenticando che possano essere molto utili per tutelarsi dai brevetti cinesi.