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Under pressure

Tra annose questioni irrisolte, come un quadro normativo intricato e un’evasione dura da abbattere, l’Italia vive sotto pressione…fiscale. Con evidenti ricadute per famiglie e imprese

C’è un dato che per tanti è sempre più alto di quanto si speri e che sicuramente è tra i più alti in Europa. È quello della pressione fiscale. Nel secondo trimestre 2024, in Italia è stata pari al 41,3% del Pil, in aumento di 0,7 punti percentuali rispetto allo stesso periodo dell’anno prima, mostrano i dati Istat.

Molto più che in altri Stati europei, e anche rispetto alla media dell’Unione che era al 40,2% nel 2022, secondo l’ultimo rapporto sulla fiscalità nell’Ue, pubblicato a luglio scorso dalla Commissione europea.

Prima di fare un paragone con altri Paesi, però, è fondamentale avere presente quello che ci spiega il fiscalista Pietro Bracco: «Paragonare i dati della tassazione è difficile. Si possono mettere a confronto alcune aliquote, ma nel fare valutazioni a livello macro si deve ricordare che ogni Paese ha le proprie caratteristiche».

Quello europeo, infatti, è un quadro variegato, con livelli, e sistemi, di tasse differenti.

Il Paese in cui si pagano meno tasse è l’Irlanda, dove la pressione fiscale è al 20,9% secondo il già citato rapporto Ue, e c’è un sistema molto favorevole alle grandi imprese tanto che le tasse per le multinazionali sono state considerate vantaggi fiscali illegali da una sentenza della Corte di giustizia dell’Unione europea.

Gli investimenti stranieri attratti così negli anni sono ritenuti da molti alla base della forte crescita economica su cui il Paese ha potuto contare. L’aspetto controverso, secondo i critici, è una diseguale distribuzione della ricchezza. «In Irlanda, le tasse sono molto basse ormai da anni proprio per attirare investimenti stranieri – spiega Bracco -. Ma ovviamente il livello dell’imposizione va confrontato con quello dei servizi resi ai cittadini».

Secondo il fiscalista Pietro Bracco, a rendere complicata la fiscalità italiana sono due elementi: la complessità testuale e un’amministrazione finanziaria che complica l’applicazione delle norme

Tra i Paesi con le tasse più basse, anche la Romania: in rapporto al Pil il dato è al 26%. Ma in media tutti i Paesi dell’Europa orientale tendono ad avere una minore imposizione fiscale.

Il contrario di quanto avviene, per esempio, in Francia, dove le tasse sono le più alte dell’Ue, sempre secondo il rapporto sulla tassazione della Commissione europea: superano il 46% del Pil. Seguono Belgio, Austria e Finlandia, tutti sopra al 43%. In Germania il dato è paragonabile a quello dell’Italia, 41,7%, mentre in Spagna è inferiore: 38%.

In generale, nei 27 Stati dell’Unione europea, è avvenuto un lieve spostamento da tasse su lavoro e consumo a tasse sul capitale. Uno sviluppo legato in parte al fatto che i profitti delle imprese sono cresciuti più rapidamente dei salari, si legge nel rapporto della Commissione europea.

Ma le disuguaglianze, anche per via della fiscalità, restano forti, sostiene Oxfam, ong inglese che studia il tema. Su ogni 10 euro di tasse pagate in Europa nel 2022, 8 venivano proprio dall’Iva e da tasse sui lavoratori. Dalle imposte sulla ricchezza derivavano appena 60 centesimi.

La lettura diffusa è che tasse inferiori sulle multinazionali possano portare a una maggiore competitività. Ma non è detto che sia così, secondo un’analisi della Tax foundation, centro studi americano.

L’Irlanda, per esempio, nonostante le tasse molto ridotte per le imprese, è solo al 32esimo posto nella classifica dei sistemi fiscali più concorrenziali. Al primo posto, per l’undicesimo anno di seguito, c’è l’Estonia, dove l’imposizione fiscale è 32,9%. Questo, spiega la fondazione americana, grazie a una tassa al 20% sui ricavi delle aziende che viene applicata solo ai profitti che vengono distribuiti, c’è inoltre una tassa sulla proprietà che si applica solo al valore della terra piuttosto che a quello reale della proprietà.

E l’Italia? Per la Tax foundation il nostro è tra i sistemi fiscali meno competitivi nell’area Ocse nonché il peggiore in Europa.

Giudizi che, dice sempre il fiscalista Pietro Bracco, sono da prendere con le pinze: «Sicuramente il nostro sistema fiscale è complesso, tanto che una riforma già iniziata in epoca Draghi cercava di semplificarlo. Ma è difficile fare un paragone con altri Stati. E tra l’altro resta un sistema che dal punto di vista di donazioni e successioni è molto favorevole al contribuente».

In particolare, a rendere complessa la fiscalità italiana ci sono, secondo Bracco, due elementi: «La complessità testuale e un’amministrazione finanziaria che complica l’applicazione delle norme». Per questo motivo, spiega il fiscalista, «Non basta solo semplificare le norme ma ci vuole anche una pubblica amministrazione ben formata che le sappia applicare bene e rapidamente. In altre parole: un’Agenzia delle entrate che ha come sola finalità cercare soldi non serve, invece se ha come obiettivo la corretta amministrazione delle norme, può aiutare a far girare bene la macchina dello Stato».

E a raccogliere risorse economiche essenziali.

Soldi che spetterebbero allo Stato, ma che invece spesso non arrivano alle sue casse per via dell’evasione. Solo dall’Iva, l’Italia potrebbe avere un gettito da 135 miliardi, mentre nel 2022 ne sono stati versati 15 in meno, secondo un rapporto Unimpresa di quest’anno.

Un campo in cui, stando ai dati europei, facciamo molto peggio di altri Paesi. Secondo l’ultimo Vat gap report della Commissione europea siamo al primo posto tra chi non paga questa imposta. Un altro dato che, però, secondo esperti come Bracco va letto con cautela: «Tutto dipende da come si calcolano queste cifre. Per esempio, se un imprenditore ha versato l’Iva al 10% invece che al 22%, bisogna sempre vedere chi era la sua controparte nel pagamento».

In ogni caso, le sfide per il nostro Paese non mancano, soprattutto se si guarda anche agli altri Stati europei. Con una pressione fiscale al di sopra della media dell’Unione, l’Italia sconta una complessità normativa e un’elevata evasione fiscale che ostacolano la competitività. Una delle grandi difficoltà è proprio trovare un equilibrio tra un’imposizione fiscale equa e la promozione di un ambiente economico favorevole, in grado di attrarre investimenti e garantire servizi adeguati ai cittadini.

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