Possiamo andar fieri delle performance straordinarie che il Made in Italy realizza sui mercati globali. Un po’ meno del fatto che, salvo qualche eccezione, ci priviamo del piacere di veder valorizzata qui a casa nostra la ricchezza che nasce dalle piccole e medie imprese artigiane italiane, apprezzatissime all’estero.
Una di queste eccezioni è il Salone internazionale del Mobile che, con oltre 2.000 espositori, ha superato se stesso anche quest’anno, registrando il 26% delle presenze in più rispetto al 2017, provenienti da 188 Paesi. Con le sue manifestazioni a margine, tra tutte il FuoriSalone, Milano si è confermata capitale del design, polo di attrazione per i creativi di tutto il mondo, e motore di competitività per il Paese.
Parto dai risultati di questa 57esima edizione per sottolineare il valore del comparto dell’arredo. Secondo gli ultimi dati forniti da FederLegno, il giro d’affari ha raggiunto i 41 miliardi di euro nel 2016. Anche questo segmento della manifattura è trainato dall’export con percentuali che sfiorano il 40%.
Al pari di altri emblemi del Made in Italy, il settore deve la sua affermazione al mix di creatività artigiana e spinta all’innovazione. Ormai è fuori discussione che le aziende che innovano hanno più probabilità di aumentare il loro livello di internazionalizzazione.
Secondo alcuni però il settore del mobile è meno ricettivo di altri rispetto alla sfida digitale. Se togliamo l’interactive design e la domotica, il comparto del legno e dell’arredo guarda con interesse ad arte e design, non abbastanza all’innovazione di prodotto. Nell’era del 4.0 questa è invece una scelta obbligata per restare competitivi.
Lo ha dimostrato una ricerca recente del Politecnico di Milano che ha quotato in 185 milioni di euro il mercato delle soluzioni Iot per la cosiddetta “smart home”. Il potenziale di espansione di questa branch è notevole, soprattutto se consideriamo l’effetto traino che può generare su altre produzioni manifatturiere.
Anche in questo caso l’ago della bilancia lo farà il management. I brand del design italiano ormai si affidano a governance miste, italiane e straniere, che lavorano per capitalizzare il Made in Italy in un sistema globalizzato. Le competenze manageriali sono fondamentali per ottenere il duplice obiettivo: conquistare i mercati internazionali senza rinunciare alla paternità italiana della produzione.
Pertanto, dobbiamo continuare a investire sul talento e sulle capacità manageriali tentando di convincere il prossimo governo – se mai ci sarà – a continuare la programmazione di interventi pubblici a sostengo delle produzioni nostrane. Il piano straordinario per la promozione del Made in Italy approvato dal Mise all’interno dello Sblocca Italia è stato una valvola di propulsione per molte aziende italiane. L’estensione a tutto il 2018 dei bonus sui mobili, affiancato a quello sulle ristrutturazioni, rappresenta una buona notizia per supportare i consumi interni.
È fondamentale però che l’Europa sopperisca all’attuale incertezza del quadro politico italiano, portando avanti politiche che tutelino i marchi europei.
Non possiamo infatti ignorare le minacce al libero scambio che sono già una realtà nel caso della Brexit e una possibilità non tanto remota nel caso dell’America dei dazi di Trump. Per il Made in Italy i tre paesi partner più rilevanti sono ancora Francia, Stati Uniti e Svizzera, seguiti da un crescente presenza di Hong Kong, Cina, Turchia e Canada.
Per questo, la nostra manifattura, per quanto indipendente dai ragionamenti politici, merita il sostegno di politiche pubbliche adeguate. È importante che al Made in Italy siano date linee di investimento proiettate nel lungo termine su una direzione coerente.
“La prospettiva è guida e porta”, diceva Leonardo Da Vinci ai suoi allievi, “e senza questa nulla si fa bene”.