«Giorno per giorno, mese per mese, anno per anno l’azienda si trova dove è adesso. Non che io abbia mai sognato e sperato di arrivare fino a qui. Ci sono arrivato portato da un abbrivio, da un’idea iniziale, che mi spingeva ad essere il meglio possibile… e tutti i giorni ho calcato questo percorso.» Queste parole di Leonardo Del Vecchio, uno dei simboli dell’imprenditoria italiana, ci raccontano due verità su chi è il “manager”. Una di queste è valida ancora oggi e più di prima: il manager ha un legame indissolubile con l’azienda. La reputazione del manager dipende da quella dell’azienda e viceversa. Un assunto che, se è da sempre costitutivamente sentito dagli imprenditori, da chi dà il proprio nome all’azienda, non è invece così scontato per i manager. Cosa sbagliata perché oggi – a causa soprattutto del flusso continuo di informazioni che viaggiano online – anche chi è chiamato a gestire le sorti di un’impresa può determinarne la reputazione ed esserne a sua volta determinato. Pensiamo ad esempio alla figura di Sergio Marchionne e al suo rapporto con la vecchia Fiat, diventata poi, sotto la sua guida, Fca. Abbiamo seguito la sua evoluzione nel nostro osservatorio Top manager reputation (www.topmanagers.it), dove ancora si possono consultare i dati sulla sua reputazione online in quel periodo. A un punteggio decisamente altalenante, determinato dalle varie vicissitudini dell’azienda e dal modo in cui Marchionne le gestiva, corrispondeva una leadership assoluta in classifica: è rimasto primo per dieci mesi di seguito, fino alla sua scomparsa. Per dieci mesi nessun altro manager era riuscito a superare il suo risultato, neanche nei momenti più critici per l’azienda. Perché?
Per rispondere torniamo alla dichiarazione di Del Vecchio e alla seconda verità sul manager, che però oggi non è più valida. La sua reputazione non dipende solo dai risultati che porta. Il manager non è solo performance. Oggi non basta più “arrivare fin qui”, “essere il meglio possibile” come diceva del Vecchio. È evidente, i risultati sono fondamentali. Ma a parità di performance, il manager deve essere una figura a tutto tondo. Prima di tutto deve saper comunicare. Portare un valore al dibattito. Non solo parlare dell’azienda ma portare la propria visione su temi più generali che hanno impatto sul mercato, sull’economia, che abbiano eco internazionale. Il manager deve essere valoriale. Anche la sua persona, il suo modo di vivere, deve rispecchiare i valori che abbraccia l’azienda. Non può essere disvaloriale. Se l’impresa vanta le sue certificazioni di sostenibilità mentre chi la guida si trova coinvolto in scandali che riguardano proprio quell’ambito, c’è un problema importante di coerenza. E in rete tutto resta. I temi Esg sono sempre più centrali nella reputazione. Lo vediamo da alcuni dati interessanti sulle dimensioni reputazionali associate nell’ultimo anno agli oltre 180 top manager che monitoriamo nel nostro Osservatorio: più della metà dei contenuti online (50,7%) parla di leadership, ma la seconda fetta della torta è occupata dai temi Esg (27, 01%), che superano le performance (18,90%) e c’è anche una percentuale di contenuti riferiti alla sfera personale (“life story”, 3,65%). Quindi il 30% dei contenuti sui manager non parla dei risultati che hanno ottenuto, ma di aspetti più valoriali e personali che contribuiscono in modo importante alla loro reputazione. Queste capacità, che ultimamente vengono derubricate sempre più spesso sotto l’etichetta di “soft skill”, sono proprio quelle che consentono al top manager di mantenere il suo valore di leadership e in generale la sua reputazione, anche quando le acque in cui naviga l’azienda non sono calme. Viceversa, questo non è garantito a chi macina risultati trascurando gli altri aspetti. Può accadere infatti che la figura del Ceo venga fagocitata e messa in ombra dal brand. Disperdendo valore reputazionale.
Il 30% dei contenuti sui manager non parla dei risultati che hanno ottenuto, ma di aspetti più valoriali e personali che contribuiscono in modo importante alla loro reputazione
Questo non è un male solo per il manager, ma anche per l’azienda che in un eventuale momento di crisi non avrebbe al timone una figura percepita in modo forte dall’opinione pubblica. Gestire la reputazione corporate comporta un equilibrio delicatissimo e necessario tra la parte brand e la parte ceo.
La reputazione di un’azienda dipende non solo dalla leadership di mercato, dalla qualità dei suoi prodotti e servizi, dalla comunicazione, dal customer care, dalla responsabilità sociale ma anche dalla reputazione di chi la guida. Il top manager è parte integrante del modello reputazionale dell’azienda che guida. Brand e Ceo sono un sistema reputazionale binario.
Costruire e proteggere la reputazione implica un lavoro strutturato, che noi abbiamo battezzato “ingegneria reputazionale” perché il principio è simile alla costruzione di un edificio: si inizia dalle fondamenta, dalla definizione di quei valori fondanti e imprescindibili per il brand e si lavora per scolpirli tassello dopo tassello, facendoli emergere dal mare magnum di informazioni sparse, spesso non controllate e non verificate. Un lavoro molto complesso da quando il digitale è diventato il primo canale di comunicazione, totalmente disintermediato, e ancora più complicato da quando l’intelligenza artificiale è in mano a chiunque e basta pochissimo per costruire a tavolino contenuti artefatti che sembrano veri.