Ci voleva la guerra per discutere seriamente di una questione cruciale come quella dell’approvvigionamento energetico, all’interno dell’Ue e nel nostro Paese?
La mia è chiaramente una domanda provocatoria, ma, si badi bene, non retorica.
Per troppi anni, abbiamo fatto finta di avere tutto sotto controllo, ma se oggi le importazioni di gas russo pesano per circa il 40% dei nostri consumi, le domande da porsi sono certamente più di una.
L’Ue sta provando a correre ai ripari, approntando una strategia emergenziale che guarda però, significativamente, all’aumento di importazioni di gas da fornitori non russi.
Il rischio è quindi quello di spostare l’asse della dipendenza e, nella prospettiva di assetti geopolitici variabili, questo dato non garantisce tranquillità.
La chimera dell’indipendenza energetica sembra allontanarsi in un orizzonte indefinito.
Il nostro Paese sta rivelando tutta la sua fragilità e, con prezzi del gas quintuplicati, sta attraversando un momento di grande difficoltà che si riversa su cittadini e imprese.
Tra le più colpite, le aziende ad alta intensità energetica, costrette ad adottare misure straordinarie pur di non interrompere la produzione. E se le aziende si fermano, si blocca la crescita del Paese e si genera disoccupazione.
Da decenni l’Italia non riesce a esprimere una strategia nazionale sull’energia in grado di far volare l’economia, perché troppo spesso l’ideologia rende sterile il confronto e si inseguono traiettorie innovative sull’onda dell’emotività e del consenso, senza misurarne la relativa fattibilità. È un’annosa e cattiva consuetudine che ci porta sempre a criticare chi ha preso le decisioni. Il punto vero è che per decidere con consapevolezza occorre disporre di numeri e saperli interpretare. Invece, purtroppo, si evita di coinvolgere i manager che operano quotidianamente sul campo e che, per professione, i numeri li sanno leggere e interpretare.
Il dibattito nazionale è intrappolato nella logica delle fazioni e non si è quindi discusso di una diversificazione delle fonti di approvvigionamento capace di sostenere il fabbisogno del Paese.
L’aumento dei prezzi dell’energia ha indotto inoltre un’accelerazione dell’inflazione, che si era già pesantemente affacciata sui nostri scenari economici.
Cosa succede se il Paese smette di crescere e l’inflazione aumenta? C’è una parola per definire questa condizione, come evidenziato da diversi analisti: stagflazione.
Una prospettiva che dobbiamo scongiurare con tutte le forze, se non vogliamo che crolli la domanda, e con essa le attività industriali e i consumi, oltre ad altri prevedibili effetti, dirompenti, su occupazione e disuguaglianze socioeconomiche.
È il momento che le istituzioni si confrontino con le rappresentanze manageriali per elaborare una strategia di lungo respiro che sappia indirizzare le scelte dell’Italia in tema di energia. Sono infatti necessarie le competenze dei manager per capire dove e come intervenire, valutando ogni prospettiva operativa senza preclusioni ideologiche e con il solo obiettivo di assicurare uno sviluppo sostenibile al Paese.