Nell’era digitale, le competenze tecniche sono fondamentali per affrontare le sfide e sfruttare tutte le opportunità cui abbiamo accesso. In tale contesto, accanto alle hard skills sono sempre più importanti, e determinanti quelle che si definiscono soft skills, tanto che le competenze si stanno progressivamente aprendo e sono oggi diventate molto più orizzontali (oltre che trasversali) di quanto non fosse in passato. La rapidità con cui le tecnologie digitali si evolvono e si diffondono ha reso perciò necessario un processo di formazione continua e, mai come oggi, il vecchio detto secondo il quale “non si smette mai di imparare” può considerarsi valido. Tale principio, però, si scontra spesso con l’effettiva realtà dei fatti, che in contesti come quello italiano si dimostra un po’ più dura che in altri. Com’è noto, l’Italia ricopre la 18° posizione dell’indice di digitalizzazione europeo Desi – Digital Economy and Society Index (su 27 Paesi). Siamo quindi sostanzialmente a metà classifica, in netto miglioramento rispetto al passato, eppure tale collocazione, pur essendo un segnale confortante, deve assolutamente spronarci a fare meglio.
L’Italia ricopre la 18° posizione dell’indice di digitalizzazione europeo Desi (su 27 Paesi). Siamo in netto miglioramento rispetto al passato, ma bisogna fare ancora meglio
Come indicato anche nel libro scritto con il Presidente di Federmanager, Stefano Cuzzilla, infatti, l’Italia non è all’anno zero della trasformazione digitale ma sarebbe un delitto rallentare proprio ora questa corsa dalla quale dobbiamo, invece, riuscire a capitalizzare – proprio nel 2023 che è l’anno delle competenze – l’attenzione, i progetti e le attività che possono consentirci di colmare ulteriormente il gap con i Paesi capofila. Anche perché l’Italia è un Paese maturo per quanto riguarda strumenti e competenze apicali, al quale serve però che queste si diffondano a ogni livello attraverso anche una vision d’insieme che si dimostri salda e omogenea. In questo quadro di sistema, dovrebbero quindi essere inserite le iniziative volte a dare seguito ai progetti di rilancio del nostro Paese, soprattutto (ma non solo) a livello territoriale. Incentivare e velocizzare la transizione digitale nel quadro degli investimenti del Pnrr rappresenta quindi per l’Italia una delle opportunità più grandi almeno degli ultimi trent’anni. Nei giorni scorsi, ad esempio, il Vicepresidente esecutivo della Commissione europea, Valdis Dombrovskis, alla conferenza stampa di presentazione del Pacchetto di primavera del Semestre europeo, ha esortato gli Stati membri ad accelerare la realizzazione dei propri programmi. E in effetti la portata rivoluzionaria del combinato disposto di tecnologie digitali e dei fondi messi a disposizione dall’Unione europea – possibilmente unito ad un vero processo trasversale di maturazione culturale e delle competenze – è la premessa fondamentale all’avvio di un circolo virtuoso che può davvero favorire il passaggio dalla “Resilienza” alla “Ripresa”, e perché no, anche al “Rilancio”.
Affinché ciò sia possibile, il processo dovrebbe quindi seguire il flusso “bottom – up”, ovvero partire dal basso attraverso una formazione di base comune di livello accettabile per poi diventare sempre più elevata man mano che si procede verso l’alto. Inoltre, in base a questo principio sarebbe anche possibile soddisfare la costante domanda di manodopera specializzata, richiesta – spesso invano – dalle imprese. In vari casi ci troviamo persino davanti al paradosso per cui i posti di lavoro esistono, ma non esistono le figure sufficientemente competenti per ricoprirli. A questo proposito, la recente ricerca di Unioncamere “Competenze digitali, 2022” ha evidenziato che in 6 assunzioni su 10 sono ormai richieste competenze digitali, mentre nel 2022 il 70% delle imprese ha investito in formazione digitale. Di converso, dal “Digital skills index” redatto da Salesforce emerge che solo 1 italiano su 10 è attualmente competente nell’ambito dell’intelligenza artificiale, uno dei principali campi di sviluppo e di lavoro dei prossimi anni. Dal canto suo, l’Unione europea ha posto degli obiettivi piuttosto ambiziosi se si pensa che per il 2030, almeno il 60% degli adulti dovrebbe partecipare ogni anno ad attività di formazione, contribuendo in tal modo a raggiungere l’obiettivo di un tasso di occupazione di almeno il 78%. In base poi alla “Bussola per il digitale 2030”, entro tale anno nell’Unione europea almeno l’80% degli adulti dovrebbe possedere per lo meno le competenze digitali di base. Insomma, bisogna veramente mettersi a correre per rispettare gli standard previsti ed è proprio quello che il nostro Paese ha intenzione di fare.
In base alla Bussola per il digitale 2030, entro tale anno nell’Ue almeno l’80% degli adulti dovrebbe possedere per lo meno le competenze digitali di base
A livello nazionale, come detto, siamo tutt’altro che fermi e anche il Ministro del Lavoro, Marina Elvira Calderone, ha recentemente affermato la necessità di “armonizzare la differenza tra il lavoro offerto e quello che si vorrebbe fare” specificando anche che il Decreto Lavoro ha già avviato un percorso inclusivo per facilitare l’incontro fra domanda e offerta di lavoro, auspicando il coinvolgimento di tutti gli attori del mercato del lavoro, pubblici e privati. In tale veste, sarà quindi determinante il costante dialogo tra i vari corpi sociali e intermedi che dovranno agire come una sorta di fisarmonica, che si comprime ed espande, andando incontro dapprima alle esigenze di una parte e poi a quelle dell’altra.
Detto questo, va però ricordato, come fatto inizialmente, che non di sole hard skills ci si può nutrire, ma che comunque queste sono sempre più determinanti nel garantire un tasso elevato di competitività. Inoltre, il principio stesso della trasformazione digitale viene alimentato da una formazione il più possibile varia ed elastica, motivo per cui si rende sempre più necessaria anche un tipo di formazione che potremmo definire “etica”, ossia quel tipo di formazione e di competenze che siano finalizzate a garantire un uso responsabile e consapevole delle tecnologie a disposizione. Un esempio di programma di formazione etica e competenze digitali è il progetto “Digital skills for all” promosso dall’Unione europea. Questo programma mira a fornire competenze digitali a tutti i cittadini europei, in particolare a coloro che risultano svantaggiati digitalmente. Oltre a insegnare le competenze tecniche necessarie per l’utilizzo delle tecnologie digitali, il progetto mette un forte accento sull’etica digitale, educando le persone sui loro diritti e le loro responsabilità online.
La “formazione etica” assume quindi un ruolo di primo piano all’interno della gestione delle competenze digitali, fornendo alle persone le conoscenze e le abilità necessarie per navigare in modo responsabile, rispettando i diritti degli altri e promuovendo il benessere individuale e collettivo. Un esempio lampante di questa necessità è l’utilizzo dei dati personali nell’era digitale. Le tecnologie come l’intelligenza artificiale e l’apprendimento automatico richiedono un’enorme quantità di dati per funzionare correttamente. La raccolta e l’analisi di dati personali possono portare a importanti questioni etiche, come la violazione della privacy e la discriminazione algoritmica. Una formazione etica consentirebbe alle persone di comprendere meglio queste problematiche e di adottare le misure necessarie per proteggere adeguatamente i diritti degli individui.
Bisogna fornire alle persone le conoscenze e le abilità necessarie per navigare in modo responsabile, rispettando i diritti degli altri e promuovendo il benessere individuale e collettivo
Inoltre, la formazione etica pensata per gestire al meglio le competenze digitali, può supportarle nell’aiutare a combattere le diverse forme di disinformazione e promuovere la cittadinanza digitale responsabile. Infine, la formazione etica promuove il rispetto per la verità e la responsabilità nell’utilizzo delle informazioni.
In conclusione, come detto più e più volte, la formazione e le competenze sono la chiave per la competitività e il benessere nell’economia digitale. La tecnologia avanza rapidamente e, di conseguenza, dobbiamo investire nella formazione continua per rimanere sempre aggiornati. Accanto alle semplici competenze è però oggi necessario affiancare altre qualità, tra cui l’etica, che permettono sia di governarle sia di arricchire il nostro bagaglio personale. Promuovere la formazione etica e le competenze digitali non porta beneficio esclusivamente agli individui, ma contribuisce anche a creare una società digitale maggiormente inclusiva, consapevole e responsabile.