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Speciale elezioni /2 – Così il Lazio va alle urne

Indicatori economici, industriali e occupazionali in ripresa, ma ancora tante crisi aziendali in corso. Il buco nero della sanità quasi colmato, ma le liste di attesa ai servizi ancora preoccupano. E poi gli investimenti sul trasporto locale e quelli per il sostegno ai piccoli Comuni.

Il Lazio che tornerà alle urne il 4 marzo per eleggere il nuovo governatore non è ancora una Regione che può dirsi totalmente fuori dalla crisi anche se, dopo cinque anni di governo locale guidato da Luca Zingaretti, il peggio forse è passato. Lo dicono i numeri di un ente che, come certificato dalla Corte dei Conti, nel 2012 si trovava “da almeno un decennio in stabili condizioni di insolvenza”, e quelli di un territorio duramente colpito dalle crisi aziendali degli ultimi anni dove anche Roma, i suoi servizi e il suo tessuto metropolitano non riescono più a esercitare un ruolo davvero attrattivo per grandi aziende e investimenti stranieri.

Effetti positivi, in questi cinque anni, li ha dati la cura di razionalizzazione e riorganizzazione della spesa regionale che ha prodotto 1,6 miliardi di risparmi permettendo, fra l’altro, una riduzione del disavanzo consolidato dai 13,4 miliardi del dicembre 2012 ai 3,21 miliardi del dicembre 2016.

Passi avanti anche in fatto di tempistiche dei pagamenti da parte della Regione: se infatti nel 2013 servivano mille giorni di attesa per la liquidazione di un debito con le ditte private nel settore extra sanitario, oggi i tempi si sono ridotti a 26 giorni. Sessantanove, contro i 259 del 2013, quelli invece per i pagamenti nel sanitario.

Perché è proprio la sanità il settore in cui si sono concentrati i maggiori sforzi di governo degli ultimi cinque anni. Se a febbraio del 2007 il baratro dei conti registrava un disavanzo di 2 miliardi di euro, spingendo il governo a commissariare la Regione e imponendo uno stringente piano di rientro, nel dicembre scorso il Consiglio dei ministri ha deciso il ritorno del Lazio a una gestione ordinaria della propria sanità a partire dal 31 dicembre 2018 prendendo atto del sostanziale pareggio di bilancio del 2017 e del leggero attivo dei conti previsto.

Segno più anche per i dati relativi all’economia laziale trainati, secondo l’Istat, soprattutto dall’export. “Le esportazioni regionali si sono espanse più della media nazionale, trainate dai comparti dei mezzi di trasporto, della chimica e della farmaceutica”, ha scritto infatti Bankitalia nell’aggiornamento congiunturale dell’economia regionale.

Andamento confermato anche dall’Istat nell’ultimo rapporto su export e territorio che ha registrato un aumento delle esportazioni nei primi nove mesi del 2017 del 17,7% rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente, il doppio rispetto alla media nazionale.

La crescita dei primi nove mesi del 2017 è invece del 28% (contro la media nazionale del 13,8%) se paragonata allo stesso periodo del 2012. A fare da traino soprattutto le vendite di auto (+211,1%) mentre è da notare l’exploit della provincia di Frosinone che ha fatto registrare un +58,1%. Dopo un 2016 negativo, nei primi sei mesi dell’anno scorso è tornato a crescere anche l’export dei poli tecnologici laziali.

Secondo il monitor realizzato dalla Direzione Studi e Ricerche di Intesa Sanpaolo, infatti, la crescita a livello regionale è stata dell’1,4% mentre si registrano le buone performance del polo farmaceutico e del polo aeronautico, che hanno registrato rispettivamente un incremento del 2,6% e del 17,5%, mentre l’ICT romano ha segnato una battuta d’arresto (-22,3%). Segnali confortanti emergono anche dall’analisi dei distretti tradizionali, da quello della ceramica di Civita Castellana (+4,3%) fino all’orto- frutta dell’Agro Pontino (+7,4%).

Numeri che si riflettono anche sull’andamento dell’occupazione, con il Lazio che ha fatto registrare 208mila occupati in più negli ultimi 5 anni (+9,5% rispetto alla media nazionale del 2,5%). Così il tasso di disoccupazione, secondo l’Istat, nel terzo trimestre è sceso al 10,3% contro il 10,5% dello stesso periodo 2016.

Numeri che però non aiutano a scacciare i fantasmi delle tante crisi aziendali che rischiano di bruciare fino a 10mila posti di lavoro secondo la Cgil. Particolarmente colpiti i distretti di Pomezia, sono 300 gli impiegati a rischio solo per l’ultima crisi della Alfasigma, e quello romano dove negli ultimi due anni si è registrato un vero esodo di aziende che hanno chiuso o hanno deciso di trasferirsi altrove.

Da Sky a Mediaset passando per Esso, Total Erg, Consodata fino ad arrivare alla nuova crisi Alitalia che rischia di lasciare a casa fra i 3 e i 5 mila lavoratori e alle pesanti ristrutturazioni del settore chimico-farmaceutico. Perché se dieci anni fa la Capitale era una delle locomotive del Paese con una crescita del valore aggiunto a doppia cifra (15%, media nazionale dell’8,5%), dal 2008 in poi la situazione è precipitata: – 15,2% per il valore, idem il Pil pro- capite raggiungendo l’apice dal 2011 in poi, con la debacle di alcuni settori strategici come le costruzioni (-25%) e l’agricoltura (-11,3).  Una situazione che nell’ottobre scorso ha spinto il ministro Carlo Calenda a lanciare il “Tavolo per Roma” a caccia di ricette per il rilancio dell’economia della Capitale.

*   giornalista professionista