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Sotto controllo

Siamo destinati a un’algocrazia o abbiamo ancora chance di regolamentare un rapporto sinergico uomo – macchina? La parola agli esperti. Progetto Manager intervista Daniele Caligiore del Cnr e il giurista Massimo Giuliano

Ingegner Caligiore, i robot, l’intelligenza artificiale (IA) ci toglieranno il lavoro?

Per rispondere a questa domanda occorre innanzitutto capire bene come l’IA e le nuove tecnologie digitali stanno cambiando il mondo del lavoro. In passato, l’automazione era principalmente associata alla sostituzione di lavori manuali e pesanti, come l’assemblaggio di automobili o la pulizia di cisterne industriali. Ma le cose stanno cambiando. Uno studio condotto da McKinsey & Co ha rivelato che il 45% dei lavoratori attualmente impiegati potrebbe essere sostituito dall’IA. Questa sostituzione riguarda non solo lavori ripetitivi, ma anche professioni che richiedono specializzazioni e un alto grado di creatività, come pianificatori finanziari, medici e dirigenti. Tuttavia, in questi casi l’impatto è minore, coinvolgendo solo circa il 20% dei lavoratori[1]. Stati Uniti e Cina, importanti potenze economiche globali, puntano sull’IA come elemento chiave del loro sviluppo economico. In Italia, secondo uno studio recente dell’Osservatorio artificial intelligence della School of management del Politecnico di Milano, l’IA è ampiamente adottata nel settore finanziario (25% del mercato) e assicurativo (12%). Nel settore assicurativo, la maggior parte delle spese (33%) è destinata allo sviluppo di algoritmi di IA per l’analisi e l’estrazione di informazioni dai dati. Si investe anche nello sviluppo di sistemi di elaborazione del linguaggio naturale, assistenti virtuali e chatbot capaci di comprendere il linguaggio umano e fornire risposte. La Figura 1 dà una panoramica sulla distribuzione dei principali investimenti su IA in diversi settori economici. La figura sintetizza i risultati di un’analisi fatta dalla International data corporation (Idc) e pubblicata in un recente report realizzato dall’Istituto per la competitività (Icom)[1].

Uno studio condotto da McKinsey & Co ha rivelato che il 45% dei lavoratori attualmente impiegati potrebbe essere sostituito dall’intelligenza artificiale

In realtà un’analisi più attenta ci fa capire come lo sviluppo e la diffusione dell’IA e delle nuove tecnologie digitali non porterà alla perdita di posti di lavoro ma piuttosto a una “trasformazione del mercato del lavoro” dove ai lavoratori verranno richieste competenze diverse da quelle attuali. In sostanza questa trasformazione sta portando, e lo farà ancora di più in futuro, alla nascita di nuovi posti di lavoro[1]. Su questa linea lo studio dell’Osservatorio artificial intelligence della School of management del Politecnico di Milano ha sottolineato come il potenziale recupero di produttività legato allo sviluppo dell’IA e delle nuove tecnologie non è da vedere come una minaccia, ma al contrario rappresenta una necessità ed un’opportunità per il futuro.

Secondo una ricerca di Cognizant[2], molte nuove professioni emergeranno nel prossimo decennio. Tra queste, il data scientist si occupa di preparare i dati per l’apprendimento delle IA, ottimizzando l’accuratezza dell’algoritmo. Il data trash engineer cerca informazioni utili nei dati “spazzatura”. L’ethical sourcing officer aiuta le aziende a raggiungere obiettivi etici e di sostenibilità. L’artificial intelligence business development manager sviluppa prototipi basati sull’IA per il marketing. Il man-machine leaming manager combina le competenze umane e artificiali. Al di fuori del mondo aziendale, il personal data broker gestisce gli scambi e la commercializzazione dei dati dei clienti. Il personal memory curator aiuta le persone con problemi di memoria a rivivere esperienze passate in ambienti virtuali. Il cyber city analyst si occupa della sicurezza digitale delle città. Il fitness commitment counselor fornisce coaching e consulenza per il benessere fisico e mentale, utilizzando dispositivi wearable per monitorare i progressi. In questo contesto diventa fondamentale puntare sulla formazione a tutti i livelli, dall’aggiornamento continuo dei lavoratori per riqualificare le loro competenze, all’introduzione già nei programmi didattici della scuola dell’obbligo di nuove discipline di studio che possano contribuire a «fare acquisire ai ragazzi una maggiore consapevolezza sui limiti e sulle nuove opportunità offerte dall’IA e dalle nuove tecnologie[1]».

Avvocato Giuliano, l’intelligenza artificiale sta trasformando il panorama del mondo del lavoro, offrendo opportunità senza precedenti per l’efficienza e l’innovazione. Quali sono i vantaggi e le criticità dell’implementazione dell’intelligenza artificiale nel mondo del lavoro e come la legge può gestire tali dinamiche in modo responsabile?

L’ingegner Caligiore ha evidenziato il potenziale dell’IA nell’automatizzazione di compiti e nell’analisi di grandi quantità di dati, permettendo decisioni aziendali più strategiche e servizi personalizzati per i clienti. La questione della sostenibilità nello sviluppo di queste tecnologie è di fondamentale importanza. Ci sono rischi di disuguaglianze economiche, di sorveglianza di massa e di discriminazione a causa dei bias nei dati utilizzati per addestrare gli algoritmi di IA. In particolare, si sottolinea il rischio che possa emergere una “società dell’algocrazia” dove gli algoritmi dominano e potrebbero ridurre la capacità dell’uomo di interagire e affermare i propri diritti. Il caso dei sistemi algoritmici utilizzati dalle società di consegna cibo per valutare i rider, ritenuti discriminatori dal Garante per la protezione dei dati e da alcuni tribunali, è un esempio di queste sfide.

Negli ultimi dieci anni, abbiamo assistito a una crescente convergenza tra il mondo digitale e quello umano. Cosa pensa che abbia innescato questo cambiamento?

La nascita di agenti intelligenti e algoritmi di apprendimento ha portato a una sorta di simbiosi tra intelligenza umana e artificiale. Questi algoritmi popolano attivamente il nostro universo digitale, modellando la nostra esperienza online in modi precedentemente impensabili. Sono in grado, inoltre, di utilizzare una vasta gamma di dati personali, che possono includere competenze, esperienze lavorative o performance passate di un dipendente. Le aziende raccolgono, analizzano e utilizzano queste informazioni per offrire servizi più personalizzati, migliorare la loro offerta e, alla fine, aumentare i loro profitti. I dati personali degli individui diventano una sorta di merce che può essere scambiata, venduta o utilizzata per scopi commerciali. Spesso, in cambio di questi dati, gli utenti ricevono servizi che possono sembrare “gratuiti”, ma in realtà non lo sono.

La definizione di un quadro di regole condiviso a livello europeo, o idealmente globale, tra democrazie con principi e valori simili, è fondamentale per rispondere alle sfide presentate dall’algocrazia e per garantire il rispetto dei valori etici nell’utilizzo delle nuove tecnologie. Questo processo è parte dello sviluppo dell'”algoretica” (un termine introdotto da Paolo Benanti) in risposta all’algocrazia. Alcune misure legislative recenti includono la Direttiva (Ue) 2019/770, integrata nel codice del consumo, che riconosce i dati personali come forma di pagamento per servizi e contenuti digitali, fornendo strumenti di rimedio appropriati per gli utenti. La proposta di Regolamento sull’intelligenza artificiale (AI Act) intende regolamentare l’uso e lo sviluppo dell’IA nell’Ue, classificando i sistemi IA in base al rischio e stabilendo requisiti per garantire trasparenza, affidabilità e responsabilità. La proposta recente comprende sistemi di chatbot come il modello ChatGpt, imponendo obblighi informativi per chiarire all’utente se il contenuto è generato da un’IA o da un umano. È stata inoltre ampliata la categoria dei sistemi IA ad alto rischio per includere quelli usati nelle campagne elettorali e nei sistemi di raccomandazione delle principali piattaforme di social media, per prevenire fenomeni come quello di Cambridge Analytica.

La proposta di Regolamento sull’IA intende regolamentarne l’uso e lo sviluppo nell’Ue, classificando i sistemi in base al rischio e stabilendo requisiti per trasparenza, affidabilità e responsabilità

Mentre la tecnologia avanza a ritmi sostenuti, presentando nuove sfide, il diritto cerca di stare al passo. La Food and Drugs Administration americana ha recentemente dato il via libera alla sperimentazione di Neuralink, una start-up di Elon Musk dedicata a sviluppare impianti cerebrali per migliorare la connessione tra cervello e computer. Queste tecnologie, tra cui microchip cerebrali, metodi di scansione cerebrale come la risonanza magnetica funzionale, e l’IA, hanno il potenziale di accedere, modificare e controllare i nostri pensieri e ricordi. Di conseguenza, emerge la necessità di una “privacy mentale”, una protezione della nostra sfera cognitiva nell’era delle tecnologie avanzate. Questo concetto va oltre la tradizionale tutela dei dati personali per coprire la salvaguardia dei nostri stati mentali, pensieri e percezioni che potrebbero essere resi accessibili a terzi attraverso queste tecnologie. Ciò implica una riflessione critica sulle implicazioni etiche, legali e sociali di tali tecnologie.

Allora, è fondamentale che i sistemi di intelligenza artificiale siano progettati e utilizzati nel rispetto dei diritti umani, della tutela dei dati personali – definiti il “petrolio” dell’epoca digitale – e della dignità dell’individuo. Mentre il quadro legislativo è ancora in fase di sviluppo, l’Europa ha l’opportunità di guidare la definizione degli standard globali, essendo il primo continente al mondo a introdurre una specifica legislazione sull’IA. Il quadro legale europeo sull’IA potrebbe posizionare l’Europa come leader in tale settore e, di conseguenza, dovrebbe essere promosso a livello mondiale attraverso la cooperazione con tutti i partner internazionali, al fine di assicurare uno sviluppo sostenibile ed etico della tecnologia, condiviso ed esteso anche a quelle nazioni che adottano diversi approcci e standard di governance dell’IA.

 

 

[1]https://www.mckinsey.com/business-functions/mckinsey-digital/our-insights/four-fundamentals-of-workplace-automation#

[2] Una strategia per il Made in Italy Il ruolo dell’intelligenza artificiale per la competitività delle imprese italiane, dicembre 2019, Icom

[3] Caligiore D. (2022). IA istruzioni per l’uso. Il Mulino, Bologna.

[4] https://www.cognizant.com/perspectives/21-jobs-of-the-future

[5] Caligiore D. (2022). IA istruzioni per l’uso. Il Mulino, Bologna.

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