Da tempo ormai il tema della semplificazione è diventato di interesse collettivo. È aumentata difatti la percezione di una sua necessaria attuazione ai fini della modernizzazione del Paese.
Il dibattito è rimasto costante, il concetto di “semplificazione” no. Piuttosto, nel tempo, questo termine ha subito un’evoluzione, passando da un’accezione classica di snellimento delle procedure, dei controlli, ad un’accezione più moderna dove semplificazione diventa “facilitazione”, implicando in sé un’idea di miglioramento dei rapporti tra P.A. e cittadini.
Le analisi condotte dalle principali organizzazioni internazionali individuano proprio nella complicazione burocratica una delle prime cause dello svantaggio competitivo dell’Italia nel contesto europeo e nell’intera area Ocse.
Tra gli indicatori con cui il World Economic Forum valuta annualmente la competitività globale, figura il peso per le imprese derivante dal rispetto degli obblighi posti dalla Pubblica Amministrazione (autorizzazioni, permessi, relazioni, ecc.). Su 138 Paesi, l’Italia si colloca al 136° posto, contro la media UE-28 che occupa il 78° posto.
Il Rapporto “Doing Business 2017” della Banca Mondiale ha effettuato un confronto internazionale sulla qualità ed efficienza della regolamentazione dell’attività d’impresa. Per l’indice fiscale aggregato l’Italia si colloca al 126° posto contro la media europea del 41° posto. Per l’indice aggregato relativo ai permessi edilizi, l’Italia si contraddistingue per una performance altrettanto negativa (86° posto) rispetto alla media europea del 56° posto.
Una indagine condotta nel 2017 su un campione significativo di PMI nostrane, ha evidenziato che l’incombente costo che la burocrazia italiana scarica sulle imprese micro, piccole e medie è stimato in circa 22 miliardi annui; in termini di dispendio di tempo è stato stimato che sottrae 45 giorni alla propria attività lavorativa.
Capiamo bene quanto ci costa la complessità e la stratificazione normativa! Troppe norme, spesso di difficile interpretazione, che ingenerano caos sul piano applicativo e “conflitti” di competenza: la giustapposizione di diversi Enti preposti al governo del territorio, difatti, è spesso causa del sovrapporsi di diverse modalità di applicazione della normativa che, sul piano attuativo, si traducono frequentemente in differenti strumenti di tutela.
Una via per migliorare i servizi e assicurare l’efficienza dell’attività amministrativa riguardante le imprese potrebbe essere perseguita attraverso l’istituzione di un tutor, un vero e proprio catalizzatore nei processi decisionali per tutte le vicende amministrative, che potrebbe essere collocato presso gli Sportelli Unici per le Attività Produttive.
Anche rispetto alla diffusione delle infrastrutture digitali siamo tra gli ultimi in Europa, sia per velocità e diffusione della banda ultra larga sia per rapidità del download. Difatti solo il 7,6% delle imprese nazionali vende online, anche per l’arretratezza del nostro sistema digitale.
Alcuni passi avanti sono stati fatti e dal successo riscosso da alcuni strumenti quali il SUAP digitale, il DURC online, e così via, ma è chiaro che la strada della semplificazione va vista in un’ottica 4.0: implementazione di strumenti auto applicativi e valorizzazione dell’esistente in chiave digitale.
Occorre rivisitare lo Sportello Unico per le Attività produttive in chiave digitale, dato il beneplacito riscosso da parte di imprese e cittadini. Una piattaforma telematica unica che permetta di accorpare diverse istanze e ottimizzare il rapporto tra la pubblica amministrazione e le imprese, riuscendo così a bypassare le criticità legate alla disomogeneità di risorse, strutture e competenze che contraddistinguono, ad oggi, gli Sportelli sul territorio.
Per non parlare dell’incredibile lentezza della giustizia civile e la complessità delle cause di lavoro: due veri deterrenti agli investimenti esteri.
Ma qualunque innovazione si ipotizzi in un’ottica migliorativa non può prescindere da un rafforzamento delle competenze e della cultura di servizio degli operatori pubblici.
Da questo punto di vista, una maggiore contaminazione tra gli operatori pubblici con il management privato, grazie al patrimonio di competenze e know-how di cui quest’ultimo è portatore, favorirebbe il necessario cambiamento organizzativo e una più rapida diffusione della cultura e dell’innovazione nell’ambito della macchina burocratica a vantaggio delle imprese, dei cittadini e più in generale di tutto il Paese.