Da oltre un mese Al Jazeera è al centro della crisi diplomatica che sta scuotendo il Golfo Persico. La chiusura dell’emittente satellitare è una delle richieste che sta facendo più rumore, tra quelle nella lista delle 13 condizioni che il Qatar deve soddisfare per convincere Arabia Saudita, Barhein, Egitto ed Emirati a ritirare le sanzioni che da settimane isolano l’emirato.
Condizioni che sono state respinte in blocco allo scadere dell’ultimatum, il 3 luglio, imposto dai quattro Paesi arabi, con in testa Riad, che accusano Doha di foraggiare il terrorismo di stampo islamista allo scopo di destabilizzare la regione.
La tv qatariota giocherebbe un ruolo fondamentale in questa strategia, una sorta di pilastro della politica estera del regno, secondo i promotori dell’embargo economico e diplomatico che minaccia la tenuta del ricco emirato.
Awwad Al Awwad, ministro saudita dell’Informazione e della Cultura, l’ha definita un “progetto politico di demolizione dei nostri governi”. Che l’emittente nata nel 1996, per volere dell’emiro Hamad bin Khalifa al-Thani, padre dell’attuale sovrano Tamim bin Hamad al-Thani, sia una spina nel fianco di molte potenze mediorientali non è una novità.
Piuttosto indulgente con la casa reale qatariota (l’Emirato non è certo un’isola di democrazia nel Golfo), Al Jazeera ha dato voce ai critici e agli oppositori delle dinastie e dei governi della regione, innescando controversie e rabbia già in passato.
Il suo aperto sostegno ai Fratelli Musulmani, dopo la caduta di Mubarak nel 2011, ha scatenato l’ira del presidente egiziano Abdel Fatah Al Sisi che è stato il primo a sospenderne le trasmissioni nel suo Paese e ad arrestarne i giornalisti.
È stata sin dall’inizio una fervida sostenitrice delle primavere arabe e ha virato verso una linea pro-islamica quando le rivolte si sono trasformate in guerre.
Gli esperti di media sottolineano la differenza che c’è tra il canale in lingua araba (più vicino ai gruppi e ai movimenti islamisti) e quello in inglese, nato nel 2006, ma per Riad e i suoi alleati Al Jazeera va chiusa in blocco.
Da oltre vent’anni è il braccio mediatico del Qatar, uno strumento di visibilità che ha portato il piccolo regno della Penisola arabica sulla scena internazionale. La sua influenza è indiscussa ed è questa che temono le potenze mediorientali che la vorrebbero oscurare.
La sua ascesa è il frutto della combinazione di enormi investimenti (137 milioni di dollari per i primi cinque anni di attività) e di un modello editoriale organizzativo che ha conquistato sin da subito un vasto audience: circa 50 milioni di telespettatori. È la maggiore emittente satellitare all news in lingua araba, un modello editoriale ispirato alla Cnn, che resta unico nel panorama regionale caratterizzato dal dominio delle tv di Stato.
Con i suoi reportage ha acceso i riflettori sul mondo arabo dando spazio alle voci dissidenti, ha seguito i conflitti internazionali e il terrorismo, è riuscita ad accaparrarsi e trasmettere il video messaggio di Osama Bin Laden dopo l’11 settembre. Tuttavia, Al Jazeera non è un modello impeccabile di neutralità, si muove tra l’informazione e la propaganda, e la sua credibilità è stata erosa dalla diffusione di fake news.
La più nota è forse quella delle fosse comuni di Tripoli, dove sarebbero stati sepolti migliaia di oppositori di Gheddafi, che si scoprirono essere semplici sepolture.
Tutto ciò la rende scomoda e pericolosa e adesso sul suo futuro si addensano le nuvole di una crisi diplomatica che se prolungata potrebbe minacciare seriamente il Qatar, nonostante le sue immense risorse finanziarie e riserve energetiche.
Al Jazeera resta pur sempre una proprietà dell’emiro e dunque una pedina nella partita che si sta giocando nel Golfo. La sua chiusura è improbabile, ma, stando alla BBC, sul tavolo potrebbe arrivare la richiesta di una riforma della legge sui media che costringerebbe l’emittente a un cambio della sua politica editoriale.
* giornalista freelance