Claudia Brunori, Direttrice del Dipartimento Enea “Sostenibilità, circolarità e adattamento al cambiamento climatico dei sistemi produttivi e territoriali”
Dottoressa Brunori, qual è la fotografia dell’Italia che emerge dal vostro “Rapporto sull’economia circolare”?
Il sesto Rapporto sull’economia circolare, che abbiamo recentemente presentato, scatta la fotografia di un Paese virtuoso, all’avanguardia in Europa per il riutilizzo di quello che viene prodotto. Emergono dati sicuramente positivi, ma dobbiamo esser pronti a superarli. Il tasso di miglioramento, pur rimanendo positivo, è andato infatti diminuendo negli anni. Quindi, capitalizzando i risultati, dobbiamo esser pronti ad aumentare lo sforzo portando i benefici dell’economia circolare alle imprese e ai territori che ancora ne sono carenti. Al tempo stesso, dobbiamo aumentare il valore aggiunto generato dall’economia circolare laddove già affermata, rafforzando l’approccio sull’ecodesign e gli investimenti in R&S su tecnologie di recupero e riciclo, con particolare attenzione alla capacità di recupero di materie prime critiche e strategiche per la transizione sostenibile. Di fatto, quasi un quinto di quello che produciamo viene dal riciclo e nel tasso di utilizzo circolare di materia siamo secondi solo alla Francia. Inoltre, siamo al top della classifica delle 5 principali economie dell’Unione europea per la capacità di utilizzare al meglio la materia: nel nostro Paese la produttività delle risorse vale mediamente 3,7 euro per chilo, contro la media Ue di 2,5 euro per chilo. Nella sostanza, il nostro sistema economico e produttivo è fortemente improntato alla circolarità e a farlo sono anche le Pmi: il 65% dichiara di mettere in atto pratiche di economia circolare, oltre il doppio rispetto al 2021. Non solo. Il nostro Paese è primo in classifica per il tasso di riciclo dei rifiuti: nel 2021 abbiamo avuto un tasso di riciclo dei rifiuti di imballaggio del 71,7%, l’8% in più della media Ue27 (64%). Inoltre, il riciclo dei rifiuti urbani in Italia è cresciuto del 3,4% tra il 2017 e il 2022, raggiungendo il 49,2%. La media Ue è del 48,6%.
Il sistema economico e produttivo italiano è fortemente improntato alla circolarità, a farlo sono anche le Pmi: il 65% dichiara di mettere in atto pratiche di economia circolare, oltre il doppio rispetto al 2021
Perché l’economia circolare gioca un ruolo così importante per la transizione energetica e per il raggiungimento dei target climatici?
L’economia circolare riveste un ruolo essenziale per la transizione energetica in quanto è un modello di sviluppo centrato sulla sostenibilità, l’innovazione, la partecipazione e la condivisione. L’obiettivo è quello di mantenere il più alto valore possibile nelle risorse impiegate in processi, prodotti e servizi, in una prospettiva di più lungo periodo, e di ottimizzare la produzione di beni, di ridurre i consumi, lo spreco, di valorizzare gli scarti e i rifiuti.
Il mutato scenario internazionale e gli obiettivi climatici che ci siamo dati hanno reso centrale, se non drammatico, il tema dell’approvvigionamento di materie prime critiche e strategiche per la transizione energetica. Con il Critical Raw Material act, in via di definizione, sono stati fissati degli obiettivi quantitativi legati al riciclo: già nel 2030 almeno il 25% delle materie prime critiche consumate nell’Ue dovrà arrivare da attività di recupero e riciclo.
L’economia circolare ha dei benefici diretti anche sulle emissioni di gas climalteranti dei settori industriali e agricoli (che pesano circa il 40% delle emissioni totali) e quindi favorisce il raggiungimento dei target climatici in tutte le filiere produttive e di consumo: la produzione di alluminio da “rifiuto” riduce le emissioni climalteranti di oltre il 90% rispetto alla produzione da minerale “vergine”.
La transizione verso un modello di economia circolare offre, nel complesso, rilevanti opportunità per l’economia, l’ambiente, l’occupazione e la competitività. La Commissione europea ha destinato oltre 10 miliardi di euro all’attuazione di questo modello e stima, per il nostro Paese, oltre 11 miliardi di risparmi a livello economico e ambientale in 20 anni, la creazione di più di 20 mila nuovi posti di lavoro a tempo pieno e una riduzione delle emissioni di gas serra di quasi 111 milioni di tonnellate.
Cosa si intende esattamente con il termine “ecodesign”?
L’idea di base dell’ecodesign è la riduzione degli impatti ambientali dell’intero ciclo di vita del prodotto grazie al miglioramento delle attività di progettazione. L’ecodesign è la ridefinizione del processo produttivo pensando alla gestione delle risorse in maniera efficiente lungo il loro intero ciclo di vita. Quest’ultimo aspetto amplia il focus non solo a una progettazione efficiente del proprio processo produttivo, ma lo estende alla ridefinizione dei rapporti, a monte, con l’intera catena del valore della filiera produttiva e, a valle, con la catena del valore legata ai processi di uso e consumo del bene. L’ecodesign, quindi, ridefinisce il ruolo dell’impresa che diventa nodo centrale di un ecosistema di stakeholder e non più singolo soggetto finalizzato alla produzione.
L’ecodesign ridefinisce il ruolo dell’impresa che diventa nodo centrale di un ecosistema di stakeholder e non più singolo soggetto finalizzato alla produzione
Per avere risultati vincenti e duraturi è necessario rivoluzionare il modo in cui i prodotti vengono progettati e realizzati, integrando criteri di circolarità nei processi produttivi, di uso e consumo e nella gestione del fine vita. Occorre progettare e produrre oggetti più durevoli e facili da riutilizzare e riciclare, ma anche da aggiornare e riparare. Per una transizione ecologica ‘completa’, inoltre, bisogna informare e rendere consapevoli quanto più possibile anche i consumatori, ai quali vanno offerti strumenti di conoscenza adeguati a comprendere l’impatto del proprio stile di vita sull’ambiente.
Quali sono le competenze oggi più richieste per l’adozione di efficaci modelli di economia circolare nelle aziende?
Il passaggio a un’economia e a una società circolari richiede un ampio miglioramento delle competenze e una riqualificazione di tutti i livelli di professionalità. E alcune occupazioni svolgeranno un ruolo ancor più centrale nella transizione verde. Oltre alle competenze tecniche specifiche del lavoro, vi è anche bisogno di competenze trasversali, come il problem solving e la comunicazione. È un processo che interessa occupazioni altamente e mediamente qualificate che debbono ideare e progettare soluzioni per la transizione circolare (figure professionali legate ai settori Stem, ingegneri, progettisti, scienziati per le attività di R&S) e implementarle nei contesti industriali e territoriali (come manager, avvocati, specialisti della comunicazione).
In Enea, lei guida un dipartimento che si avvale di oltre 500 ricercatori e tecnici. Cosa vuol dire condurlo verso obiettivi di ricerca che hanno impatti ambientali, economici e sociali?
Sono Direttrice del Dipartimento Enea “Sostenibilità, circolarità e adattamento al cambiamento climatico dei sistemi produttivi e territoriali” da qualche mese, ma una parte significativa della mia vita professionale si è già svolta all’interno del Dipartimento stesso. Quindi è da tempo che ho ben presenti i traguardi, le sfide e gli obiettivi che abbiamo davanti. Certo, adesso ho molte più responsabilità e compiti da adempiere in ragione del mio ruolo, ma molte delle priorità e delle linee guida strategiche sono in continuità con le gestioni precedenti. Essere alla guida di un team così qualificato è per me una grande soddisfazione, ma significa anche mettermi alla prova quotidianamente rispetto ai traguardi che vogliamo raggiungere.