Alessandro Gili, analista dell’osservatorio di Economia dell’Ispi
Le guerre ibride saranno sempre di più anche subacquee. Basti pensare a quanto successo al gasdotto Nord Stream 2 e alla distruzione di tre cavi, per le comunicazioni tra Asia ed Europa, nel Mar Rosso. Ne abbiamo parlato con Alessandro Gili, analista dell’osservatorio di Economia dell’Ispi.
Quando parliamo di infrastrutture strategiche sottomarine che cosa intendiamo?
Ci riferiamo a due grandi macrocategorie: i cavi sottomarini digital, che sono circa 450 e che garantiscono le comunicazioni a livello internazionale e poi la categoria energetica, cioè gasdotti e cavi sottomarini per il trasporto di energia elettrica.
Quali sono le minacce a cui sono soggetti i cavi? Come si proteggono?
Come abbiamo visto, possono esserci attacchi di carattere geopolitico, ma i rischi sono anche naturali. Sono cavi che non hanno un diametro molto grande, circa 20 mm, e non sempre sono posati a grandi profondità. Tanto che rischiano di essere danneggiati anche dalle semplici attività di pesca, per esempio dalle ancore. Oppure durante grandi eventi naturali come terremoti o eruzioni vulcaniche, come è successo all’isola di Tonga, che è rimasta scollegata dal resto del mondo a lungo.
Secondo una stima a livello internazionale, circa 10 trilioni di dollari di transazioni finanziarie internazionali passano attraverso i cavi sottomarini ogni giorno. Oltre che il 95-98% del traffico internet
Possono essere soggetti anche a dinamiche di spionaggio? Come?
Sì, diciamo a dinamiche cyber. Sulle coste, per esempio, ci sono centri di raccolta dati e infrastrutture terrestri legate a quelle sottomarine, che possono essere il punto più critico per carpire dati e informazioni. Si cerca di ovviare al problema con la cosiddetta ridondanza: non si dovrebbe mai essere collegati ad un altro Paese attraverso un solo cavo, ma attraverso differenti infrastrutture sottomarine, per avere la possibilità di switchare e spostare il traffico su altri canali. È quello che è avvenuto nel Mar Rosso: tre cavi sono stati danneggiati, ma non è successo granché.
Non è una contraddizione che infrastrutture così importanti siano così fragili ed esposte?
Sì, lo è, ma queste infrastrutture hanno un percorso anche di migliaia e migliaia di chilometri. Quindi sarebbe difficile l’installazione di cavi di grande diametro, diventerebbe più complessa la posa e aumenterebbero i costi, rendendo il tutto non conveniente e infattibile. Sicuramente è un problema serio, infatti, nel marzo 2023 la Nato e l’Unione europea hanno dato vita a una task force congiunta, per la sorveglianza delle infrastrutture critiche sia nel Mediterraneo che nel Mare del Nord. È diventato uno dei domini fondamentali per il controllo e la sicurezza.
Qual è il valore dei cavi digital o del traffico che generano?
Secondo una stima abbastanza diffusa a livello internazionale, circa 10 trilioni di dollari di transazioni finanziarie internazionali passano attraverso i cavi sottomarini ogni giorno. Oltre che il 95-98% del traffico internet.
Da chi vengono regolamentati?
A livello europeo la Commissione Ue dovrebbe approvare quest’anno un primo documento che prevede l’aumento del coordinamento tra gli Stati membri, per l’individuazione di cavi di interesse europeo e quindi per ridurre i rischi e aumentare l’autonomia strategica dell’Ue. L’obiettivo sarebbe anche quello di garantire una crescita dimensionale delle aziende europee – come la francese Alcatel, l’italiana Prysmian e Sparkle per la gestione – per competere con i giganti americani e con la sempre più crescente Huawei Marine cinese.
La Cina controlla il 10-15% dei cavi, la maggior parte sono degli Stati Uniti, che cercano di limitare la concorrenza cinese, agendo anche sulle grandi società americane
Quali sono i cavi che interessano l’Italia e che rischio c’è ad agire nel Mar Rosso, secondo lei, con la missione Aspides, per proteggere le navi dagli attacchi degli Houthi?
Per quanto riguarda l’Italia le nostre connessioni fondamentali sono quelle che passano dal corridoio Est, verso l’Asia, ma anche quelle che garantiscono la connettività nel Mediterraneo. Abbiamo hub di collegamento da cui partono molti dati importanti per il Mediterraneo e per l’Africa e ovviamente l’Asia. Inoltre, abbiamo anche un interesse dal punto di vista energetico, come il gasdotto Green Stream che ci connette al Nord Africa. Ma soprattutto questa connettività è fondamentale nell’attuale fase di transizione energetica, per la produzione di energie rinnovabili, ma anche di idrogeno verde. Il progetto H2 stream, per esempio, dovrebbe connettere il Nord Africa fino alla Germania e l’Italia dovrebbe diventare fondamentale hub di collegamento del gas nel Mediterraneo e in futuro anche dell’idrogeno. Queste infrastrutture importantissime necessitano ovviamente di controllo e anche di dispositivi militari. Il recente dispiegamento italiano nel Mar Rosso ovviamente aumenta le possibilità che l’Italia diventi in futuro un target, anche se per ora è stato escluso dagli Houthi. Il problema fondamentale nel mar Rosso è più che altro legato all’interruzione delle catene del valore internazionali, perché gran parte delle merci provenienti dall’Asia passa dal canale di Suez.
Secondo lei, questa sarà una delle guerre ibride del futuro?
Sicuramente sarà uno dei domini di possibile guerra.
Il controllo dei cavi sottomarini riflette la situazione geopolitica mondiale? La Cina sta avanzando anche sott’acqua?
La Cina controlla il 10-15%, la maggior parte dei cavi sono degli Stati Uniti, che cercano di limitare la concorrenza cinese, agendo anche sulle grandi società americane. Google, Meta e Amazon ormai vogliono gestire in autonomia tutto il quadro della rete, dalle società di costruzione alla gestione dei cavi sottomarini, di cui sono proprietarie, per garantirsi la connettività a livello internazionale. A partire da Trump, per questioni di sicurezza nazionale, si cerca di impedire che cavi sottomarini colleghino per esempio la California ad Hong Kong, perché nei vari passaggi si potrebbero carpire informazioni fondamentali.
A margine del vertice del G20 in India, è stata avanzata la proposta del G7 di creare un corridoio India-Middle East: sostanzialmente un canale di tipo logistico, ma in previsione ci sarebbe anche un cavo sottomarino e un nuovo gasdotto per il trasporto dell’idrogeno verde. E sarebbe molto interessante, perché andrebbe a saltare il canale di Suez.