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Ponti esclamativi

Sono infrastrutture colossali che collegano aree strategiche del pianeta. Dalla Cina all’Europa, la mappa delle opere ingegneristiche che stanno ridisegnando la morfologia dei continenti, con effetti diretti sulle economie

Servono da sempre a connettere territori, prova dell’ingegno umano nell’adattarsi alla vita anche nei luoghi più impervi del pianeta. Sono i ponti che connettono le isole remote con la terra ferma, viadotti che rendono più facile il traffico di persone e merci, costruzioni che sorvolano alcuni dei più grandi fiumi sparsi per il mondo. Se tutte le culture, dai romani ai greci, passando per la Persia e la Mesopotamia, hanno fatto politica di potenza anche attraverso la progettazione di simili infrastrutture non sorprende che al giorno d’oggi i maggiori investimenti nel settore avvengano in Cina. Quattro dei cinque ponti più lunghi del mondo si trovano lì, in un paese adagiato sulle sponde dell’oceano Pacifico, di dimensioni enormi, unico Stato al mondo a crescere anche nell’anno della pandemia, + 2,3% rispetto all’anno precedente.

Piloni e tiranti sono comparsi negli ultimi venti anni su tutto il territorio del Dragone, prolungando tratti autostradali esistenti o dando vita a nuove vie di percorrenza veloce tra aree in via di sviluppo. Pechino ha elargito fondi a profusione nel settore, costringendo ad aggiornare di anno in anno la pagina dedicata del Guinness world record. Negli ultimi venti anni ci sono stati investimenti per miliardi di euro, il più caro quello da 16 miliardi per il più lungo ponte marittimo mai creato, nuova via di connessione tra la città di Macao e quella di Hong Kong. O ancora, i 7 miliardi per il ponte più lungo del mondo, il mastodontico viadotto Danyang Kunshan con i suoi 164,8 km che accorciano del 50% il tragitto tra Pechino e Shangai.

Al di fuori della Cina, sono comunque tanti i progetti architettonici che promettono di portare benessere e sviluppo in aree remote di paesi con un sistema di infrastrutture ancora non avanzato. In India si progettano nuovi ponti fluviali, mentre in Bangladesh c’è attesa per il nuovo ponte sul fiume Padma, il principale affluente del Gange: tonnellate di metallo che potrebbero valere un aumento dell’1,2% del Pil dell’intero Paese, secondo stime governative.

Mentre in Asia si costruisce da zero, negli Stati Uniti si pensa a sostituire le vecchie strutture o aumentarne la portata. È il caso del Gordie Howe International Bridge, un nuovo ponte in costruzione tra Stati Uniti e Canada, che dal 2024 dovrebbe affiancare lo storico Ambassador Bridge nel connettere Windsor con Detroit. Una spesa da oltre 4 miliardi di dollari. Ogni anno attraversavano la frontiera, attraverso l’Ambassador Bridge, merci per il valore di 400 miliardi di dollari. Con il nuovo ponte si stima un incremento dei traffici del 128%.

Se per lunghezza e quantità di investimenti è difficile reggere il paragone con Asia e Americhe, il Vecchio continente ospita però alcuni tra i collegamenti sospesi nel vuoto più suggestivi del mondo. A cavallo del passaggio di millennio anche l’Unione europea ha investito con decisione sulla costruzione di opere necessarie ad accorciare alcune rotte cruciali. Con i piloni più alti in assoluto, ne è un esempio il viadotto di Millau in Francia che, pur non attraversando infinite distese d’acqua, ma sovrastando la valle del Tarn, ha abbattuto i tempi di percorrenza tra Parigi e Barcellona. Il nuovo tratto di autostrada fu inaugurato nel 2004 proprio come il ponte di Rion Antirion, aperto in occasione delle Olimpiadi di Atene 2004, 3 km di asfalto che attraversano il golfo di Corinto anche grazie a ingenti finanziamenti comunitari.

La Grecia non è stato l’unico paese a cavalcare l’onda lunga di grandi fiere o eventi sportivi internazionali per dare vita a infrastrutture durature, progetti futuristici lasciati in eredità alle città ospitanti. Anche Lisbona in occasione di Expo 1998 ha deciso di ampliare il ventaglio di possibilità di attraversamento del fiume Tago inaugurando il ponte Vasco de Gama, giusto in tempo per l’apertura della fiera. Se la costruzione è servita all’epoca per far raggiungere ai visitatori l’area dedicata all’esposizione universale, negli anni successivi è divenuta un’arteria principale del traffico della capitale portoghese, contribuendo alla conversione e allo sviluppo economico di un agglomerato urbano nato appositamente per la fiera.

Sempre in Europa, non è un viadotto che attraversa una città ma un ponte tra due Stati sovrani, quello di Øresund tra Danimarca e Svezia, il più caro investimento nella storia del continente in una simile infrastruttura. Circa cinque miliardi di euro che, secondo gran parte degli studi di valutazione ex post, avrebbero reso un interesse del 100%. Sarebbe di 11 miliardi infatti il guadagno per i due paesi, in termini di Pil, dalla data della sua apertura, in un calcolo che comprende pagamento dei pedaggi e aumento del commercio. Secondo altre rilevazioni gli scambi tra le due capitali scandinave sarebbero implementati del 19% nel nuovo millennio.

Insomma la costruzione di connessioni tra territori lontani è sempre foriera di sviluppo economico per le aree interessate dalle nuove tratte. In alcuni i casi i ponti assumono una rilevanza tale da diventare uno strumento di emancipazione vitale, il canale primario per l’ingresso di risorse nel paese. È il caso del ponte dell’amicizia afghano-uzbeko, costruito dagli occupanti russi nel 1982, oggi attraversato dal 70% delle merci che entrano in Afghanistan. O, in modo diverso, della Johor–Singapore Causeway che è la via di accesso alla Malesia del 50% dei turisti che visitano il Paese, oltre a essere la sua principale connessione con Singapore, uno dei principali porti del mondo e Paese di provenienza di gran parte degli investimenti in territorio malese.

Simili rapporti di dipendenza, in questo caso suggellati dalla costruzione di un ponte, si incontrano in Crimea dove Putin, dopo l’annessione del 2014, non ha perso tempo per dare avvio alla progettazione dei 18 km di acciaio, record di lunghezza in Europa, che avrebbero favorito lo sviluppo (e l’influenza russa) nella regione. Risultati alla mano, l’obiettivo è stato presto raggiunto. Nel primo anno di attività i veicoli e le merci che hanno attraversato lo stretto di Kerč’, su strada invece che in traghetto, erano più che triplicati.

Non stupisce insomma che ancora oggi queste opere architettoniche fungano da investimento strategico per paesi potenti che vogliano ampliare la propria sfera di influenza. La loro costruzione e lo sviluppo economico che ne consegue hanno poi ovvie ripercussioni ambientali sui territori che attraversano. I numeri che raccontano la crescita delle aree coinvolte difficilmente includono costi simili, che hanno chiaramente un peso differente a seconda dell’attenzione riposta sul tema.

Certo, il ragionamento si fa più difficile quando queste infrastrutture diventano l’emanazione di una pura politica di potenza. Notizia recente, il Montenegro rischia il default per un’opera incompiuta, realizzata grazie a un prestito cinese: una monumentale autostrada di 130 km, con viadotti, ponti e gallerie, che doveva collegare il porto di Bar con il confine serbo. Il debito di un miliardo di dollari dovrebbe essere restituito entro l’estate. Tra le conseguenze paventate anche la possibilità che a Pechino venga data in gestione una parte del territorio del piccolo Stato balcanico. Un ponte sull’Adriatico, insomma.

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