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Pmi: crescere, che fatica

Creano ricchezza e occupazione, ma devono fare i conti con una produttività da migliorare, regolamentazioni asfissianti e difficoltà a reperire personale qualificato. Una fotografia delle piccole e medie imprese italiane

Sono la base dell’economia italiana, e compongono un sistema in cui l’azienda spesso coincide con la famiglia, a volte allargata, e ne riprende le caratteristiche. Tanto che un ritratto delle Pmi, le piccole e medie imprese, nel nostro Paese, finisce per essere un ritratto del Paese stesso, dei suoi prodotti e manufatti tipici, dei suoi punti di forza e delle sue pericolose debolezze. Quelle che rischiano di minacciare la riuscita sul mercato, quelle che da decenni si cerca di correggere e che si potrebbero attenuare cogliendo alcuni degli spunti del piano per la competitività elaborato dall’ex Premier Mario Draghi.

Le piccole e medie imprese hanno, per definizione, meno di 250 dipendenti. Ma si tratta di un universo ampio, come spiega il censimento Istat che ne fa un ritratto. Le più diffuse sono le microimprese, dai 3 ai 9 dipendenti: rappresentano il 79% del totale. In numeri assoluti, parliamo di una popolazione di milioni di aziende.

Seguono le imprese considerate piccole, dai 9 ai 49 dipendenti, queste sono il 18%. Le medie imprese, quelle fino ai 250 dipendenti, sono appena il 2,2%, mentre le grandi meno dell’1%.

Quello delle piccole e medie imprese in Italia è un sistema forte e competitivo, dotato di una flessibilità che ha permesso una ripresa rapida dopo il Covid, come spiega il rapporto Cerved che da anni fa il punto sullo stato di queste aziende.

E da cui si evince che le piccole e medie imprese sono dei veri e propri giganti dell’economia: contribuiscono ben oltre la media europea a creare ricchezza e posti di lavoro. A loro si deve il 63% del valore aggiunto totale e il 76% dell’occupazione. Un paragone con altri Paesi mostra che in Italia il loro peso è decisamente maggiore, e infatti i valori sono rispettivamente 54% e 66%.

Molto meno lusinghiero, però, un paragone sulla competitività, dove si evidenzia un deficit di produttività rispetto ad altri Paesi europei con maggiore concentrazione delle imprese. Un gap evidente dai dati di un report del McKinsey global institute di quest’anno: le piccole imprese italiane hanno una produttività pari al 55% delle grandi, mentre nella media dei Paesi avanzati questo dato sale al 60%, con una punta dell’84% in Gran Bretagna.

Tra i problemi delle piccole e medie imprese, per esempio, la forte dipendenza dal credito, dunque dal sistema bancario. Questo, in un periodo di tassi alti come quelli che ci stiamo gradualmente lasciando alle spalle, ha portato i prestiti alle imprese a un brusco calo, fenomeno più evidente proprio per le aziende più piccole. Che non tutti sono riusciti a superare, come dimostrano i dati dell’Osservatorio sulle imprese realizzato da Crif: il tasso di default nel 2023 è cresciuto del 2,4%.

Crescere, per le Pmi, però, non è facile. E comunque non avviene spesso che imprese piccole riescano ad aumentare di molto le proprie dimensioni: dopo il 2000, solo il 5% delle Pmi italiane si è trasformato in aziende quotate e ad alta capitalizzazione, si legge sempre nel rapporto McKinsey. Il numero appare ancor più basso se paragonato a quello di altri Paesi come Israele, dove la percentuale è del 42%, e l’Australia, al 44%.

Imprese più piccole, poi, hanno generalmente una minore propensione a investire, lo illustra il rapporto della Banca europea degli investimenti, che evidenzia un punto debole: la carenza di investimenti in ricerca e sviluppo. Insomma, quelli che permettono di guardare al futuro non in senso astratto ma cercando concretamente il proprio spazio sul mercato.

Non avviene spesso che imprese piccole riescano ad aumentare di molto le proprie dimensioni: dopo il 2000, solo il 5% delle Pmi italiane si è trasformato in aziende quotate e ad alta capitalizzazione

Lo ricorda anche Mario Draghi nel piano per la competitività dell’Europa: un numero elevato di microimprese vuol dire più lentezza ad accogliere innovazioni tecnologiche. L’intelligenza artificiale, per esempio, è stata adottata dal 30% delle grandi imprese nell’Ue, ma da appena il 7% di quelle più piccole. In un mercato in cui tecnologie più costose possono garantire competitività e guadagni maggiori, queste imprese potrebbero avere serie difficoltà, si legge sempre nel testo elaborato dall’ex Premier, secondo cui proprio per questo motivo si dovrebbe dar loro una mano a crescere, in modo da trovare più spazi di mercato.

Un aiuto alla crescita che, nel piano Draghi, è legato a doppio filo a un altro passaggio necessario: la deregolamentazione. È difficile essere all’avanguardia nell’innovazione, è in sostanza la tesi, se si viene fermati da troppe regole. Ed è proprio il caso dell’Europa, sostengono diversi osservatori. Del resto, si legge nel rapporto, più della metà delle Pmi in Europa indica gli ostacoli normativi e gli oneri amministrativi come la sfida più grande.

Mentre in Italia, secondo il rapporto 2024 della Bei sugli investimenti, la maggioranza delle imprese considera le regolamentazioni commerciali un ostacolo anche agli investimenti.

Insomma, resta sempre valido il detto “Usa innovates, China replicates, Europe regulates”, in cui, appunto, all’Europa spetta il ruolo, auto assegnato, di continente dei regolamenti, in cui le imprese sono soggette a più limiti che altrove, anche, ovviamente, per ragioni sociali.

A tutto ciò si aggiunge un altro fattore, anche questo caratterizza negli ultimi anni tutto il sistema economico italiano ma rappresenta un problema per le Pmi anche a livello europeo: la difficoltà ad attrarre personale molto qualificato. Una carenza che frena le attività commerciali per il 63% delle Pmi, si legge in un rapporto del Consiglio europeo.

In conclusione, le piccole e medie imprese italiane rappresentano un pilastro fondamentale del sistema economico del Paese, ma sono chiamate ad affrontare sfide significative per garantire la loro competitività e sostenibilità nel lungo termine. Se da un lato il loro contributo in termini di creazione di ricchezza e occupazione è notevole, dall’altro, le difficoltà legate alla produttività, alla regolamentazione e all’accesso a personale qualificato richiedono interventi mirati. Affrontare queste criticità, come suggerito dal piano Draghi, potrebbe consentire alle Pmi di superare gli ostacoli e continuare a essere motore di crescita per l’intera economia.

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