Affrontare il tema delle infrastrutture di un Paese significa immaginare e disegnare cosa consegneremo ai nostri figli in termini di obiettivi e di modelli di sviluppo legati a una visione complessiva di offerta e di posizionamento dell’Italia nello scenario globale da qui ai prossimi 20 o 30 anni.
L’ultima emergenza intervenuta al netto della trasversalità che ha colpito, sebbene in modo diverso, ogni angolo del pianeta, ha evidenziato un risultato in buona parte dettato da scelte assunte in passato sul comparto sanitario pubblico. Media, opinionisti e addetti ai lavori si stanno confrontando su un contesto che ha visto storture non accettabili per un servizio sanitario proclamato come uno dei migliori al mondo. Gli organi inquirenti ci diranno come sono andate le cose, magari con tempi più consoni a una democrazia compiuta.
Questa premessa è d’obbligo poiché nell’ultimo periodo non sono mancati elementi di riflessione in ordine allo stato delle cose in termini infrastrutturali e di sicurezza sulle varie reti modali di cui l’Italia abbonda. Dal crollo della palazzina piloti al porto di Genova nel 2013, all’incidente ferroviario di Viareggio del 2009, passando per il deragliamento del treno ad alta velocità di Lodi di quest’anno, e solo per non dimenticare il crollo del Ponte Morandi avvenuto il 14 agosto 2018, oltre ad altre “avventure” che dovremmo sottolineare per capire che tipo di Italia abbiamo immaginato 20 o 30 anni fa e che ha prodotto i risultati di cui sopra, oltre a decine di vittime.
È fondamentale questa premessa per inquadrare chi siamo oggi e soprattutto cosa vedono gli altri in noi, e quanto tutto ciò influisca in termini di scelta dei vari segmenti di mercato che forniscono al Paese ossigeno sotto forma di Pil vuoi interno che esterno.
In questo quadro emerge il tema della qualità della classe dirigente del Paese, a ogni livello: da quella politica, a quella imprenditoriale passando per un sistema di controlli burocratici asfissianti e costosi. Necessitiamo di un profondo reset di sistema se realmente vogliamo immaginare un futuro per i nostri figli e nipoti degno di un Paese, le cui radici storiche non occorre sottolineare da un punto di vista culturale.
Abbiamo grandi fortune che il mondo ci invidia eppure siamo vittime di noi stessi.
Al netto di quanto espresso fin qui, non tutto va per il verso sbagliato, anzi caparbiamente un nutrito gruppo di trascinatori tenta ogni giorno di sollevare le sorti del sistema, su cui gravano gli interventi della esigua, ma ben radicata parte di attori, che manifesta una mancanza di competenze.
È complesso parlare del rilancio produttivo legandolo al tema delle infrastrutture, stando ai dati oggettivi. Non può non saltare agli occhi, infatti, che la penisola contiene numeri da capogiro rispetto ad altri paesi occidentali. Facciamo alcuni esempi: abbiamo 156 porti, una rete stradale complessiva di circa 800 mila chilometri, di cui 27 mila di interesse nazionale tra statali ed autostradali e 98 aeroporti. Possiamo definirci quindi un Paese che necessita di ulteriori infrastrutture? La risposta per chi scrive è: facciamo ordine, e contemporaneamente, mettiamole in ordine.
La penisola contiene numeri da capogiro rispetto ad altri paesi: 156 porti, 800 mila chilometri di rete stradale e 98 aeroporti
Chi fa che cosa in un sistema ordinato? Cosa serve realmente al mercato e non a una politica locale a caccia di consensi con il portafoglio degli italiani, ovvero della banca centrale costretta a comprare sempre più debito pubblico?
Vantiamo porti di interesse strategico nazionale, inseriti in contesti urbanistici dell’800 e sprovvisti di retroporti in grado di sostenere la domanda di traffico. È questa la risposta?
Il più grande aeroporto del nord Italia dista 60 km da Milano, 180 da Torino e più di 250 dall’interasse tra il corridoio 1 ed il corridoio 5. È ancora attuale? O forse questa scelta regala vantaggi ai nostri competitor europei?
Sono state riempite pagine di quotidiani e migliaia di ore di trasmissioni televisive sul tema del Ponte sullo stretto di Messina. Può essere messa in discussione un’opera che significa agli occhi di tutti il segno del rilancio e del riscatto del meridione dell’Europa? Possiamo ancora permetterci di dissertare su questa opera, come sul terzo valico e sulla Torino-Lione?
Il futuro è la ferrovia. È scritto a lettere cubitali sul libro bianco dell’Europa. Le reti Ten sono il futuro.
Il processo di delega a livello locale ha prodotto una frammentazione di iniziative fuori controllo osservabile a occhio nudo. Non sfuggiranno, agli attenti osservatori dei bilanci aziendali delle società di gestione aeroportuale, i costi di promozione del traffico aereo che queste sostengono per far atterrare le cosiddette “low cost carrier”. Altro che aiuti alle compagnie aeree di riferimento, peraltro presenti in tutti i maggiori paesi!
Credo che a nessuno sfugga il tema della promozione turistica posta in essere da ogni singola regione in giro per il mondo, con spostamenti che costano centinaia di migliaia di euro. L’Italia ha un vantaggio singolare, si promuove da sé. Il vero tema è quanta permanenza sviluppiamo per unità? E qual è la qualità di spesa disponibile del visitatore?
Il nostro Paese ha un vantaggio singolare, si promuove da sé. Ma attira turismo povero
Un caso per tutti: Roma è la meta per eccellenza in termini di offerta turistica, eppure sbarcano a Civitavecchia milioni di turisti che lasciano briciole al territorio, al pari del turismo religioso; ne è riprova la minimale presenza di offerta altamente qualificata in termini di ricezione alberghiera e di ristorazione. Turismo povero dunque. Una scelta?
Piazza San Marco, la Giudecca, con attracchi di mega navi da crociera che deturpano un patrimonio inestimabile che il mondo ci invidia, e ancora briciole. Anche qui: una scelta?
Fornire un’offerta di sistema significa avere chiari gli obiettivi da conseguire, attraverso una regia che coordini gli elementi necessari per raggiungere la domanda differenziata su scala nazionale e globale. Tale regia deve essere affidata a professionisti e a una visione politica di lungo respiro, meno attenta al consenso demoscopico del momento.