Riaprire le scuole, dopo un fermo lunghissimo dovuto all’emergenza Covid-19, costituisce la priorità: l’istruzione è l’unica via per il futuro. Ciò che si apprende sui banchi di scuola, poi, andrà rinverdito e proiettato in scenari futuri che oggi riusciamo a immaginare solo in parte. Viviamo infatti in un’era di cambiamento costante in cui alcuni fattori di accelerazione, come le tecnologie o la globalizzazione, impongono di continuare a formarsi per tutta la vita.
Educazione e formazione sono sorelle. La prima, come insegnava Kant, è il frutto della trasmissione del sapere da una generazione alla successiva. “L’uomo può divenire uomo solo mediante l’educazione: egli sarà quale essa l’avrà fatto”. Tuttavia non basterà, se gli eventi esterni, quelli su cui si costruisce il sapere dell’esperienza, non vengono affrontati, compresi e analizzati nell’andamento non lineare dell’esistenza.
Ecco perché, anche durante il lockdown, il sistema Federmanager non si è mai fermato e ha moltiplicato le occasioni formative. Partendo da Fondirigenti, che ha investito parecchi milioni di euro per indicare ai nostri manager ma anche alle giovani generazioni la strada virtuosa da seguire, passando per la nostra management school Federmanager Academy che propone percorsi formativi di eccellenza su temi di grande attualità con uno sguardo alla dimensione internazionale, fino ad arrivare alle importanti iniziative dedicate al mondo delle piccole imprese come il Fondo Dirigenti Pmi, Pmi Welfare Manager e la Fondazione Idi.
Alcune indagini sul management sottolineano l’esigenza che la formazione sia in linea con la velocità del cambiamento e la crescente complessità dei contesti di business. Credo sia quindi giunto il tempo di fare un salto speculativo: la formazione va considerata uno strumento di welfare. Al pari di protezione sanitaria o previdenziale, essa va trattata come una politica aziendale, che mette al riparo da obsolescenza delle competenze o da eventuali fuoriuscite dal mercato del lavoro. L’idea che la conoscenza e le competenze migliorino i salari, la produttività e la crescita dei paesi non è nuova; è dal 17esimo secolo che illustri economisti stabiliscono questa corrispondenza. Il vero elemento di novità implica che la formazione professionale entri a pieno titolo nella contrattazione collettiva di lavoro. È accaduto per il settore metalmeccanico già dal 2017, ma può essere esteso e portato a sistema.
Riconoscere il diritto soggettivo alla formazione nei contratti di lavoro rappresenta un investimento sul futuro, non solo del singolo e dell’impresa in cui opera, ma dell’intera società. Se il ritorno sull’investimento aziendale si misura in termini di produttività, quello sociale è sconfinato. Significa essere pronti al cambiamento, migliorarsi come collettività, dare a ciascuno la possibilità di offrire un contributo importante alla competitività del Paese.