L’idea di crisi coincide spesso con l’idea di caos. Eppure, come non smetterò mai di ripetere, le crisi si iniziano a gestire prima ancora che si manifestino. Sembra un paradosso, ma può essere davvero così, se lo vogliamo.
Adottando questo approccio, l’intera disciplina della gestione di crisi può essere vista come un tentativo di non trovarsi, una volta che qualcosa accadrà, totalmente all’interno del caos. Essere in grado, cioè, di predisporre quanto è possibile immaginare prima; di integrare nella propria strategia l’anticipazione ed essere in grado di cogliere precocemente i campanelli di allarme.
Quel qualcosa può scaturire da un evento endogeno (come quando si scopre che un proprio prodotto, già presente negli scaffali dei supermercati, si rivela nocivo) oppure esogeno, quando condizioni esterne, come è stata la pandemia da Covid-19, hanno grandi impatti sulle attività. A volte può addirittura non esserci alcun evento tangibile perché ci sia una crisi. È il caso, ad esempio, delle fake news che circolano online e colpiscono le aziende o i singoli.
Tuttavia, come è facile intuire dagli esempi sopramenzionati, la crisi non è data tanto dall’evento di origine in sé, ma dagli impatti che si generano.
Per questo motivo, bisogna osservarli tutti e mapparli nelle loro categorie. Abbiamo impatti di natura finanziaria, legale e normativa, quelli che vanno ad intaccare aspetti strategici ed operativi, quelli riguardanti la salute delle persone, della società e dell’ambiente e, ovviamente, anche quelli reputazionali. E queste categorie sono tutte interconnesse tra loro e si influenzano reciprocamente.
Per tale ragione, personalmente, non amo molto parlare di crisi reputazionali. Temo che definirle così sposti il focus dell’attenzione sulla causa di origine, piuttosto che sugli impatti da gestire. Mentre sono questi e le domande che emergono a darci preziose informazioni per identificare, in corsa, la strategia da adottare per uscire in maniera solida, sostenibile e trionfante dalla crisi.
Vediamolo con un esempio.
Avrete sicuramente sentito e seguito, in una qualche misura, la crisi che ha coinvolto Chiara Ferragni, la più nota influencer del nostro Paese. La crisi è “scoppiata” il 15 dicembre 2023, quando l’Agcm ha diramato il comunicato stampa annunciando la sanzione per le società Fenice e Tbs Crew per la vicenda nota come #pandorogate.
Una crisi, quindi, ufficialmente nata da una sanzione, che di colpo ha prodotto anche un impatto reputazionale ed economico, e che vede oggi Chiara Ferragni in una situazione molto più critica di quella di partenza. Numerosi i brand che hanno scelto di interrompere o non rinnovare la collaborazione, assenza di nuove opportunità all’orizzonte, continue critiche ai suoi post e anche nelle pagine social degli alberghi e locali che frequenta.
La crisi si è davvero aggravata a causa delle ripetute disastrose strategie di risposta messe in campo dalla stessa Chiara Ferragni. Ed è per questo che il caso fa scuola.
Non essendosi preparata prima ha dovuto improvvisare e lo ha fatto senza comprendere a fondo la potenza virulenta delle crisi. Evitando di comunicare con trasparenza, di riconoscere tutti gli interlocutori e le loro aspettative tradite e non comprendendo fino in fondo le ragioni dietro alle critiche ricevute, ha trasformato il #pandorogate in un #chiaraferragnigate.
Solo per citare i due episodi più eclatanti, penso all’errore di comunicazione, che ha usato per giustificarsi nel video del 18 dicembre 2023, e che, come errore, poteva avere un senso se unico (e non se smentito il giorno successivo, con l’accusa analoga per le uova di Pasqua realizzate assieme a DolciPreziosi). Oppure, all’intervista con Fabio Fazio a “Che Tempo Che Fa” nel marzo 2024, dove è mancata nuovamente una narrazione onesta e responsabile e Chiara Ferragni non è riuscita a ri-posizionarsi come imprenditrice affidabile, sia per i follower sia per gli altri brand.
Ma doveva per forza andare così?
Cosa sarebbe successo se, ad esempio, l’influencer si fosse iniziata a muovere nel silenzio dell’estate 2023, quando alle sue società veniva notificato il provvedimento istruttorio?
Avrebbe, ad esempio, potuto controllare quello e gli altri casi, decidere senza fretta come porvi rimedio e, poi, dare lei la notizia. La tecnica si chiama stealing thunder, letteralmente significa rubare il tuono, e prevede di anticipare una notizia potenzialmente dannosa che verrebbe comunque data da altri, permettendo di mantenere una maggiore governance della narrazione, riducendo gli impatti negativi e risultando più credibili.
Alla fine dei conti, la domanda alla base del nostro poter operare in un qualsiasi contesto, sia esso una comunità, un’azienda o un mercato è: di questa persona/idea/azienda/prodotto/servizio, mi posso fidare?
E uno degli errori che non siamo (fortunatamente) disposti a perdonare, è proprio quello di non imparare dagli errori.
Più la crisi ha impatti reputazionali consistenti, più la stessa sopravvivenza dell’azienda viene minacciata. Ma il rischio maggiore deriva sempre dall’incapacità di rispondere efficacemente alla crisi e di attraversarla. Non basta un comunicato stampa o un post sul social network, o il silenzio, che potrebbe andare bene una volta, ma si paga doppio alla successiva.
Bisogna avere la capacità di leggere rapidamente il contesto e la situazione da più punti di vista, osservarne la dinamica, comprendere senza esitazioni le questioni in gioco e rispondervi.
La reputazione nelle crisi si ricostruisce con un insieme di azioni, atteggiamenti e comunicazioni tempestivi e duraturi, continuando a monitorare le domande e le preoccupazioni emerse, senza dimenticare quelle silenti che si manifesteranno nel lungo periodo.
Bisogna avere la capacità di leggere rapidamente il contesto e la situazione da più punti di vista, osservarne la dinamica, comprendere senza esitazioni le questioni in gioco e rispondervi
Più ci si prepara prima, più si crea lo spazio per gestire gli imprevisti (una sensibilità che non era stata studiata, un piano che è saltato, un competitor che ci ostacola…).
La preparazione alle crisi è la fase più ricca di potenziale dell’intero crisis management. Non protegge unicamente la reputazione aziendale e non riguarda solo la comunicazione. È un’attività strategica volta a tutelare la prosperità del business nel lungo periodo.