Cari amici di Federmanager,
parto dal bellissimo video che è stato proiettato al termine della relazione del presidente Cuzzilla che mi ricorda una frase di Anatole France che diceva: Per compiere grandi passi non dobbiamo solo agire ma anche sognare, non solo pianificare ma anche credere.
Quel video ci aiuta in questa stagione in cui dobbiamo recuperare l’ottimismo della volontà.
Nel messaggio di Stefano Cuzzilla, inoltre, ci sono valori convergenti tra Confindustria, Confapi, Federmanager e molti altri di noi. Una sfida che lanciamo al Paese, a partire dalla nostra volontà, nell’individuare valori comuni e ponendo la necessità di una visione.
Valori comuni che sono quelli del mondo del lavoro. Non a caso la nostra Costituzione dichiara in apertura che l’Italia è una Repubblica fondata sul lavoro. Questo sottintende un’idea molto chiara di società aperta e inclusiva, la stessa società che indicava molto bene Stefano nella sua relazione. Il che comporta chiarezza e consapevolezza delle sfide che abbiamo davanti.
A cominciare dall’Europa. Un’Europa sicuramente da riformare ma che resta determinante perché, se vogliamo competere alla pari con realtà come Stati Uniti e Cina, abbiamo bisogno di più Europa e non di meno Europa.
Dobbiamo chiederci che cosa vogliamo essere, che cosa dobbiamo fare, che cosa significa essere cittadini europei di nazionalità italiana. La sfida è tra Europa e mondo esterno e non più tra Paesi d’Europa. Un’Europa che è il mercato più ricco al mondo: il primo importatore e il primo esportatore.
Da una parte abbiamo la Cina che attraverso le rotte della seta vuole arrivare nel cuore del nostro Continente utilizzando le infrastrutture e la potenza industriale per un fine molto chiaro: diventare il più grande Paese esportatore al mondo. Dall’altra parte ci sono gli Stati Uniti d’America che attraverso i dazi vorrebbero difendere la propria industria facendo rientrare in casa le produzioni oggi svolte all’estero.
A partire da queste semplici considerazioni, dobbiamo attivarci per portare l’Europa a realizzare il futuro che noi immaginiamo.
Un’Europa che si lasci alle spalle le tattiche delle alleanze per ripartire da quelle che abbiamo definito politiche dei fini: stabilire grandi obiettivi, fissare gli effetti che si vogliono realizzare sull’ economia reale, individuare strumenti, quindi risorse, e poi intervenire sui saldi di bilancio. In poche parole, dobbiamo trasformare il patto di stabilità e crescita in patto di crescita e stabilità, perché è la crescita che determina la stabilità e non l’inverso.
Questo significa avere una visione del futuro e costruire una stagione in cui l’Italia possa essere protagonista di una stagione riformista d’Europa. Un’Europa luogo ideale per i giovani, per il lavoro, per la competitività delle imprese, per le infrastrutture. Con un grande piano infrastrutturale transnazionale. Per ridurre i divari, collegare i territori, connettere periferie ai centri.
In poche parole, un’Europa che interpreti quell’idea di società inclusiva e aperta che è stata richiamata anche prima. Un’Europa che ritorni ai suoi fondamentali economici. E qui c’è la questione temporale, che pone anche Stefano: ovvero in quanto tempo facciamo le cose che diciamo.
Dobbiamo costruire una stagione in cui l’Italia possa essere protagonista in un’Europa luogo ideale per i giovani, per il lavoro, per la competitività delle imprese, per le infrastrutture
Nell’autonomia del nostro ruolo di corpi intermedi dello Stato, equidistanti dai partiti ma non dalla politica, dobbiamo riconoscere che con decreto crescita, super ammortamento, fondo di garanzia, IMU e Sblocca cantieri, sicuramente da migliorare, si compie un primo passo nella direzione giusta.
Ma questo non basta perché dobbiamo superare lo 0,1% di crescita prevista. La politica economica del Paese e la politica industriale sono fatte di tanti piccoli passi da compiere con lo sguardo fisso alla crescita come uno dei fini su cui lavorare, per non arrivare a una manovra d’autunno che faccia ricorso allo sforamento del deficit sul Pil che non aiuterebbe nessuno perché incrementerebbe solo il debito pubblico del Paese.
Il Presidente Cuzzilla ci invita a crescere anche come imprese, dal punto di vista culturale e dimensionale. Qui c’è un punto di convergenza tra il mondo di Confindustria e Federmanager, perché se vogliamo crescere dal punto di vista dimensionale e culturale dobbiamo aprire le nostre imprese, non solo in termini di capitale ma anche a un management competente.
Questo significa convergenza, contaminazione, collaborazione per la competitività, per costruire un’industria ad alto valore aggiunto, ad alta intensità di produttività, ad alta intensità di investimenti, in un mondo in cui i fattori di produzione sono quattro e non più due: capitale, lavoro, conoscenza, informazione. E tre di essi riguardano proprio le competenze delle persone.
Siamo chiamati a non appiattirci sul presente, a fare i conti con le nostre potenzialità, a reagire.
Cogliamo l’occasione della criticità della manovra d’autunno per una riforma fiscale che agevoli i fattori di produzione, il mondo del lavoro e delle imprese. Apriamo a un grande piano di inclusione dei giovani, non cavalchiamo ansie ma sogni e speranze, recuperiamo il senso e la certezza del futuro; rispetto, linguaggio, cultura.
Visione del Paese significa rispetto tra le parti, anche nel linguaggio. Questo è importante perché crea una dimensione di fiducia, al di là delle convergenze e delle divergenze che ci possono essere. Goethe diceva che l’importante non è andare d’accordo ma andare nella stessa direzione.
I corpi intermedi dello Stato sono chiamati a essere attori sociali, a essere ponte tra gli interessi delle imprese e quelli del Paese per un futuro che è dentro di noi ma che vedremo solo domani
Nell’ultima parte della sua relazione il Presidente Cuzzilla ha citato la complessità del ruolo della rappresentanza. I corpi intermedi dello Stato come Confindustria, Federmanager, Confapi – di cui saluto il Presidente Maurizio Casasco presente oggi – sono chiamati a fare un salto di qualità e passare dall’essere sindacato d’impresa ad attore sociale, essere ponte tra gli interessi delle imprese e gli interessi del Paese per quel futuro che è dentro di noi e che vedremo solo domani.