L’invecchiamento della popolazione, l’esigenza di intervenire sul fronte della prevenzione e la necessità di migliorare l’efficienza del Sistema sanitario nazionale sono le tre leve che spingono nella direzione di un’alleanza ben strutturata tra sanità integrativa e pubblica. Per spiegare che il futuro della sanità è basato su una migliore integrazione tra pubblico e privato non servono grandi discorsi, bastano due considerazioni: oltre agli aumenti previsti per la spesa sanitaria dai 115 miliardi del 2019 ai 128 e poco più del 2023/24, non sarà possibile investire molto di più, viste le difficoltà delle finanze statali e l’ampiezza del debito pubblico; l’invecchiamento della popolazione, con oltre 16 milioni di ultrasessantacinquenni, già tra 10 anni richiederà nuove tipologie di interventi e nuova spesa.
Per questo serve una sanità che sia espressione dell’alleanza tra pubblico e privato, con la consapevolezza che il privato segue logiche diverse dal pubblico, ma complementari. Infatti, al di là degli stanziamenti di 15,6 miliardi aggiuntivi previsti dal Pnrr, l’invecchiamento della popolazione porta con sé un aumento della spesa che difficilmente potrà essere assorbito dal Ssn. Se poi consideriamo anche che la nostra sanità pubblica non dispone di grandi risorse né di attività a supporto dell’invecchiamento attivo dei senior e della prevenzione delle malattie, è indubbio che nei prossimi anni per la sanità integrativa si aprano spazi enormi anche sul fronte della prevenzione. Il nostro Paese è in cima alle classifiche per aspettativa di vita, ma è sotto la media europea per una vita nella terza e quarta età in buona salute. Abbiamo troppi non autosufficienti che vivono male una parte di vita che, invece, meriterebbe di essere vissuta bene: le persone hanno come legittimo obiettivo primario quello di vivere il più a lungo possibile ma in buona salute.
L’Italia è in cima alle classifiche per aspettativa di vita ma è sotto la media europea per una terza e quarta età in buona salute: troppi non autosufficienti vivono male una parte di vita che meriterebbe di essere vissuta bene
Per questo motivo, anche alla luce dell’esperienza di Covid-19, sarà necessario ripensare al modello di assistenza e di gestione dei silver a partire dagli autosufficienti, spesso soli, per arrivare ai non autosufficienti. Entrambi i casi necessitano di assistenza socio-sanitaria, territoriale e domiciliare, attività che rientrano nel perimetro di quella che viene chiamata silver economy, la nuova grande economia dei senior che, peraltro, detengono quote importanti di reddito e ricchezza.
L’invecchiamento della popolazione, se ben gestito, può trasformarsi da costo in opportunità. Però, com’è stato dimostrato nel corso della pandemia, la sanità integrativa è troppo basata sul sistema sanitario pubblico o convenzionato per poter funzionare bene, per cui una cosa è certa: il futuro dell’assistenza sanitaria integrativa si gioca su una maggiore autonomia rispetto a quella pubblica. Quanto vissuto durante il lockdown lo ha fatto capire molto bene: ospedali quasi totalmente assorbiti dalla cura del nuovo coronavirus, rinvii generalizzati della diagnostica, cittadini lasciati soli, spesso senza neppure un conforto almeno telefonico. Non a caso, nel 2020 si è registrato un rallentamento nell’attività dei fondi sanitari integrativi per la diagnostica, la medicina specialistica e la prevenzione; invece, sarebbe stato fondamentale e utile avere più autonomia, per esempio fornendo un’assistenza tramite call center, device e altri dispositivi di assistenza domiciliare con un maggiore uso della telemedicina, che è il vero domani dei fondi sanitari integrativi insieme alla prevenzione e riabilitazione.
Se poi consideriamo che un’emergenza pandemica o sanitaria potrebbe ripetersi, dovrebbe risultare chiaro a tutti quanto sia importante intervenire per rafforzare il ruolo della sanità integrativa rendendola più strutturata per evitare che il sistema nel suo complesso vada di nuovo in sofferenza. A mio avviso sono tre i passi da fare: primo, creare call center che 24 ore su 24 diano un primo livello di assistenza agli iscritti con personale specializzato; secondo, rafforzare i call center sviluppando tecniche di rilevazione a distanza di importanti patologie evitando di far andare in ospedale, o peggio nei pronto soccorso, le persone quando oggi si può contare su dispositivi elettronici in grado di raccogliere e trasmettere in tempo reale ai medici informazioni sullo stato di salute a partire da pressione sanguigna, saturazione, battito, glicemia, esami del sangue e altre informazioni, che potrebbero poi essere raccolte da questi call center e utilizzate anche in termini di prevenzione medica; terzo, intensificare gli interventi a domicilio su chiamata con personale, infermieristico e/o medico, specializzato.
Parliamo di un’evoluzione che potrebbe influire positivamente anche sull’efficienza della sanità pubblica riducendo, oltre al sommerso che è enorme se non è intermediato dai fondi sanitari, anche le liste di attesa per quanti non dispongono di sanità integrativa. Tuttavia, servirebbe un quadro legislativo di riferimento che oggi manca. Attualmente, c’è anzi un’enorme disparità di trattamento tra iscritti ai fondi contrattuali, in genere i lavoratori dipendenti che hanno il beneficio fiscale della completa deducibilità fino a 3.616 euro l’anno (per la precisione 3.615,20 euro annui), e lavoratori autonomi, liberi professionisti, autonomi o soggetti che si iscrivano autonomamente a forme di assistenza sanitaria integrativa al di fuori di accordi aziendali, territoriali e così via, cui è invece consentita la sola detraibilità al 19% per un massimo di 1.300 euro l’anno nel caso di adesione a società di mutuo soccorso. Mi sembra dunque evidente che la prima cosa che il Parlamento deve fare è garantire un trattamento fiscale equo per tutti. Ma non basta, servirebbe una legge quadro sulla sanità integrativa con l’obiettivo di mettere ordine nel settore dove, secondo l’anagrafe del ministero della Salute i cui dati sono ancora relativi al 2017, ci sono 311 forme di assistenza integrativa. Molte sono solo costruzioni per beneficiare dei vantaggi fiscali, mentre è necessario tutelare con una legge quadro le forme sanitarie efficienti e organizzate come quelle del network Federmanager, dettando regole di tutela e patrimoniali che certamente, come è accaduto per i fondi pensione, ridurranno il numero degli operatori e miglioreranno l’operatività.
Sembra evidente che la prima cosa che il Parlamento deve fare è garantire un trattamento fiscale equo per tutti. Ma non basta, servirebbe una legge quadro sulla sanità integrativa
In questo modo, come accade per molti Paesi del Centro e Nord Europa, i fondi e le casse di assistenza sanitaria integrativa potranno giocare un ruolo importante nella prevenzione, nel miglioramento degli stili di vita e nell’alimentazione in modo da aiutare un invecchiamento attivo in buona salute e con meno solitudine che spesso è l’anticamera di malattie più gravi, e lo possiamo fare perché l’Italia possiede strutture sanitarie e organizzative al passo con le migliori pratiche. Occorre però modificare l’approccio culturale della politica nazionale, una parte della quale vorrebbe addirittura delegare tutto alla sanità pubblica senza rendersi conto che là dove c’è una buona integrazione tra pubblico e privato le cose funzionano meglio sia per il pubblico che per il privato, con un grande beneficio per tutti. In questa direzione la sanità integrativa potrà svolgere un ruolo fondamentale per tutti i cittadini ma in particolare per gli alti profili, tra cui i liberi professionisti e i manager.