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Mosaico europeo

L’Ue si pone l’obiettivo di risistemare le diverse tessere del suo quadro energetico facendo attenzione a tutti gli equilibri: climatici, politici ed economici.

Ridurre del 40% i gas responsabili dell’effetto serra, ottenere almeno il 27% dell’energia da fonti rinnovabili e aumentare l’efficienza energetica del 27-30%: sono obiettivi ambiziosi, quelli che l’Europa si è data per il 2030 in materia di energia. Altrettanto impegnativo è l’obiettivo che si è prefissata per il 2050, di tagliare dell’80-95% i gas responsabili dell’effetto serra rispetto ai livelli del 1990, soprattutto attraverso il passaggio a elettricità e trasporti non alimentati a carburanti fossili e a reti energetiche intelligenti, in grado di controllare i flussi energetici adattandosi ai cambiamenti di fornitura e domanda.

Si tratta di affrontare un futuro nel quale si prevede che già entro il 2040 la domanda energetica mondiale aumenterà del 37% e nel quale la crisi climatica porterà con sé numerosi e profondi cambiamenti di natura sociale e economica. Non bisogna quindi farsi trovare impreparati, tanto più alla luce di uno scenario internazionale molto complesso, dopo che la guerra in Ucraina e la drastica riduzione delle importazioni di gas dalla Russia hanno causato un forte aumento dei prezzi dell’energia.

Le trasformazioni intraprese dall’Europa sono necessarie, difficili e richiedono una visione a lungo termine: attendersi risultati nell’immediato sarebbe un errore, mentre è corretto aspettarsi che gli investimenti promossi in questi anni gettino le basi di quello che sarà il sistema energetico del 2050. A tracciare la via del cambiamento in atto è il Pniec, acronimo che sta per “Piano nazionale integrato per l’energia e il clima”, il documento che definisce gli obiettivi per la transizione energetica e le misure necessarie per raggiungerli.

La direzione intrapresa è quella giusta. Nell’Unione europea, infatti, dal 2004 la quota di energie rinnovabili nella produzione di energia elettrica è più che raddoppiata e l’impegno a conseguire la neutralità climatica entro il 2050 lascia intendere che questo trend è destinato a proseguire nei prossimi anni. I dati più recenti disponibili, relativi al 2022, indicano che dei 2 641 terawatt/ora di energia elettrica prodotti, il 39,4% è stato generato da fonti rinnovabili, il 38,7% da combustibili fossili e il 21,9% da energia nucleare. Tra i combustibili fossili, il gas si colloca al primo posto con il 19,6%, seguito dal carbone (15,8%), petrolio (1,6%) e altre fonti (1,7%). Fra le energie rinnovabili, quella eolica è al primo posto (15,9%), seguita dall’idroelettrica (11,3%), solare (7,6%), da biomassa (4,4%) e geotermica (0,2%).

Nel 2022 l’Ue ha prodotto 2 641 terawatt/ora di energia elettrica: il 39,4% è stato generato da fonti rinnovabili, il 38,7% da combustibili fossili e il 21,9% da energia nucleare.

Non è abbastanza, però, e serve un deciso cambio di passo, come ha recentemente rilevato la Commissaria europea per l’Energia, Kadri Simson. Per raggiungere gli obiettivi climatici e quelli entro il 2027, la diffusione delle rinnovabili «deve accelerare ulteriormente: i piani nazionali preliminari per l’energia e il clima del dicembre 2023 – ha detto Simson – hanno mostrato che siamo lontani dal raggiungere l’obiettivo del 42,5%» di quota di rinnovabili nel consumo energetico complessivo dell’Ue «nel 2030».

C’è poi il problema di armonizzare le azioni dei singoli Stati europei. In ognuno di essi, infatti, la transizione energetica segue velocità talmente tanto diverse che le variazioni nella quota di energia elettrica da fonti rinnovabili vanno da oltre il 90% del Lussemburgo a meno del 13% per Malta. Tredici Paesi producono parte della loro energia elettrica dalle centrali nucleari: dal 3% dei Paesi Bassi a oltre il 60% di Francia e Slovacchia e per otto di essi l’energia nucleare rappresenta più di un terzo della produzione di energia elettrica. All’origine di queste differenze ci sono molteplici ragioni: dalle condizioni geografiche alla ricchezza di risorse naturali come gas o carbone, fino alla scelta politica di sviluppare o meno l’energia nucleare.

Questa disomogeneità non aiuta, soprattutto alla luce di una situazione internazionale decisamente complessa e che pone sempre di più l’energia al centro dell’agenda politica europea. Con la guerra in Ucraina si è infatti affermata in modo urgente la necessità di assicurare la diversificazione delle forniture, accanto a quella di accelerare la transizione verso le fonti rinnovabili. Proprio questi sono gli obiettivi del piano Repower EU, la risposta dell’Unione europea alla crisi energetica, basato essenzialmente su quattro azioni: risparmiare energia; diversificare l’approvvigionamento; sostituire rapidamente i combustibili fossili accelerando la transizione europea all’energia pulita; combinare investimenti e riforme in modo intelligente. In particolare, la Commissione Europea propone di incrementare l’obiettivo 2030 dell’Ue per le energie rinnovabili dall’attuale 40% al 45%.

Un’altra risposta alla crisi energetica è stata la riforma del mercato elettrico varata recentemente. Era stata proposta dalla Commissione europea a marzo 2023, nel pieno della crisi dei prezzi dell’energia, e punta a rendere le bollette energetiche più indipendenti dai prezzi di mercato a breve termine e a proteggere altresì i consumatori dall’estrema volatilità dei prezzi.

L’obiettivo ultimo resta comunque arrivare a una reale indipendenza energetica e questo non sarà possibile, però, senza un profondo cambiamento tecnologico, che impone una riflessione anche su altre fonti, come il nucleare da fissione e, più in là, sulla produzione di energia da fusione. In quest’ultimo ambito l’Europa sta facendo molto, non soltanto con la partecipazione al progetto internazionale del reattore sperimentale Iter, in costruzione nel Sud della Francia, ma promuovendo la ricerca sui primi dimostratori tecnologici, come Demo, grazie all’impegno del consorzio EuroFusion. La fusione promette di avere una portata rivoluzionaria, ma bisognerà aspettare ancora molto tempo prima che diventi una realtà.

Nell’immediato è quindi opportuno concentrarsi su vie più accessibili a breve o medio termine. L’Europa è al lavoro, per esempio, anche sull’idrogeno e il pacchetto di norme recentemente approvato dall’Unione europea riguarda tra l’altro l’istituzione di una nuova entità europea indipendente, Ennoh, operativa dal 2027 e che dovrà riunire gli operatori delle reti a idrogeno, accanto alle altre due strutture esistenti per il gas (Entsog) e l’elettricità (Entsoe).

Si punta anche ad aumentare la produzione annua di biogas e biometano a 35 miliardi di metri cubi entro il 2030, supportando la produzione di un volume massimo sostenibile di biogas con l’obiettivo di trasformarlo in biometano, sostenendo la produzione diretta di biometano da rifiuti e supporto ricerca e innovazione e in questo settore.

Accanto alle altre due strutture esistenti per il gas (Entsog) e l’elettricità (Entsoe), la nuova entità europea indipendente Ennoh, operativa dal 2027, dovrà riunire gli operatori delle reti a idrogeno.

Un altro nodo importante, infine, è quello delle materie prime per la transizione energetica. Si calcola che la domanda di questi materiali è destinata a raddoppiare nei prossimi 30 anni e l’Europa ne produce pochi, specialmente per alcuni di essi. Per esempio, la produzione europea di batterie al litio per le auto elettriche è meno dell’1% rispetto a quella mondiale, o ancora il rame necessario al fotovoltaico e all’eolico, e poi terre rare, manganese e nichel. È uno dei temi da affrontare fin da adesso, per evitare che si generino nuove dipendenze.

 

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