Fine anno, tempo di bilanci e calorie, unità di misura dell’energia. Con una coincidenza curiosa: che sottostimare le entrate e fantasticare sui possibili scenari sembrano esercizi particolarmente riusciti sia nell’ambito privato che pubblico. Così almeno dicono i numeri, quelli che testardamente sostanziano la bilancia e le dinamiche del fabbisogno energetico italiano.
Gli italiani amano la canna del gas. Tra il 2000 e il 2017, l’importazione italiana di gas naturale è passata da una cifra compresa tra i 56 e i 57,4 miliardi di metri cubi a una cifra compresa tra i 68 e i 69,7 miliardi di metri cubi (l’Eni fornisce dati leggermente più contenuti dell’Arera, l’Autorità di Regolazione per Energia, Reti e Ambiente).
Eravamo circa 57 milioni di abitanti nel 2001, siamo circa 60 milioni e mezzo nel 2018 (dati Istat). Approssimando i conti, significa che la popolazione residente è cresciuta di circa il 6% mentre il gas consumato più del 21%. Tutto ciò, in un contesto complessivo di forte controtendenza. Perché complice la crisi economica e la drammatica flessione della produzione industriale, tra il 2006 e il 2016 i complessivi consumi energetici italiani sono comunque scesi della ragguardevole quota del 17,8%, facendo registrare livelli inferiori addirittura a quelli del 1996 (dati Eurostat).
Il quadro appena tracciato è utile per comprendere l’inevitabile benevolenza dello sguardo russo verso l’Italia. Nonostante la dieta dovuta alla crisi, il Belpaese infatti regala a Mosca soddisfazioni da primo della classe; anzi, per essere precisi, da secondo. In Europa, solo la Germania ha più fame di gas: una circostanza che fa di Berlino il partner di gran lunga più importante del Vecchio Continente. Ma subito dietro, sul podio del Cremlino, c’è l’Italia che sgomita con la Turchia.
L’Italia è seconda solo alla Germania per richiesta di gas dalla Russia: stando ai dati dei primi trimestri del 2018, scavalcherà la Turchia quanto a gas importato
Ankara, con circa 54 miliardi di metri cubi di fabbisogno annuo, è complessivamente un mercato importante ma inferiore a quello italiano. Tuttavia, stando ai dati forniti da Gazprom (il colosso russo dell’energia), ha importato negli anni recenti più di quanto non abbia fatto l’Italia (nel 2017, circa 29 miliardi di metri cubi contro i nostri circa 24). Questo fino al 2018. Sembra infatti che le diverse circostanze che hanno sostanziato il bronzo italiano – l’atteggiamento complessivo di Palazzo Chigi, i problemi legati alle sanzioni concernenti la crisi ucraina, il contenzioso legale per lo stop di South Stream – stiano cessando di dare i loro effetti. Così, stando ai dati dei primi tre trimestri del 2018, si prevede che per l’anno in corso Roma scavalchi Ankara e si attesti subito dietro Berlino.
Ovviamente, a sostanziare ulteriormente tale contesto, sono anche alcune essenziali circostanze esterne. L’Italia può difficilmente uscire dalla dipendenza verso le risorse russe se le importazioni dalla Libia sono ridotte all’osso e se l’Algeria, complice anche l’aumento della domanda interna, non riesce ad andare molto oltre gli 11 miliardi di metri cubi dello scorso anno (l’Eni sta comunque pianificando ingenti investimenti nel Paese nordafricano).
Per questo Mosca tesse la sua tela in tutto il bacino del Mediterraneo, con una presenza strategica in Egitto, in Libano e, ovviamente, in Siria (è l’attore fondamentale della stabilizzazione del paese). Ultimo tassello, la fotografia della calorosa stretta di mano tra Putin ed Erdogan ad Istanbul: così, lo scorso 19 novembre, è stata celebrata l’ultimazione del tratto inabissato nel Mar Nero di Turkstream, gasdotto che unisce Russia e Turchia per pompare “oro blu” verso la stessa Turchia, i Balcani e il sud dell’Europa. Circa il 50% dei complessivi 31,5 miliardi di metri cubi di gas saranno una faccenda tra i due Paesi, andando a soddisfare la notevole domanda interna turca. Il resto, attraverso la Grecia, arriverà nel Vecchio Continente (ancora una volta alleggerito dai costi del transito ucraino, paese appositamente tenuto fuori dalla partita).
Senza troppi ragionamenti tortuosi, questo è il quadro rispetto al quale è stato pensato e realizzato il gasdotto Tap, infrastruttura che porterà in Italia, dall’Azerbaigian, 10 miliardi di metri cubi di gas (a regime, elevabili a 20). Diversificare non è per niente facile, perché tutti gli attori internazionali che sostanziano la contesa del gas sono oltremodo attivi.
Quest’anno, stando a quando dichiarato da Putin lo scorso 3 ottobre, la Russia sfonderà quota 200 miliardi di metri cubi di gas esportati verso l’Europa (erano 192,2 nel 2017). Lo fa in un contesto di prezzi relativamente bassi, di relativa ripresa economica europea e di relativa disponibilità di gas naturale liquefatto importabile da paesi extraeuropei.
Insomma, sotto la paglia delle parole che riguardano la ricerca di indipendenza energetica, le rinnovabili, il solare, è chiaro che Mosca darà ancora per molto tempo le carte. Costringendo alla rassegnazione chi – Stati Uniti in testa – sprona il paziente europeo e italiano a una dieta diversa.