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Manager 4.0, fulcro della nostra Assemblea

I più pessimisti citano una risalente, celebre, frase di Warren Bennis: “L’industria del futuro avrà solo due dipendenti: un uomo e un cane. L’uomo sarà lì per nutrire il cane. Il cane sarà lì per evitare che l’uomo tocchi qualcosa”.

Con Industria 4.0 siamo entrati nella dimensione del cambiamento permanente, il paradigma su cui si vince o si perde.

È una sfida che riguarda l’intero ecosistema.  Non solo imprese e lavoratori ma anche le istituzioni e le organizzazioni di rappresentanza, le università e il mondo dell’education.

Noi, che siamo conosciuti e apprezzati nel mondo soprattutto per la nostra manifattura di alta qualità, abbiamo un grande patrimonio industriale che sa essere innovativo e competitivo su scala globale, capace di produrre valore e generare benessere che dobbiamo sostenere e sul quale possiamo costruire la via della crescita strutturale e duratura.

Abbiamo però un problem setting” da considerare. La dimensione delle nostre imprese è diventata una criticità perché frena gli investimenti in conoscenza e la presenza su mercati esteri. Due componenti essenziali per essere competitivi. La digitalizzazione è una rivoluzione che cambia il rapporto tra la piccola e la grande dimensione: pertanto è prioritario passare da un modello d’impresa tipicamente imprenditoriale a un modello più manageriale.

Più che abilità manuali, occorrerà possedere un bagaglio specifico di capacità continuamente aggiornate e funzionale a sostenere l’evoluzione del business.

Il blue collar 4.0 dovrà essere polivalente e cooperativo, mentre al white collar 4.0 saranno riservati compiti di più alto profilo e con più elevati livelli di responsabilità. Nella fabbrica intelligente l’ingegneria sarà sempre più strettamente legata alla robotica: l’ingegnere di nuova generazione dovrà saper progettare in modo integrato utilizzando al meglio la tecnologia disponibile.

Lo scenario complessivo vedrà una forza lavoro multitasking, cooperativa, perfettamente integrata nelle dinamiche produttive e maggiormente coinvolta nei processi decisionali e nelle attività manageriali, in un’ottica partecipativa.

Tale prospettiva non potrà prescindere, quindi, da un profondo cambiamento della visione del lavoro e dall’adeguamento di alcune regole e dinamiche con un impatto sulle relazioni industriali e sui modelli contrattuali che spingono inevitabilmente verso un rafforzamento della prossimità e della contrattazione aziendale.

Nell’attesa di formare le future generazioni, dobbiamo innanzitutto preoccuparci di chi un lavoro ce lo ha e se lo deve mantenere, di chi lo ha perso, o peggio ancora, non lo ha ancora trovato.

L’espressione skills mismatch racchiude la difficoltà di reperire risorse con adeguate competenze tecnologiche richieste dal mercato e il disallineamento della formazione didattica rispetto alle esigenze delle imprese.

Le High Skill che deve possedere il dipendente di un’azienda digitale presuppongono una sinergica e stretta relazione tra la formazione accademica e il mondo della produzione industriale. Urge, quindi, un dialogo più costruttivo e costante tra il mondo del lavoro e quello della scuola e dell’università, un efficiente sistema di alternanza scuola-lavoro.

Il rischio di assistere al concretizzarsi di una job polarization è alto: cresceranno inevitabilmente le professionalità denominate STEM (Science, Technology, Engineering, Mathematics) con un allargamento del divario già esistente in termini di opportunità di accesso al lavoro.

Quanto detto ci lascia intuire come il binomio alta specializzazione/manifattura digitale sia solo una parte del bagaglio di competenze richiesto al nuovo lavoratore. A queste devono accompagnarsi soft skills tipiche di un ambiente di lavoro caratterizzato da un’elevata complessità e flessibilità. Certamente, le capacità di information analysis, apprendimento continuativo e repentino adattamento, così come il saper fronteggiare con destrezza situazioni complesse e impreviste.

È necessario puntare sulla creatività dei lavoratori e sulle loro competenze, soft e digital, applicando i principi di life long learning, partendo dalla formazione scolastica.

Modelli organizzativi meno verticalizzati e più orizzontali in cui il manager dovrà non solo comprendere l’evoluzione e le complessità del mercato, ma ance individuare le migliori soluzioni e dare valore al lavoro in team. 

Il manager 4.0 dovrà saper mappare per organizzare e interpretare l’enorme quantità di dati prodotti, nonché garantire, in totale trasparenza, la creazione e distribuzione efficace dell’informazione, al fine di adeguare i processi aziendali alla nuova sfida di una domanda di prodotti e servizi che siano al tempo stesso di massa e personalizzati.

Perciò tra le richieste che indirizziamo al governo c’è l’introduzione di una “rinnovata legge Sabatini” che confermi le agevolazioni per gli investimenti in tecnologie digitali e ne preveda di nuove per favorire l’inserimento nelle imprese di competenze manageriali, per creare sviluppo, crescita, occupazione e dare una prospettiva pluriennale di successo al piano di trasformazione digitale del Paese.

 

La relazione del direttore generale, Mario Cardoni, è disponibile qui nella sua versione integrale.