Ai seminari, nei corridoi, tra gli stand di Connext 2019, l’evento di partenariato industriale che Confindustria ha organizzato a Milano il 7 e 8 febbraio scorsi, incontriamo più volte Carlo Robiglio, presidente Piccola Industria Confindustria. Ripete con convinzione il suo messaggio: «Bisogna managerializzare l’impresa», dice a ogni interlocutore. Progetto Manager lo ha intervistato all’uscita del workshop promosso da 4.Manager dedicato alle storie di successo di imprenditori e manager nei settori della finanza, internazionalizzazione e innovazione.
Carlo Robiglio, presidente Piccola Industria Confindustria
Presidente, qual è dunque lo stato di salute delle piccole imprese italiane?
È una situazione a due facce. Da una parte abbiamo imprese che vogliono crescere e che hanno dimostrato nei mesi scorsi di voler investire, soprattutto nell’innovazione, in Industria 4.0. Dall’altro lato, ci sono realtà che oggi vivono con una certa preoccupazione la grande incertezza che sta regnando sovrana nel nostro Paese. Quindi non posso non esprimere uno stato di disagio, sia personale sia come rappresentante della Piccola Industria italiana, di fronte all’esperienza difficile che stiamo vivendo. Assomiglia sempre meno al periodo post-crisi in cui l’industria aveva cominciato a investire e a ripartire; piuttosto, vediamo situazioni che presagiscono la possibilità che tutto si fermi e, quindi, il blocco degli investimenti.
In un momento storico così poco brillante, come attrarre e trattenere le menti più capaci, le competenze giuste?
Nei momenti di difficoltà e di crisi le aziende non devono solo pensare a resistere, devono pensare a rilanciare. Per questo ritengo importante managerializzare l’impresa. Oggi la piccola impresa ha una necessità feroce di competenze che l’imprenditore quasi sempre non possiede. L’imprenditore piuttosto deve fare un passo indietro, deve uscire dall’azienda, deve contaminarsi, deve ascoltare la narrazione dei colleghi che hanno avuto successo ma, soprattutto, deve riuscire ad attirare all’interno quelle competenze manageriali che possono aiutarlo a fare il salto di qualità. Come spesso dico, questa è anche la mia storia: da piccolo imprenditore di prima generazione ho cominciato a vedere l’azienda crescere, irrobustirsi, sfidare nuovi mercati; nel momento in cui io come imprenditore ho fatto un passo indietro e ho inserito competenze nella mia organizzazione ho superato le sfide più alte.
Nei momenti di difficoltà è fondamentale per le aziende non solo resistere alla crisi, ma rilanciare con l’inserimento di competenze che l’imprenditore quasi sempre non possiede
E come si impara a “fare un passo indietro”?
Non è così semplice. Il grande lavoro che come Piccola Industria Confindustria stiamo facendo soprattutto in collaborazione con Federmanager e 4.Manager punta proprio a sviluppare una forte cultura di impresa per far capire ai colleghi, alle centinaia e migliaia di imprenditori quanto sia importante aprire l’impresa a nuove competenze e a nuovi manager.
Cosa state realizzando in concreto per diffondere questa nuova cultura?
Invitiamo alla riflessione attraverso incontri, convegni, ma soprattutto informiamo tramite la narrazione, un elemento davvero potente. Gli imprenditori raccontano ai colleghi la loro esperienza, solitamente di piccole realtà che nella convinzione di essere autosufficienti, hanno incontrato difficoltà ad andare avanti o addirittura, nei casi peggiori, sono rimaste vittime di improvvise e terribili cadute. Quando hanno cominciato a introdurre competenze forti hanno, invece, visto l’impresa crescere. Raccontiamo questo mettendo in collegamento le esperienze di successo e generiamo valore. È una forma di contaminazione positiva in cui crediamo molto.
Da Connext ha preso il via “Think4Management”, la Community per imprenditori e manager under40 che avete promosso in 4.Manager. Di cosa si tratta?
In questo caso abbiamo sfruttato la possibilità di mettere in relazione banche dati e opportunità di business. L’innovazione ci permette di elaborare anche piattaforme virtuali e favorisce una maggior conoscenza rispetto al passato. La piattaforma che abbiamo lanciato servirà a mettere in connessione le nuove generazioni grazie agli strumenti digitali. Sono convinto che dobbiamo lavorare in particolare sui giovani imprenditori per diffondere l’importanza di aprirsi alle competenze manageriali.
Parlando di giovani imprenditori, il tema del passaggio generazionale è letto ormai come elemento di criticità. Molte Pmi non sopravvivono alla prova della successione. Lei, però, preferisce parlare di continuità aziendale. Perché questo cambio di paradigma?
Credo che il concetto di passaggio generazionale vada abbandonato. Non spiega il punto di vista di chi fa impresa. Parlo di continuità aziendale perché abbraccia il tema di acquisizione di responsabilità da parte dell’imprenditore nei confronti della società. L’impresa non è una proprietà, non va trattata come fosse un appartamento o un garage…l’impresa è un elemento vivo che deve restituire ai territori tutto ciò che da esso ha ricevuto. Ha quindi una tensione verso la comunità: già solo il mantenimento del valore dell’impresa va visto in questi termini. Quindi, creare valore significa riconoscere che il proprio figlio, preparato o meno che sia, non ha il diritto di gestire l’impresa che va governata in un’ottica di continuità. Il dovere è continuare l’impresa, non fare dell’impresa un affare di famiglia.