L’ultimo segno plastico del cambio di rotta è la firma che hanno apposto 181 amministratori delegati al nuovo manifesto della Business roundtable, associazione che negli Stati Uniti riunisce le principali aziende a stelle e strisce. Ad agosto i manager dei colossi d’oltreoceano hanno siglato l’impegno a mettere comunità, dipendenti e clienti davanti agli azionisti. Non più il profitto a ogni costo, ma il profitto controbilanciato dai suoi effetti nella società. Una rivoluzione copernicana, che avrà influenze sulle strategie delle aziende in vari settori. Uno di questi è l’ambiente. Se le imprese dovranno proteggere le comunità, altrettanto dovranno fare con la natura e le risorse del luogo che le ospita. Per un’azienda però, l’impegno non può rimanere solo un’enunciazione di principio. Perché si passi all’azione, devono tornare i conti. L’ambiente, insomma, deve entrare a bilancio, diventare una voce tracciabile, leggibile e misurabile del corso impresso dai manager rispetto all’adesione a piani di maggiore sostenibilità.
L’Europa unita è pioniera di queste politiche. L’Emission trading system comunitario (Ets Eu), il mercato su cui le aziende si scambiano certificati CO2, è il primo al mondo per volumi: coinvolge 31 paesi (tre in più dei 28 già nell’Unione: Liechtenstein, Norvegia e Islanda), riguarda il 45% delle emissioni di gas serra nel vecchio continente e si applica a 11.600 impianti energivori (come centrali energetiche o grandi fabbriche) e alle compagnie aeree. In sostanza, per ciascun settore industriale l’Unione fissa un tetto dei gas inquinanti che possono essere emessi. Chi è bravo e si tiene al di sotto delle quote, può vendere i suoi crediti e guadagnare sulla buona condotta. Chi sfora, acquista titoli di emissione e paga il ritardo nell’abbassare la sua impronta ambientale. I risultati si sono già fatti sentire: nel 2020 la Ue ha calcolato che le emissioni sotto osservazione saranno scese del 21% rispetto al 2005, anno in cui è partito lo scambio titoli. Nel 2030 si stima un meno 43%.
Di conseguenza, in uno scenario in cui l’ambiente diventa un aspetto sempre più decisivo nella vita di un’azienda, non solo nella pianificazione dei propri approvvigionamenti energetici o dei consumi, ma anche nella capacità di attirare talenti, visto che secondo un’indagine di Cnbc condotta negli Stati Uniti, l’86% dei millennial intervistati sarebbe disponibile ad accettare uno stipendio più basso pur di lavorare in un’azienda attenta alla sostenibilità, l’essere virtuosi può fare la differenza nel successo del proprio business.
L’86% dei millennial è disponibile ad accettare uno stipendio più basso pur di lavorare in un’azienda sostenibile
Per la società di consulenza EY, integrare i processi sostenibili all’interno della strategia aziendale è il passaggio per relazionarsi con gli effetti della propria attività, dialogare con il crescente numero di clienti attenti a questi aspetti e sviluppare innovazione. L’impegno sull’ambiente è una voce chiara dei documenti che le imprese devono redigere. Dal 2016 le aziende sono tenute a rendicontare informazioni non finanziarie, tra cui quelle legate alla sostenibilità, anche in Italia, ma da uno studio della Fondazione per lo sviluppo sostenibile con Itelyum su 130 imprese delle circa 200 interessate da questo obbligo, è emerso che spesso questi report non fotografano in modo giusto il lavoro che le imprese stanno facendo. Solo l’8% calcola l’impatto inquinante dei propri prodotti e solo il 35% rendiconta le emissioni di tutta la catena del valore. E ancora, solo l’11% spiega come è intervenuta per migliorare il business e per aumentare il riciclo e il riuso, in un’ottica di economia circolare.
Solo l’8% delle imprese calcola l’impatto inquinante dei propri prodotti e solo il 35% rendiconta le emissioni di tutta la catena del valore
Le aziende si stanno attrezzando anche in Italia per rispondere a una maggiore trasparenza. Ferrovie dello Stato, per esempio, ha generato un modello per il calcolo delle esternalità e avviato un programma di gestione della catena di forniture. Il marchio del caffè Illy ha stilato un piano a lungo termine, con orizzonte al 2030, che prevede, tra le altre cose, di migliorare la conoscenza degli impatti della propria attività lungo la filiera, trasferendo ricerca e progetti sul campo, di promuovere una cultura diffusa della sostenibilità e di migliorare l’efficienza energetica e l’uso delle risorse, riducendo il proprio impatto. Intesa Sanpaolo, invece, è stata una delle poche banche al mondo ad avere realizzato, lo scorso giugno, un rendiconto non finanziario che aggiorna le performance dell’istituto in ambito ambientale, sociale e di governance raggiunte nei primi sei mesi del 2019. Dati presentati alla Fondazione per lo sviluppo sostenibile, riferiscono che nel 2018 Intesa Sanpaolo ha erogato 1,9 miliardi di euro per sostenere iniziative nel campo delle energie rinnovabili, dell’efficienza energetica e della tutela ambientale. Nel 2017 ha anche emesso un green bond del valore di 500 milioni di euro, i cui proventi hanno finanziato 75 progetti e tagliato 353 mila tonnellate di emissioni di CO2.
I rapporti sempre più allarmanti sulle conseguenze che il cambiamento climatico potrà avere, impongono alle aziende di giocare a carte scoperte. Di recente Skyway Monte Bianco, la funivia che conduce sul tetto d’Europa, ha presentato il suo bilancio di sostenibilità, che descrive le strategie adottate per ridurre l’impatto del turismo sui ghiacciai, proteggere il delicato ambiente alpino, ma anche promuovere l’economia locale. Se le buone prassi diventassero un imperativo comune, l’impatto sarebbe ancora più vistoso. L’Energy efficient mortgages action plan, un piano per sostenere i mutui casa verdi promosso dall’Unione europea, calcola che se l’intera filiera del credito nel vecchio continente, che si aggira intorno ai 7 mila miliardi di euro ogni anno, valutasse l’effetto lungo la filiera delle attività che finanzia e scegliesse di concentrarsi sul mercato green, la ristrutturazione del costruito contribuirebbe ad abbattere le emissioni.
Le Nazioni unite hanno fissato una mappa delle azioni che le imprese possono intraprendere per rendere più evidente, nella pianificazione aziendale, l’impegno alla sostenibilità. E nei primi giorni di ottobre 30 centri finanziari, che muovono 61.300 miliardi di dollari in capitalizzazione dei mercati azionari e ne rappresentano l’80% delle quote, hanno deciso di promuovere gli investimenti in finanza verde e sostenibile, stabilendo entro il 2022 obiettivi comuni. In due anni il Programma ambientale delle Nazioni unite (Unep) ha ottenuto l’adesione dei principali investitori di capitale, che, così facendo, hanno spostato la bussola delle loro operazioni allineandola a quella degli Accordi di Parigi e degli SDGs dell’Onu. La rete internazionale di centri finanziari per la sostenibilità (Fc4s) ha anche messo nero su bianco un piano specifico per l’Africa, coinvolgendo le piazze de Il Cairo, Casablanca, Lagos, Nairobi e Abdijan, per traghettare investimenti verdi verso il continente. Un lavoro di squadra con banche, assicurazioni, mercati azionari, professionisti del settore e autorità di regolazione sarà la strada per riscrivere le regole del gioco e orientarle a una maggiore attenzione all’ambiente, ponendo gli obiettivi di costruire una comunità coesa, viva e prospera davanti a quelli del mero profitto.