La sottile linea verde

Le imprese guardano alla sostenibilità come fattore-chiave per innovare processi e intercettare nuovi mercati. Ma il gap di competenze resta un nodo strategico per la competitività

Che i giovani abbiano a cuore l’ambiente non è una novità. Dalle piazze piene dei Fridays for Future, al volto di Greta Thunberg, l’impegno per il pianeta è ormai parte integrante della loro identità. Ma c’è un aspetto meno raccontato: questa passione civile può trasformarsi in una prospettiva professionale. Stiamo parlando dei cosiddetti green jobs.

Nonostante il termine sia ormai diffuso, la sua definizione resta sfuggente. «Esiste un dibattito su cosa sia un lavoro verde, perché le stesse skills possono essere spese in contesti più o meno legati alla green economy» spiega Ugo Rizzo, docente di Politica economica all’Università di Ferrara, che da anni concentra la sua ricerca sul tema.

Di certo i green jobs non si limitano ai mestieri classici delle scienze ambientali. La difficoltà di inquadrarli nasce proprio dalla loro natura trasversale: spaziano dall’agricoltura alla manifattura, dalle costruzioni ai servizi, fino alla pubblica amministrazione. E non mancano ambiti inaspettati, come la comunicazione e il marketing.

Rizzo sottolinea inoltre una caratteristica peculiare: «A differenza del digitale, che riguarda soprattutto lavori ad alta qualificazione, i green jobs si trovano in tutti i settori, e includono anche impieghi a bassa specializzazione».

Una strada sempre più tracciata

 

Il contesto europeo, segnato da politiche sempre più stringenti sul clima, ha spinto le imprese a investire con decisione sulla sostenibilità. Secondo Eurostat, nel 2024 i Paesi Ue hanno destinato 76 miliardi di euro per servizi ambientali. Ben il 61,4% di questi investimenti è stato sostenuto da imprese private, per ridurre l’impatto dei propri processi produttivi.

Secondo Eurostat, nel 2024 i Paesi Ue hanno destinato 76 miliardi di euro per servizi ambientali. Ben il 61,4% di questi investimenti è stato sostenuto da imprese private

 

Nel quadro del Pnrr e del Pniec, che destinano ampie risorse alla transizione ecologica, Paolo Sciacca, coordinatore della sottocommissione Pnrr presso il Ministero dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica, osserva come la sostenibilità stia diventando leva di sviluppo per le imprese. «Per l’esperienza maturata in questi anni, ci sarà sempre più bisogno di figure specializzate nel settore green. C’è un’attenzione crescente da parte delle aziende» osserva Sciacca.

Una scelta, questa, spinta non solo dalle norme, ma anche dal mercato. Infatti i consumatori mostrano una sensibilità sempre più marcata. Lo conferma il Global Consumer Survey di PwC, che ha coinvolto circa 9 mila consumatori in 25 Paesi: oltre tre quarti degli intervistati (78%) si dichiarano disposti a pagare di più per un prodotto realizzato localmente; il 77% farebbe lo stesso per articoli ottenuti da materiali riciclati, sostenibili o eco-compatibili; il 75% è pronto a spendere di più se il brand è noto per le proprie scelte etiche.

Il professor Rizzo coordina due progetti di ricerca sul tema finanziati dall’UE. Il primo, soprannominato “Tratto”, in collaborazione con un gruppo di ricerca che coinvolge varie università italiane, studia le implicazioni della transizione verde sul mercato del lavoro. L’obiettivo è valutare come i processi di riconversione ecologica stiano modificando domanda e offerta di competenze.

«Una delle evidenze emerse – anticipa il docente – è che assumere personale con competenze verdi, a parità di produttività, correla in modo robusto a un aumento delle vendite. Ciò avviene soprattutto nell’industria manifatturiera, ma riguarda in media l’intera economia».

In altre parole, la sostenibilità è diventata un fattore decisivo che orienta le scelte d’acquisto. E questo crea un circolo virtuoso: le imprese che investono in green jobs, non solo contribuiscono alla transizione ecologica, ma intercettano una domanda in forte crescita, aprendo nuove opportunità, sia di lavoro che di business.

La situazione in Italia

 

Se la direzione è chiara, la transizione verde incontra però un ostacolo: la carenza di competenze. Per molte imprese reperire profili con solide green skills può essere complesso. Il Global Green Skills Report 2023 realizzato da LinkedIn fotografa bene questa dinamica.

A livello globale, 7 lavoratori su 8 sono privi di competenze verdi. Nel periodo 2018-2023 la quota di talenti verdi è cresciuta in media del 5,4% l’anno, mentre la domanda di posti che richiedono almeno una competenza green è aumentata del 9,2%. E tra il 2022 e il 2023 questa forbice si è ampliata ulteriormente: la richiesta di competenze verdi è salita del 22,4%, a fronte di una crescita dei talenti disponibili del 12,3%.

Qualche settimana fa, un network internazionale che riunisce oltre 90 grandi città impegnate nella lotta alla crisi climatica (rete C40) ha diffuso un rapporto che conferma il problema. L’analisi è stata condotta su 25 Paesi, tra cui l’Italia, e mostra che da qui al 2040 si assisterà a una forte espansione dei settori legati alle competenze green. Tuttavia, fino a 6 milioni di posizioni di lavoro rischiano di rimanere scoperte, e i motivi principali sono due: la mancanza di competenze e il progressivo invecchiamento della popolazione attiva.

Eppure nel 2023, in Italia, il rapporto Unioncamere sulle competenze green ha registrato circa 1,9 milioni di nuovi contratti di lavoro legati ai green jobs, all’incirca un terzo del totale delle assunzioni private. È una quota in lieve aumento rispetto al 2022 (+5,6%), tuttavia con una distribuzione molto differenziata: il settore industriale conferma un’alta intensità di occupazione verde (69,8% degli assunti), mentre nei servizi l’incidenza scende al 20,9%.

Oltre ai dati settoriali, l’indagine di Unioncamere conferma la centralità delle competenze trasversali, caratteristica già evidenziata dall’Organizzazione Internazionale del Lavoro. Problem solving, capacità di lavorare in gruppo, autonomia e flessibilità sono richieste nell’80% dei green jobs. A queste si aggiunge una crescente ricerca da parte delle aziende di competenze digitali avanzate: le capacità informatiche caratterizzano il 20% dei lavori verdi, contro il 14% delle altre professioni.

Altro nodo cruciale è la scelta del percorso formativo. «In ambito green esiste molta offerta formativa nelle facoltà relative alle scienze naturali, perché c’è tutta la parte di agronomia e delle scienze ambientali. Ma anche nelle facoltà di ingegneria ambientale» spiega Rizzo, che coordina anche il progetto “Urgeens”, dedicato all’integrazione delle competenze green nei percorsi universitari italiani. Lo studio monitora il loro grado di diffusione nelle diverse facoltà italiane, per individuare gli atenei che contribuiscono maggiormente alla produzione di green skills.

«Si registra un buon livello di inserimento anche nelle scienze umane. Più indietro restano le facoltà di linguistica e giurisprudenza, anche se proprio quest’ultima – grazie alla crescita delle normative ambientali – ha mostrato negli ultimi anni l’aumento più rapido di contenuti formativi green» conclude il docente.

Entrambi i progetti citati – Tratto e Urgeens – sono cominciati nel 2023 e la loro durata è stata recentemente prorogata fino a febbraio 2026. «Quelle che ho descritto sono anticipazioni. Nei prossimi mesi – aggiunge Rizzo – pubblicheremo sul sito del gruppo di ricerca responsabile dei progetti (https://reskill-research.eu/) mappe che renderanno disponibili dati di particolare interesse».

Le imprese che investono in green jobs, non solo contribuiscono alla transizione ecologica, ma intercettano una domanda in forte crescita, aprendo nuove opportunità di lavoro e di business

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