Secondo una survey dell’American Chamber of Commerce in Italy di alcuni anni fa, a salvare l’immagine del nostro Paese presso i top manager delle case madri delle imprese americane operanti in Italia era la qualità delle risorse umane, giudicata dal 70% del campione migliore della media degli altri Stati dove le stesse investivano.
Purtroppo a pesare come una zavorra erano i soliti mali italiani, dall’eccesso di burocrazia all’inefficienza della giustizia.
A spiccare nella percezione dei top executive statunitensi era soprattutto la disponibilità e la formazione dei nostri manager italiani, giudicata dal 33% del campione come un vero e proprio vantaggio competitivo dell’Italia rispetto agli altri Paesi europei (seconda soltanto alla capacità innovativa delle imprese, con il 52%, che peraltro in gran parte agli stessi manager va ascritta).
D’altronde, che i manager italiani siano apprezzati lo dimostrano le brillanti carriere di molti di essi all’interno delle stesse multinazionali, con frequenti passaggi dall’Italia ad altre filiali estere o addirittura agli headquarter aziendali con posizioni spesso di rilievo.
Ad essere apprezzata all’estero è in particolare la flessibilità e la capacità di adattamento a contesti diversi dei nostri manager, che molto più degli altri sono capaci di integrarsi con culture aziendali a volte agli antipodi
Ad essere apprezzata all’estero è soprattutto la flessibilità e la capacità di adattamento a contesti diversi dei nostri manager, che molto più degli altri sono capaci di integrarsi con culture aziendali a volte agli antipodi.
Basti pensare ai tanti esempi di manager italiani che si trovano a lavorare consecutivamente in aziende giapponesi ed americane, sempre con un fattore di successo estremamente elevato.
Se dunque la qualità dei manager italiani è certamente uno dei principali fattori di attrazione degli investimenti esteri in Italia, insieme alla dimensione del nostro mercato domestico, è anche vero l’opposto: gli investimenti diretti esteri (Ide) sono un’opportunità non solo per il sistema Paese ma anche per i manager italiani.
In primo luogo, in un’economia purtroppo pressoché stagnante negli ultimi anni, il settore delle imprese a partecipazione estera in Italia mostra proporzioni consistenti e numeri in crescita.
Al 2015, secondo i dati dell’Ice, erano 12.768 le multinazionali attive nel Belpaese, in crescita dell’11,7% rispetto alle 11.430 del 2009. Nello stesso periodo di tempo sono aumentati anche il numero degli addetti impiegati e il fatturato. Il primo nel 2015 si attestava a 1.211.872 addetti, maggiore del 4% in confronto al dato del 2009. Il secondo era pari a 573.641 milioni di euro, in crescita del 13,4% rispetto al 2009.
Un trend positivo che si è confermato nel 2016, con un flusso di investimenti rivolti all’Italia pari a quasi 30 miliardi di dollari (28.955) e 181 progetti di tipo greenfield (quelli di maggior valore perché realmente aggiuntivi rispetto alla struttura produttiva).
Numeri che hanno consentito allo stock totale di investimenti esteri diretti di raggiungere sempre nel 2015 una quota del 18,7% del prodotto interno lordo (+2,3 punti percentuali rispetto al 2014).
Ma non è soltanto il numero crescente di imprese a partecipazione estera a poter rappresentare un’occasione per i nostri manager.
Il fatturato decisamente più elevato rispetto alla media delle imprese a capitale italiano, ulteriormente aumentato dal 2009 al 2015 (fino a raggiungere i 45 milioni di euro), unito a un numero medio di dipendenti che in molti settori è superiore alle 250 unità, consente stipendi più elevati e occasioni di crescita in Italia e, come abbiamo visto, altrove decisamente superiori rispetto alla tipica azienda italiana. Dove peraltro prevale, anche in quelle grandi e medie, un modello familiare che spesso schiaccia il ruolo dei manager.
La distribuzione geografica degli investimenti esteri è però piuttosto squilibrata: la presenza di imprese a partecipazione estera nelle regioni italiane varia infatti, da poche decine a diverse migliaia
Peccato soltanto che la distribuzione geografica degli investimenti esteri sia piuttosto squilibrata.
La presenza di imprese a partecipazione estera va da poche decine a diverse migliaia, a seconda della Regione presa in considerazione.
In generale, si concentra nelle grandi Regioni del Nord e nel Lazio. La Lombardia fa la parte del leone, ospitando quasi la metà delle multinazionali presenti in Italia (5.904 nel 2015).
A grande distanza troviamo il Lazio 1.172, il Veneto 1.066, il Piemonte 1.008 e l’Emilia Romagna 972.
In fondo alla classifica, si collocano il Molise (10 multinazionali), la Valle d’Aosta (19), la Calabria (36), la Basilicata (68), l’Umbria (68) e la Sardegna (69).
Appare dunque chiaro che gli investimenti esteri rappresentino certamente una grande opportunità per i manager italiani, a patto che questi siano disponibili a muoversi geograficamente, in Italia e all’estero. Una scomodità che quasi sempre vale la pena affrontare.
* Presidente I-Com (Istituto per la Competitività)