È impossibile parlare oggi di ripensamento dei sistemi sanitari in termini di efficacia ed efficienza senza tener conto dell’impatto che sta avendo la pandemia da Covid-19 per la quale molte tipologie di sistemi sanitari, anche se molto diverse tra loro, si sono trovate in difficoltà. Perché? La ragione principale è che si tratta di sistemi che si erano evoluti, fino ad oggi, secondo la logica di una quasi esclusiva gestione delle malattie non trasmissibili (tumori, malattie degenerative, cronicità), privilegiando la centralità assoluta del sistema-ospedale e lasciando alla medicina di territorio un ruolo di filtro. In modelli come questi è stata quasi del tutto marginale una riflessione strutturata e lungimirante sulle malattie patogeniche, poiché ci si è mossi soprattutto dalla convinzione che, forti delle conquiste della medicina avvenute contro il vaiolo, il morbillo etc., non avrebbe più avuto un grosso impatto sulle nostre società. Un errore, è evidente, che già con l’Aids poteva essere evitato ma che sicuramente il Covid-19 ci ha messo di fronte senza soluzione di continuità.
Il sistema di tracciamento dei contagi da Sars-CoV-2 attraverso l’esecuzione di tamponi ci ha mostrato di nuovo l’importanza di una rete di medicina territoriale e non è una banalità se si pensa che da anni, ormai, si sono impostati quasi esclusivamente percorsi di cura che hanno indirizzato le persone verso grandi centri ospedalieri, sicuramente più efficienti, organizzati e con una maggiore centralizzazione che ha potuto garantire anche minori costi.
È dunque necessario un cambiamento strutturale e organizzativo che riconosca il giusto ruolo alla medicina di territorio, bilanciando i pesi tra i diversi ospedali. Un cambiamento molto complesso soprattutto se affrontato con risorse limitate o in sistemi sanitari privatistici come quello statunitense. È comunque una rottura rispetto al passato che è già avvenuta e lo dimostrano anche le risorse del Pnrr che sembrano andare proprio in questa direzione. La sanità post Covid-19 dovrà, inoltre, riflettere sull’entità delle risorse e sull’adeguata distribuzione tra finanziamenti pubblici e privati. Se si pensa al nostro Paese, all’inizio (1978) il pubblico copriva circa il 90% della spesa sanitaria; a distanza di circa 40 anni osserviamo come il Fondo sanitario nazionale copra poco più del 70% della spesa (nel 2017 circa 117 miliardi di euro su un totale di 155 miliardi). Una spesa che in Italia è stata compensata, anche se non completamente, grazie a interventi di sanità integrativa e soprattutto alla copertura di spese sanitarie direttamente da parte dei cittadini. Il tema delle risorse è un tema caldo: possiamo comprendere la necessità di dedicare sempre più risorse a questo ambito solo se lo consideriamo alla stregua di altri settori strategici per un Paese.
In Italia, all’inizio (1978) il pubblico copriva circa il 90% della spesa sanitaria; a distanza di circa 40 anni osserviamo come il Fondo sanitario nazionale copra poco più del 70% della spesa
L’evoluzione repentina dei Sistemi sanitari nazionali alla luce del Covid-19 è una tematica di carattere organizzativo che impatta chiaramente su sistemi già in evoluzione e per i quali è necessario un totale ripensamento, anche alla luce della emergenza sanitaria che stiamo ancora affrontando e che potrebbe ripresentarsi in un futuro neanche troppo lontano. Ma se, da un lato, intendiamo mantenere il sistema universalistico, che ha pienamente dimostrato il suo valore e che possiamo considerare una vera e propria conquista delle culture riformiste europee, attraverso una gestione del comparto sanitario a prevalenza pubblica, dall’altro lato, per quanto lo Stato possa aumentare il finanziamento, non può coprire tutti i costi sanitari di un intero Paese.
È assolutamente necessario accrescere il ruolo del finanziamento della spesa sanitaria complementare, incentivando una compartecipazione privata alla spesa pubblica, che sia gestita in maniera efficiente e che sia fiscalmente stimolata
La risposta ai limiti di finanziamento pubblico al sistema sanitario sta proprio nell’intervento privato, già presente oggi ma in forma ancora troppo residuale e poco sistematizzata. È necessario accrescere il ruolo del finanziamento della spesa sanitaria complementare, incentivando una compartecipazione privata alla spesa pubblica, che sia gestita in maniera efficiente e che sia fiscalmente stimolata. Il metodo della sanità integrativa rappresenta dunque la chiave del sistema e un esempio è quello del Fondo Fasi: un valido modello, il più interessante e uno dei più grandi pur avendo un bacino d’utenza molto contenuto.
Come dicevamo in termini di sanità integrativa, quindi, lo stato attuale delle cose è ancora lontano dall’ottimo ma presenta un ampio margine di miglioramento per raggiungere l’obiettivo di una sempre crescente complementarità tra la sanità integrativa e il Ssn.
Quali considerazioni, dunque, e quali i possibili interventi? In primis, intervenire sulla dimensione dei fondi sanitari integrativi è un fattore decisamente importante per la capacità di negoziazione del fondo stesso, sia per quanto riguarda la platea di assistiti che aderiscono sia rispetto alla tipologia e al numero di prestazioni sanitarie incluse. Di concerto, non aumenta soltanto il bacino d’utenza del fondo ma anche la capacità di negoziazione dello stesso, che lo rende più competitivo a vantaggio sia del cittadino sia dell’intero sistema. Abbiamo visto che fondi come il Fasi funzionano bene e quindi dovrebbero essere estesi, magari ragionando su categorie sempre più ampie e sempre nuove di assistiti. A supporto di questa strategia c’è inoltre la necessità di operare sui principali fondi pensionistici affinché i grandi sistemi di previdenza complementare includano anche la sanità integrativa. Esattamente come già viene fatto per alcune categorie di professionisti come avvocati, ingegneri, etc. Non dimentichiamo che in questo processo la leva fiscale è un elemento cruciale che può favorire, se non incentivare, una maggiore partecipazione alle soluzioni offerte dalla sanità integrativa: un intervento politico e legislativo a favore della leva fiscale potrebbe portare a evidenti vantaggi per molte categorie di lavoratori. Inoltre, l’impiego di strutture pubbliche garantisce la trasparenza dei rapporti tra professionisti e malati e la tracciabilità delle operazioni e ciò ha un impatto non secondario anche in termini di evasione fiscale.