La finestra sul Golfo

Non più solo acquisti all’estero. Oggi puntano ad attrarre a casa loro investitori, manager e aziende, con attenzione alle Pmi europee. Da Dubai a Riyadh, una nuova geografia di interessi industriali ad alto potenziale

Luigi Di Maio, Rappresentante Speciale dell’Unione Europea per la regione del Golfo

 

I programmi di trasformazione economica Vision avviati dai Paesi del Golfo, ovvero dai Paesi Gcc Arabia Saudita, Emirati Arabi, Kuwait, Oman, Qatar e Bahrain, sono entrati nella loro terza fase ed è davvero una buona notizia per le nostre Pmi.

Non è una novità che questi Paesi, dal 2008 in poi, abbiano lanciato dei programmi nazionali di diversificazione economica, i programmi Vision, appunto. Parliamo di enormi progetti di investimento che mirano a ridurre la dipendenza dall’export di idrocarburi per oltre la metà del proprio prodotto interno lordo.

Il solo valore economico del programma di Arabia Saudita ed Emirati Arabi è di oltre un trilione di dollari a Paese, con obiettivi a lungo termine che guardano al 2050.
La strategia ha un approccio olistico e ha già dimostrato di poter produrre cambiamenti sia nella politica interna di questi Paesi, misurando dei progressi anche nel campo dei diritti, sia nella loro politica estera, rafforzando la loro leadership in qualità di attori multilaterali.

L’area del Golfo non è un terreno nuovo per l’Italia: il numero di imprese italiane che fanno business in questi Paesi è già notevole e riguarda principalmente società partecipate di Stato, grandi società di infrastrutture e alcune società di servizi.

La presenza di piccole e medie imprese nei Gcc invece non è ancora al livello che questo settore merita. Dobbiamo dirci che un arrivo massiccio di Pmi europee, prima dell’attuale periodo, sarebbe stato prematuro e probabilmente poco efficace.

Per spiegare perché questo sia il periodo ideale per le Pmi nel Golfo, dobbiamo dividere i programmi di investimento dei Paesi arabi in tre fasi, che tuttora corrono in parallelo, ma che sono state avviate in anni diversi e che rappresentano l’evoluzione plastica di questo processo attuale.

La prima fase è quella che ha attirato nella regione gli headquarter delle società di consulenza multinazionali e dei fondi di private equity: è stata la fase della creazione dei fondi sovrani di investimento e che tuttora consente operazioni per l’acquisizione di prestigiosi gruppi, e quindi la diversificazione degli asset economici.

La seconda fase ha riguardato e riguarda la trasformazione urbanistica delle città del Golfo: negli ultimi 20 anni tutti i grandi gruppi europei nel settore delle infrastrutture e del real estate, con il loro relativo indotto, hanno avuto un ruolo cruciale. Non solo Dubai, ma anche Riyadh, Abu Dhabi, Doha, Kuwait City, Jeddah, Manama, Muscat sono città in costante trasformazione che richiedono management e know-how.

Alcuni manager italiani, già quindici anni fa, hanno accettato la proposta di guidare le società per i programmi di diversificazione. Oggi quei manager occupano posizioni strategiche al Pif saudita o nelle principali società emiratine o in quelle per acquisizioni degli altri Gcc. Alcuni di loro sono stati anche chiamati a dirigere unità di pianificazione strategica nei Ministeri in occasione dei grandi eventi come Expo e World Cup.

La loro scelta di spostare vita professionale e familiare nei Paesi Gcc, nel periodo in cui pochissimi erano disposti a farlo, ha creato un forte legame con le famiglie reali.

La terza fase è iniziata da pochi anni e la possiamo raccontare attraverso l’esempio del calcio saudita. Per anni, come è noto, questi Paesi hanno comprato club di calcio in tutto il mondo, poi ad un certo punto i sauditi hanno deciso di dedicarsi al proprio campionato di calcio nazionale. Per farlo hanno iniziato ad acquistare giocatori, non più club. Consapevoli che non bastassero Cristiano Ronaldo e Karim Benzema per fare un campionato, hanno avviato un massiccio programma per attirare manager, talent scout, scuole calcio, imprese dell’hospitality, healthcare e soprattutto un mercato di spettatori che andasse oltre a quello nazionale.

Il budget stanziato è di oltre 250 miliardi di dollari. L’obiettivo non è solo lo sport ma la promozione del sistema Paese e l’attrazione di turisti e investitori da tutto il mondo. Quello che succede nel calcio sta accadendo in tutti gli altri settori: formazione professionale, alimentazione, manifattura di precisione, automotive, energie rinnovabili, farmaceutica, intelligenza artificiale, scuole, università, healthcare.

Non basta attrarre una multinazionale per creare un ecosistema industriale, serve un indotto, serve manodopera specializzata, know-how, expertise e management. Qualcuno dirà che servono anche costi bassi, giusto. Ma come si può immaginare il costo dell’energia e la pressione fiscale per loro sono un leverage.

Non sarà semplice cambiare la percezione che abbiamo di loro. Negli ultimi quindici anni questi Paesi, con i loro fondi sovrani, ci hanno abituato ad essere protagonisti degli investimenti all’estero. La quantità di risorse disponibili per l’acquisizione di grandi brand, società strategiche e immobili, ha fatto di loro i nostri principali interlocutori per l’attrazione di investimenti. Adesso loro stessi hanno deciso di iniziare una massiccia campagna di attrazione di investimenti e di persone, sicuramente per i cambiamenti geopolitici provocati dal Covid e dall’aggressione russa all’Ucraina ma anche grazie al livello di sviluppo e sicurezza raggiunto dalle loro città, oltre all’indiscutibile ruolo di hub commerciali tra Est e Ovest. Con un capitolo di massima rilevanza e centralità nei confronti degli scenari che riguardano l’Africa.

Ad ogni riunione, conferenza, tavola rotonda, il loro mantra è «Vogliamo aumentare le partnership con le vostre aziende per costruire le nostre industrie nazionali» manifatturiere, turistiche, o culturali che siano.

E le Pmi europee sembrano essere tra quelle più interessanti ai loro occhi. Ovviamente le Pmi non sempre sono attrezzate per affrontare la complessità di questi Paesi, con normative in continua evoluzione e che in alcuni casi richiedono partner locali e regional headquarter.

Ad ogni riunione, conferenza, tavola rotonda, il loro mantra è: «Vogliamo aumentare le partnership con le vostre aziende per costruire le nostre industrie nazionali»

Per questa ragione l’Unione Europea, nel 2024, ha finanziato l’apertura della prima Camera di Commercio europea nel Golfo, sta negoziando diversi Mou sulla cooperazione economica con i Paesi GCC, ha firmato il memorandum sul nuovo corridoio commerciale Imec e sostiene le politiche per le Pmi nella regione attraverso le sue quattro ambasciate in Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti, Kuwait e Qatar.

È un’occasione unica. I mercati dell’Unione europea e del Gcc, insieme, rappresentano oltre il 20% dell’economia globale, ed è lì che sta crescendo una nuova classe dirigente manageriale.

< Articolo Precedente Articolo Successivo >