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Italia, superare gli shock

La sfida: portare avanti la crescita rapportandosi contestualmente alla guerra in Ucraina, alla difficile ripresa post Covid-19 e alla spinta inflazionistica

Energia più cara. Catene della fornitura bloccate. Colli di bottiglia che frenano la logistica. La somma di due anni di pandemia, aumento dell’inflazione e dell’invasione della Russia in Ucraina, con il conseguente muro di sanzioni alzato dai Paesi occidentali contro Mosca è una sequenza di shock che affliggono l’economia mondiale e rischiano di mettere a repentaglio la messa a terra dei fondi del Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr). Proprio quel programma pensato per far ripartire l’economia dopo due anni di continui blocchi, risolvere i problemi strutturali e le ruggini accumulate negli anni e rilanciare digitalizzazione e transizione verde. Speranze ora sub iudice di uno scenario globale precario e soggetto a repentini cambi di rotta.

Andiamo con ordine. Il Pnrr nasce con l’esigenza di recepire i fondi stanziati dalla Commissione europea attraverso il veicolo del Next generation Eu per far riprendere quota all’economia comunitaria dopo la crisi da Covid-19 e assicurare progressi specie in ambito tecnologico ed energetico. Un’esigenza che la guerra in Ucraina ha reso più urgente e al tempo stesso più fragile. L’energia è il problema numero uno. Con il taglio alle importazioni del gas dalla Russia, trovare fonti alternative è diventato prioritario. Come ricordano gli analisti di Pictet Am, «attualmente la Russia fornisce oltre il 40% del gas, il 27% del petrolio e il 46% del carbone consumati nell’Unione europea». Uno shock energetico ha messo sul chi va là tutte le industrie, costretto alcune filiere a chiudere, rallentare o aumentare i prezzi.

Se nell’immediato il rischio è di fare un passo indietro sulla transizione verde, perché per compensare le mancate importazioni occorre tornare a fonti “sporche” (come il carbone), nel medio termine bisogna fare i conti con la carenza di materie prime che Russia e Ucraina esportano e sono necessarie proprio per alimentare la produzione di tecnologie ecosostenibili. La Russia, per esempio, è il terzo produttore al mondo di nickel, che serve, tra gli altri usi, alle batterie dell’auto elettrica e più in generale per l’accumulo di energia. Per giorni il London metal exchange (Lme), il mercato dei metalli base di Londra, ha dovuto più volte sospendere le contrattazioni di nickel per eccesso di rialzo. Questa scarsità si scontra con un mercato che già voleva accelerare gli investimenti in quel settore e ora ci si trova spinto da due fattori: ridurre il gas in anticipo rispetto agli obiettivi del 2030, come ha deciso la Commissione europea, e beneficiare dei fondi del Pnrr.

La Russia è il terzo produttore al mondo di nickel, che serve, tra gli altri usi, alle batterie dell’auto elettrica e più in generale per l’accumulo di energia

In generale tutti i prezzi dei metalli galoppano. Per le pale eoliche serve rame e alluminio, il cui più grande produttore fuori dalla Cina è la russa Rusal, già colpita dalle sanzioni degli Stati Uniti. Il litio, altro elemento fondamentale per la transizione tech e verde, è entrato da tempo negli interessi di Rosatom, l’azienda pubblica russa dell’energia nucleare. E anche se qualche Paese volesse votarsi all’atomo, con i tempi più lunghi che questo comporta rispetto all’installazione di pannelli solari o pale eoliche (5-6 anni), Mosca minaccia di bloccare le esportazioni di uranio.

Questo intasamento sulle materie prime rischia di riflettersi anche sull’altra faccia della transizione verde, quella digitale, a cui è strettamente legata. Anche in questo caso la guerra in Ucraina ha dato il colpo di grazia a catene di fornitura già provate. L’Ucraina, per esempio, esporta gas neon, una sostanza usata per alimentare i laser che incidono i pattern nei chip dei computer. La filiera dei microchip alimenta ormai tutti i dispositivi che abbiamo in casa e la pandemia ha già ridotto all’osso le consegne, costringendo alcune aziende a ridurre la produzione, posticipare gli ordini o, addirittura, fermare gli impianti.

C’è da aggiungere anche l’eventualità di disaccoppiamento tra l’economia occidentale e quella cinese. Una spada di Damocle ancora più pericolosa sul capo della transizione energetica e digitale, perché il Dragone foraggia con i suoi prodotti (pensiamo ai pannelli solari) una fetta consistente della filiera tecnologica e dell’energia verde occidentale e tagliare i ponti in uno scontro di sanzioni e contro-sanzioni, come si profila se Pechino prendesse apertamente le parti di Mosca, potrebbe comportare uno shock altrettanto pesante. Se già i blocchi delle esportazioni connessi ai pesanti lockdown decisi in Cina nel perseguire la strategia zero Covid-19 hanno fatto patire le sofferenze di una globalizzazione con rubinetti che funzionano a intermittenza, ancora più grave sarebbe un completo scollamento.

Infine vanno iscritte nella lista dei settori colpiti dal rincaro dell’energia e dal blocco delle esportazioni tutte le filiere che beneficerebbero delle trasformazioni spinte dal Pnrr, creando nuovi posti di lavoro e maggiori opportunità per l’Italia in campi avanzati o dove ha già una riconosciuta leadership. È il caso di quelle della galassia della plastica riunite nell’Associazione confindustriale Unionplast. Parliamo di 110 mila addetti. «La crisi dei prezzi dell’energia sta colpendo gravemente anche il settore industriale della trasformazione delle materie plastiche, un comparto fortemente energivoro che conta oltre 5 mila imprese, più di 100 mila addetti ed è di supporto essenziale per altri settori industriali strategici del Paese quali l’alimentare, l’edilizia, la sanità, l’automotive – dice il Presidente, Marco Bergaglio -. L’aumento incontrollato dei costi energetici e la crescente difficoltà di reperimento delle materie prime è un mix micidiale per il nostro settore e crea il rischio concreto di non essere in grado di far fronte alle richieste dei nostri clienti, aziende che operano in comparti industriali di forte impatto sul consumatore finale».

Stop anche nel settore trasporti. Come nel caso della Lucchini Rs, specializzata nella produzione di materiale rotabile: l’Ad Augusto Mensi al Giornale di Brescia ha annunciato che «sospenderà parte della propria attività per due settimane, a causa dei rincari energetici».

All’orizzonte ci sono nubi di tempesta. Già prima che scoppiasse il conflitto in Ucraina, gli analisti di Standard & Poor’s preconizzavano: «Riteniamo che i prezzi dell’energia in Europa si manterranno elevati fino al 2023. Ciò deriva principalmente dall’aumento dei prezzi di gas e, in misura minore, del carbone, che a gennaio 2022 si è avvicinato ai 90 euro a tonnellata. Anche la ripresa della domanda sosterrà l’alto livello dei prezzi. Dopo il 2022, S&P si attende una maggiore volatilità dei prezzi legata al clima, data l’accelerazione in Europa nella dismissione della generazione termica e nucleare di base, che le rinnovabili non potranno pienamente sostituire nei prossimi tre anni».

Già prima che scoppiasse il conflitto in Ucraina, gli analisti di Standard & Poor’s preconizzavano: “Riteniamo che i prezzi dell’energia in Europa si manterranno elevati fino al 2023

La transizione insomma richiede tempo. E in questo gioca un ruolo di ulteriore variabile di rischio l’inflazione. Come ha spiegato Andrea Celli, Ad di Philips Italia, Israele e Grecia a Wired health 2022 (evento di Wired dedicato alla sanità digitale), «il Pnrr valeva 210 miliardi un anno fa. Questi 210 miliardi probabilmente non hanno lo stesso valore oggi». La spinta inflazionista pesa sul tesoretto per il rilancio della nostra economia. Un’altra variabile che rende il quadro ancora più complicato e la navigazione in acque agitate. Più che mai oggi serve tenere la barra dritta.

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